Benvenuti nel #NerdandoConsiglia di Maggio 2020! Inauguriamo questa sotto-rubrica per consigliarvi ciò che abbiamo provato/letto/giocato/visto nel mese e che ci ha lasciato senza fiato!
Final Fantasy VII Remake
Giando: Inizio questa nuova rubrica, che dovrebbe prevedere un consiglio su qualcosa di fighissimo che ha provato in prima persona qualcuno dei membri della bellissima redazione di Nerdando.com, barando. Eh sì, perché ultimamente ho giocato a due giochi che mi hanno colpito così tanto da non poter essere citati entrambi nello stesso mese.
Iniziamo con Final Fantasy VII Remake, che non ha decisamente bisogno di presentazioni. Potrei dire di attendere questo gioco da circa vent’anni, ossia dalle prime lontane voci della possibilità di un remake “next gen” del classico che ha cambiato il mondo del JRPG e, credo, della PlayStation stessa. Ebbene, giunti alla quarta generazione di console abbiamo finalmente avuto ciò che abbiamo bramato da sempre, e il risultato è qualcosa di pazzesco.
Parto dalla grafica, che è probabilmente una delle migliori di sempre mai viste sulla PlayStation 4 PRO – di sicuro per quanto riguarda i modelli dei protagonisti, davvero splendidi (e splendide nel caso di Jessie, Aerith e soprattutto Tifa) – ma anche la Midgar che visiteremo nel corso delle nostre avventure oppure gli effetti durante i combattimenti, così come le meravigliose evocazioni degli Esper. E che dire della trama? Sappiamo che questo è il primo “episodio” del remake, ma quanto succede nel corso della storia che all’inizio vi farà dire “ah, non ricordavo questo dettaglio, sarà l’età che avanza” e poi esploderà nel finale con un enorme “MA COS”, beh, so che ha fatto incazzare gran parte dei fan di FF7. A me, però, ha gasato tanto, apprezzo quanto è stato immaginato da Nomura e co. per regalare un’esperienza che non sia un semplice remake 1:1 ma che ponga le basi per qualcosa di nuovo dove solo la fantasia di Square Enix è il limite. Spero davvero che il secondo episodio esca fra meno di vent’anni.
Persona 5 Royal
Giando: Il mio secondo titolo del mese (last but not least) è Persona 5 Royal. Che dire, io sono letteralmente IMPAZZITO per questo JRPG della Atlus. Ho amato questa serie con Persona 4 Golden su PS Vita (nonostante la triste storia del mio salvataggio perduto), poi ho recuperato Persona 5 un po’ in ritardo ma, complice i miliardi di titoli che avevo da finire, ci giocai solo per 10 ore, amandolo tantissimo ma lasciandolo sullo scaffale. Le gentili esortazioni del nostro LC redazionale (grazie) e il fatto che fu annunciata la versione 2.0, ossia Persona 5 Royal, mi hanno fatto risalire l’hype alle stelle e attendere tantissimo l’uscita del gioco.
Appena fatto l’unboxing della versione Limited “Phantom Thieves” e inserito il disco nella PlayStation 4, sono uscito di testa e non ho giocato ad altro (per non dire “non ho fatto altro”, complice una settimana di ferie e soprattutto la santa pazienza di Morgana) fino a platinare e concludere il gioco in pratica al 100%. Persona 5 è un JRPG “vecchio stile”, ossia con combattimenti a turni e dungeon nei quali si esplora e si combatte, ma è completato da due cose che trovo bellissime: il sistema Social Link e l’ambientazione. Il Social Link è tutta la parte non relativa ai combattimenti dove dovrete decidere come passare le vostre giornate relazionandovi con i numerosi personaggi presenti nel gioco per accrescere il vostro rapporto e ottenere così degli innegabili vantaggi durante le fasi di combattimento ed esplorazione dungeon. L’ambientazione, ossia la vera Tokyo che ho visitato durante i miei viaggi in Giappone, è qualcosa di fantasticamente realizzato, poiché ho gironzolato in posti nei quali sono stato davvero e vi assicuro che la fedeltà della riproduzione è qualcosa di accurato e bellissimo. Ho avuto una botta di nostalgia veramente forte!
Non dico niente della trama e della caratterizzazione grafica e caratteriale dei personaggi poiché li ho trovati fantastici, assieme alle novità introdotte da questa edizione Royal, che ampliano e completano il gioco, rendendolo un vero e proprio must have per tutti gli amanti del genere e del Giappone, e anche per coloro che sono pisani dentro! Ah, e come mi ricorda il buon jedi.lord: c’è una delle Persona (creature che ci doneranno forza e abilità, e che dovremo “catturare” nel corso del gioco) che ha la forma di un enorme pene verde su di una sedia a rotelle piena di spuntoni acuminati. Cercate pure su google “mara Persona 5”. Only in Japan.
Wasteful days of high school girls/Joshi Kousei no Mudadzukai
LC: La più grande sorpresa per me di questo maggio è stata 女子高生の無駄づかい (Joshi Kousei no Mudadzukai) o “Wasteful days of high school girls“, un anime di 12 puntate ambientato (indovinate un po’?) in un liceo.
Si tratta al 90% di un anime totalmente demenziale, con giusto le due puntate leggermente, ed oserei dire inutilmente, più serie. Tuttavia, a differenza di titoli come Nichijou (o Excel Saga, per andare più indietro nel tempo), demenziale non significa nosense: è tutto per lo più realistico ed i comportamenti assurdi delle protagoniste sono infatti denotati come assurdi dagli altri personaggi.
Parlando delle protagoniste, si tratta di studentesse di un liceo femminile, ognuna con un soprannome che rispecchia la loro personalità (quindi “baka” per quella scema, “robo” per quella robotica e così via). Lo so, sembra una cosa tremenda e posso già immaginare frankie.dedo che si cava gli occhi, piangendo al suo altare di Yoda.
Io stesso mi aspettavo un’idiozia completa e l’ho iniziato a guardare con il solo scopo di far pratica di giapponese. E invece, non so spiegare il come o il perché, ma è finito per risultare veramente divertente. Se avete il modo o l’occasione, vedetelo!
Horizon Zero Dawn
Penny: Tra aprile e maggio ho provveduto a completare Horizon Zero Dawn e non contenta anche l’unico DLC esistente, Horizon Zero Dawn – The Frozen Wilds: assolutamente stupendi.
L’action-adventure con elementi rpg sviluppato da Guerrilla Games ci porta a indossare i panni di Aloy, una ragazza tenace e determinata, dai forti ideali di libertà e integrazione, che aiuta gli abitanti del mondo conosciuto a combattere e sconfiggere una grave minaccia incombente. Il gioco è ambientato in un futuro post apocalittico in cui l’umanità ha saputo iniziare una nuova vita, creando nuove civiltà, le cui vite sono intrecciate a quelle di macchine zoomorfe che attaccano l’uomo e, alle volte, impazziscono.
Guidare la giovane nei diversi territori, da caldi deserti a gelide montagne (soprattutto nel DLC), passando per fitte paludi e villaggi rurali, vi permetterà non solo di svelare, man mano, gli intricati misteri che hanno portato la precedente civiltà all’estinzione, ma anche di interagire nelle numerosissime missioni secondarie che legano fra loro tutti gli abitanti di ogni città, paesello o isolate cime disperse nel nulla.
Se vi piace, potete anche sbizzarrirvi nella caccia dei numerosi collezionabili, potenziare le vostre armi bianche e le differenti armature disponibili, oltre che scegliere quali abilità sbloccare man mano che salite di livello. E ancora, cavalcare solo alcuni tipi di macchine, rivenderne le componenti ai tanti mercanti o scambiarne dei pezzi per migliorare quanto già possedete, in una complessa e splendida sinergia di opportunità in cui nulla pare essere lasciato al caso.
La storia è godibilissima e disponibile anche con audio italiano, la potrete vivere in terza persona, apprezzandola grazie a una grafica davvero mozzafiato (soprattutto se avete l’occasione di gustarvela in 4k con una PS4 pro).
In poche righe fatico a condensare l’insieme di meravigliosi stimoli a cui sono stata sottoposta per tutto il tempo di gioco (e infatti, a quando scrivo, ci ho speso circa 150 ore senza averlo ancora platinato), per cui non posso fare altro che consigliarlo caldamente a tutti gli amanti del genere.
Minecraft Dungeons
Tencar: ok che in questo periodo mi era tornata prepotente la scimmia per Diablo III, ma Minecraft Dungeons si è rivelato un piccolo gioiellino.
L’action RPG sviluppato da Mojang Studios ci vede impersonare un avatar, scelto tra i molti messi a disposizione (ho selezionato un simpatico uomo calvo con dei baffi molto arroganti), che non avrà una classe predefinita: in base alle armi – una per affrontare avversari corpo a corpo e una a distanza -, all’armatura e ai tre artefatti equipaggiati, si stabiliranno le sue peculiarità e abilità, con la possibilità di cambiare build semplicemente modificando gli oggetti in dotazione dall’inventario.
Allo stato attuale, il gioco può essere affrontato in solo e in multiplayer sulla stessa piattaforma, con un party composto da un massimo di quattro avventurieri, ma con una patch futura verrà introdotto il cross-platform.
Un plauso va alla grafica che ricorda da vicino Minecraft ma che ha una propria identità; anche il comparto sonoro, nella sua semplicità, convince.
Insomma, per 19,99 € (o gratuitamente, se siete abbonati all’Xbox Game Pass) cosa si può volere di più?
Valorant
Tencar: È giunto come un fulmine a ciel sereno – e ottenere l’accesso mi è costato circa sette giorni di lurking su altri canali Twitch – Valorant, FPS multiplayer tattico di Riot, che uscirà ufficialmente il 2 giugno.
Due squadre di 5 operatori, ognuno con abilità differenti, si affrontano in una delle tre (per ora) arene al meglio dei 25 round: chi arriva a tredici vittorie si porta a casa il match che contrappone un team che dovrà piazzare una bomba e un altro che si occuperà di disinnescarla; ah, sì, ovviamente è possibile vincere anche eliminando tutti gli avversari.
Probabilmente sarà stata la nostalgia di Counter-Strike, ma Valorant ha riempito le mie giornate di maggio grazie alla sua grafica simil-cartoon, ai bassissimi requisiti che permettono di farlo girare anche su un tostapane e alle meccaniche semplici ma non banali.
Consigliatissimo.
Cacciatore di Androidi
Clack: Sono una grande fan del film Blade Runner e della letturatura di Philip K. Dick, eppure non avevo ancora mai letto Cacciatore di androidi, il romanzo del 1968 da cui Ridley Scott ha tratto il suo capolavoro cinematografico.
Complice il maggio dei libri e la maratona di lettura cui sto prendendo parte (proprio sabato scorso, tra l’altro), ne ho recuperato finalmente la lettura nella versione Fanucci del 2000 che recupera il titolo originale dell’opera, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?
Diciamolo subito: il romanzo è molto diverso dal film, sotto moltissimi aspetti. Eppure, quelle sensazioni che si provano guardando la pellicola restano intatte anche leggendo il libro. Mi sono ritrovata immersa in un futuro tetro e senza speranza, senza poter evitare di fare mie le riflessioni di Deckard su dove sia il confine tra umano e non umano, su cosa renda una persona davvero tale, su quale sia la chiave dell’umanità.
Una lettura attuale nonostante il trascorrere degli anni, forse perché pone domande a cui ancora non siamo riusciti a trovare una risposta univoca.
Better Call Saul
jedi.lord: Doveva essere solo uno spin-off. Per quanto mi fosse piaciuta Breaking Bad, l’idea di guardare 5 stagioni di un semplice spin-off su uno dei personaggi secondari, seppure un grandioso personaggio, non mi aveva sfiorato minimamente.
Ma è bastata l’insistenza dell’amico con cui condivido l’account di Netflix (grazie Luca) e l’articolo di Clack per farmi esclamare il proverbiale “Ma sì, proviamo!“. E nulla. Mi sono divorato le cinque stagioni già uscite in un battibaleno, sono in spasmodica attesa di quella finale, neanche fossi in astinenza da meth, e penso che Better Call Saul riesca a limare i pochissimi difetti di Breaking Bad, risultando forse un pelo superiore, se vogliamo fare una cosa stupida come una classifica.
Ma non serve.
Godetevi sto capolavoro di Vince Gilligan, e le storie di Jimmy, Mike e Kim, miglior new entry della storia.
The Clone Wars
jedi.lord: Il mio compleanno è il 4 maggio. Quest’anno l’ho passato in solitudine, perché per colpa del virus quel giorno non ho lavorato, ma mi piace guardare il bicchiere mezzo pieno, perciò voglio raccontarvi una bella storia.
Una storia che comincia 12 anni fa, quando al cinema uscì The Clone Wars, un nuovo film di Guerre Stellari, un progetto che George Lucas aveva fortemente voluto che fosse d’animazione. All’epoca fu bastonato dalla critica, ma la sua redenzione arrivò con l’avvio della serie che prende lo stesso nome e che da esso discende: sette stagioni, tantissime avventure e molteplici personaggi per raccontarci cosa avvenne nella galassia lontana lontana nei due anni che intercorrono tra Episodio II: L’Attacco dei Cloni ed Episodio III: La Vendetta dei Sith. Per spiegarci come Anakin Skywalker, il Prescelto, non sia divenuto preda del Lato Oscuro nel giro di un giorno, ma che la sua caduta sia avvenuta per gradi.
The Clone Wars è anche la storia dei mandaloriani, del ritorno di Darth Maul, ma sopratutto di quello che è diventato il mio personaggio preferito di Star Wars: Ahsoka Tano, la padawan perduta di Anakin.
Ci ho messo del tempo per recuperarla, le prime stagioni sono un po’ lente, ma avevo promesso a qualcuno, un Dedo qualunque, che questo viaggio l’avremmo finito insieme. E manco a farlo apposta il viaggio di The Clone Wars, con l’ultima puntata dell’ultima stagione, sarebbe terminato proprio il giorno del mio compleanno, che è anche il May the 4th be with you. Nulla accade a caso.
Il suddetto Dedo mi ricorda, proprio a mezzanotte e facendomi gli auguri, che probabilmente su Disney+ sarebbe già dovuta comparire l’ultima agognata puntata.
Detto, fatto: stappo la bottiglia di whisky che avevo riportato dalla Scozia, mi piazzo sul divano, pronto a godermi gli ultimi, drammatici, 25 minuti di questo enorme affresco narrativo.
Il mio compleanno è cominciato così, con un finale maestoso, malinconico, silenzioso e stupendo.
Grazie, Dave Filoni e grazie, zio George.
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