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Starfield – Odissea nello spazio

Recensione

Lo abbiamo atteso anni, oserei dire 25: quelli che sono passati dal lancio dell’ultima IP di Bethesda Softworks. Ora, però, siamo pronti ad immergerci nell’immenso universo di Starfield, un titolo che ci terrà compagnia per davvero molto tempo in futuro.

Trama

Anno 2230. L’umanità ha invaso lo spazio e si è allargata ben oltre i confini del suo pianeta natale morente e di quelli del vecchio Sistema Solare, creando ovunque nuove colonie, con insediamenti su nuovi pianeti e basi spaziali. E siccome non siamo davvero umani se non diamo fondo alle nostre tipiche bassezze morali, la nostra esplorazione non è interamente votata ai canoni di Star Trek: l’esplorazione, la scoperta e il continuo miglioramento di noi stessi. Bensì non mancano arrivismo, pirateria e desidero di accumulare ricchezze.

In questo contesto impersoniamo un semplice minatore che scopre per caso un antico manufatto e inizia ad avere delle visioni misteriose. Un po’ come una via di mezzo tra l’inizio di Skyrim e Fallout direte voi? No, perché qui non c’è nessuno che ci dice: “Ehi, sei finalmente sveglio”.
Scherzi a parte: ovviamente non rivelerò nulla della trama, per evitare spoiler, ma mi preme dire che è stato fatto un incredibile lavoro per trovare la giusta alchimia per farci scivolare rapidamente fuori dai binari della fase tutorial e fiondarci nel vivo dell’azione.

In pratica si inizia con alcune missioni monotone e ripetitive per poi passare alla più totale libertà di azione in cui costruiremo la nostra personale odissea. Dal punto di vista dello storytelling, inoltre, sono stati fatti davvero passi da gigante rispetto ai due titoli pilastri Bethesda (Fallout 4 e Skyrim), con una storia intrigante e avvincente, una delle migliori mai scritte dallo studio. Quindi: se l’incipit vi suona vecchio e monotono, abbiate fede. Col tempo diventerà appassionante.

Gameplay

Partiamo quindi con la creazione del personaggio, con un editor che solo in parte richiama le opere precedenti: perché oltre a modificare quasi ogni aspetto fisico del nostro alter ego digitale, avremo la possibilità di costruire un background complesso e articolato, che impatterà notevolmente sulla nostra avventura, sull’approccio e sugli incontri che faremo. In base ai tratti che personalizzano il nostro alter ego, infatti, avremo accesso a perk iniziali e linee di dialogo uniche.
Quando finalmente poi saremo messi ai comandi della nostra nave, la Frontier (cosa mi ricorda questo?), inizieremo un avvicinamento lento ai comandi e alle meccaniche di gioco, con una curva che per le prime ore sale davvero lentamente ma che, scavallata la lunga china iniziale, esploderà in un universo intero di scelte.

In Starfield abbiamo la possibilità di esplorare e atterrare su uno qualsiasi dei pianeti (a patto che non sia gassoso, come qualche genio online lamentava di non poter “atterrare” su Saturno) dei 120 sistemi solari raggiungibili, e in qualsiasi punto del pianeta per iniziare ad esplorare a piacere l’ambiente. Un ambiente che, come promesso, è arricchito da ciclo giorno-notte, meteo dinamico e peculiarità uniche di ambiente, animali e piante, che lo distingueranno tra i 1000 esplorabili: pianeti desertici alla Star Wars, o coperti di neve o ancora immersi nelle foreste o totalmente ricoperti di acqua come in Interstellar.
Insomma, verrebbe da dire “sky’s the limit” ma in realtà qui il limite è spostato molto più in là.

Una volta atterrati, poi, avremo a disposizione aree open world come da tradizione Bethesda. Avete presente le mappe di Fallout ed Elder Scrolls? Ecco: immaginatele moltiplicate per i tutti i pianeti disponibili e generate in modo procedurale e vi farete un’idea dell’immensità di opzioni disponibili.
Naturalmente non è tutto oro quello che luccica ed è il rovescio della medaglia dell’approccio procedurale (come visto nel recente Remnant 2). Il problema principale è che a fronte di tonnellate di ambienti diversi tra loro, spesso ci troveremo ad affrontare strutture (anch’esse create proceduralmente) di fatto tutte identiche e con gli stessi nemici, a fronte solo di un loot diverso.

Col passare del tempo e col procedere della storia, si sbloccheranno nuovi elementi procedurali, che ne arricchiranno la varietà, tuttavia dopo ore ed ore di esplorazione e senza un vero obiettivo da perseguire, girare a caso diventa un po’ fine a se stesso con l’unico scopo di raccogliere risorse e analizzare pianeti differenti.
Intendiamoci: se siete trekker questo forse è più che sufficiente, perché l’esplorazione e la scoperta non sono un mezzo ma un fine. Bethesda è stata capace di creare mondi interi il cui fascino può risiedere anche solo nel prendere una tazza di the guardando la fauna autoctona pascolare in un ambiente primitivo, per cui tutto dipende dall’approccio che vorrete dare alla vostra avventura.

A fronte di quanto detto sui pianeti procedurali, abbiamo la componente disegnata a mano dagli sviluppatori che trova la sua massima espressione all’interno delle quattro grandi città esplorabili. Si tratta di aree enormi, ricche di vita, attività, persone. Esplorabili non solo in lungo e il largo, ma anche in alto. Muoversi ed esplorare queste mappe, regala sensazioni di immersività formidabile, con tantissime cose da fare e da scoprire.

Ma non di sola esplorazione si vive, e come da tradizione accanto alla main quest fanno la comparsa decine, tonnellate di side quest che ci pioveranno addosso man mano che ci muoveremo nell’universo di gioco. Spesso sarà sufficiente interagire con i cittadini di una città per vedersi chiedere di fare cose su cose. E non mancano le missioni legate alle diverse fazioni, un po’ come accadeva con le gilde dei titoli Elder Scrolls, anche se, è bene farlo notare, questo non impatterà sugli avvenimenti generali del mondo: in pratica avremo ampio margine di manovra e diversi approcci possibili per risolvere le quest, senza che però le nostre scelte abbiano impatti altrove.
Sì: croce e delizia dei GDR di Bethesda.

Ma se parliamo di gioco spaziale, la componente delle navi deve necessariamente occupare un ruolo privilegiato nell’esperienza del giocatore. Ed è così, infatti.
In realtà, se speravate di aver un simulatore di volo con la flessibilità Elite: Dangerous, rimarrete delusi. La navigazione tra pianeti, così come l’atterraggio sugli stessi, è gestito in modo automatico. Insomma: se si tratta di sparacchiare contro altre navi, dare la caccia a dei pirati per la loro taglia o fuggire dagli stessi, abbiamo sicuramente pane per i nostri denti. Tuttavia in altri titoli è anche possibile mettersi ai comandi e volare ininterrottamente di sistema in sistema, magari per ore o giorni. Qui no (o meglio sì: ma non ha alcun senso farlo).

Si tratta di una specifica scelta tecnica, dopotutto Starfield non ha mai voluto presentarsi al mondo come un simulatore di volo spaziale, concentrandosi invece su tutti gli aspetti elencati finora.
A compensazione Bethesda ha preso ed ampliato a dismisura l’esperienza di crafting fatta con i titoli precedenti mettendoci a disposizione un editor incredibile per personalizzare le nostre navi (possiamo possederne fino a 10), andando a modificare nel dettaglio ogni singolo pezzo dell’astronave, per darci una totale libertà di scelta: dalla nave pirata al caccia, dal mercantile alla corazzata. Non solo, ma ogni elemento aggiunto andrà a modificare anche l’interno della nave, in cui troveremo quindi nuove aree e nuovi spazi. E se volete rompere il gioco (almeno finché non verrà rilasciata una patch) costruite una nave col buco in mezzo e sarete invulnerabili, o quasi.

E se questo non bastasse, abbiamo la possibilità di costruire fino a nove avamposti spaziali, con un editor che ricorda da vicino quello di Fallout 4 con l’aggiunta di una visione dall’alto che semplifica il lavoro. Negli avamposti potremo costruire la casa spaziale dei nostri sogni, nella quale non mancherà la possibilità di assumere personale per tenere in ordine le attività di routine (come la gestione delle colture idroponiche), comodamente gestiti da un menù di gioco dedicato. Da qui si aprono poi le possibilità di costruire ponti mercantili per collegare gli avamposti e arricchirsi a dismisura.

Ma il crafting non riguarda solo case e navette, il nostro personaggio dovrà essere adeguatamente equipaggiato per sopravvivere nello spazio e questo ci porterà ad esplorare ancora e ancora per trovare i componenti e potenziamenti giusti per poter modificare ad esempio le armi, la tuta spaziale o le medicine così da poter essere pronti ad affrontare aree contaminate, radioattive e, naturalmente, nemici sempre più agguerriti.

Veniamo quindi al combattimento, spaziale e a piedi.
Per quanto riguarda il primo, come detto non abbiamo possibilità di viaggiare a piacere nello spazio vuoto, gli incontri sono gestiti con sorte di “arene” limitate in cui dovremo manovrare la nave gestendo il bilanciamento dell’energia disponibile tra manovrabilità, scudi e potenza di fuoco. Ma non finisce sempre tutto a laserate, starà a noi decidere come approcciare i nemici, nascondendo la nostra scia, fuggendo, abbordando, combattendo o chiacchierando in stile James T. Kirk.
Come detto Starfield non nasce con l’intento di essere un emulatore di volo, ma questa componente è stata sviluppata adeguatamente e darà grandi soddisfazioni, anche grazie al colpo d’occhio che rottami spaziali, pianeti sullo sfondo, stelle e nebulose sapranno regalare.

Anche il lavoro fatto per i combattimenti a terra è notevole: come da tradizione possiamo giocare in prima o terza, quest’ultima è in genere la mia preferita, ma i titoli Bethesda hanno sempre offerto il fianco ad animazioni legnose e movimenti stereotipati, rendendo l’esperienza davvero poco soddisfacente. Ebbene, in Starfield invece è stato fatto davvero moltissimo per migliorare le criticità del passato e ora le animazioni di spostamenti, ricarica delle armi e movimenti sono fluide e piacevoli.
Tutto il gunplay è stato quindi rimodernato e migliorato, e non dovrebbe farvi rimpiangere altri sparatutto spaziali incentrati unicamente sul combattimento (anche grazie a qualcosa che scoprirete andando avanti nella quest principale).

Non resta che parlare della componente GDR che, come da tradizione, è il perno dell’esperienza di gioco dei titoli Bethesda. Il nostro personaggio, oltre alle personalizzazioni estetiche, può crescere a partire dal background che gli abbiamo fornito, specializzandosi in oltre 80 abilità disseminate tra i ricchi alberi dedicati al combattimento, capacità sociali, fisico, scienze e tecnologia. Così facendo andremo a plasmare nel dettaglio il nostro stile di gioco, magari puntando tutto sulla diplomazia o sulle abilità fisiche per scontri facilitati. Il tutto richiederà ovviamente il classico accumulo di esperienza, e per sbloccare i perk più avanzati sarà necessario il superamento di sfide dedicate, come abbattere un certo numero di nemici o craftare un certo numero di cose. A quel punto potremo spendere i punti abilità acquisiti e apprendere nuove abilità o migliorare quelle sbloccate su livelli aggiuntivi.

Niente di eccezionalmente originale, mi rendo conto che tutto richiama ancora una volta le meccaniche di Fallout 4, che però sono state riviste e potenziate, rendendole ancora più soddisfacenti che in passato.

Comparto tecnico

Ho sperimentato la mia copia su Xbox Series X, forse la condizione migliore: caricamenti rapidissimi, nessun calo di framerate (ancorato a 30fps in 4K) e colpo d’occhio eccezionale.
Difficile aspettarsi o chiedere di più: e anche se recentemente Bethesda ha dichiarato che i suoi famosi bug fanno parte dell’esperienza di gioco, personalmente me ne sono capitati ancora davvero pochi, mentre il lavoro di fino fatto sui dettagli è incredibile vista la mole mostruosa di elementi presenti.

Ogni oggetto, arma, componente è curata nei dettagli ed analizzabile a fondo e non cede mai il fianco a brutture come alcune delle texture meno riuscite di titoli come Skyrim o Fallout 4, soprattutto per quanto riguarda l’interno degli ambienti, il cui stile è particolarmente ispirato.
Grandissimo lavoro è stato fatto sugli effetti e la dinamica della luce, sia nelle ambientazioni planetarie che nello spazio, regalando panorami eccezionali, capaci di farci posare il controller per lasciarsi ammirare (magari non mentre siamo in combattimento).

Il tutto è accompagnato ad un comparto audio incredibilmente azzeccato: tanto le musiche quanto gli effetti sonori risultano credibili e sottolineano perfettamente la nostra esperienza di gioco, regalandoci immersione e accompagnandoci nelle fasi più concitate. Da rimarcare la totale assenza del doppiaggio italiano, così come la scelta di non far parlare il protagonista: uno strappo rispetto a Fallout 4 e quindi, a mio avviso, un piccolo passo indietro.
Si tratta di una scelta prettamente stilistica di game design: non dare una voce fa aumentare la capacità di immedesimazione? Secondo Bethesda sì: il nostro alter ego è talmente malleabile, personalizzabile e modificabile che non ne esisteranno due davvero uguali e quindi l’unico modo di garantire una totale immersione era quello di generare un protagonista senza voce.

Personalmente non condivido questa scelta, ma è gusto prettamente personale. Eccezionale, invece, la flessibilità dei dialoghi dei nostri compagni, che intervengono in linea con le loro personalità e attitudini in base alla situazione in cui ci verremo a trovare, durante i dialoghi con gli altri PNG.

Dovendo andare a cercare le criticità del titolo, ovviamente Starfield non è assolutamente esente da mancanze che, arrivati al 2023, sono davvero poco giustificabili. Mi spiego meglio: provate a estrarre l’arma e piantarla in faccia ad un poliziotto, o a sparare in mezzo alla folla. Fatelo qui, fatelo in Cyberpunk 2077 e fatelo in Red Dead Redemption 2 (giusto per citare alcuni open world).
In Starfield la reazione sarà assolutamente nulla. Niente che cambi l’economia del gioco, intendiamoci, ma questo genere di attenzioni al giorno d’oggi e in uno studio delle dimensioni di Bethesda, non sono più giustificabili a mio avviso.

Giusto per vuotare del tutto il sacco, ci sono ancora un paio di cosette che mi hanno fatto davvero storcere il naso.
Ricordate le casse invisibili di Skyrim in cui si poteva rubare di tutto? Ci sono ancora. Alcune sono già state smascherate, altre arriveranno di sicuro.
Ricordate i cadaveri degli avversari che, una volta uccisi, volano via come marionette in posizioni assurde? Ci sono ancora.
Ricordate la IA assolutamente imbarazzante degli avversari che si fanno impallinare come se niente fosse? Indovinato: è ancora lì.

Insomma: non sta certo a me negare l’impresa mastodontica che è stata fatta per dare vita a questo titolo e non vorrei che passasse la mia come insoddisfazione generale, però è innegabile che anche se Bethesda ha imparato molto dall’esperienza pregressa, non ha certamente imparato tutto: va bene mantenere coerenza con il proprio stile, ma ci sono cose che ormai devono essere sistemate. Soprattutto in previsione del prossimo Elder Scrolls VI.

Conclusioni

Mai tirare le somme è stato così complicato con un gioco come con Starfield.
È una rivoluzione mancata? Sicuramente: però questo non toglie nulla alla maestosità dell’opera. Si poteva e forse si doveva osare di più, ma sappiamo già per certo che, se ci son voluti 25 anni per avere una nuova IP da Bethesda, sicuramente continueremo a giocare e a parlare di Starfield per i prossimi dieci anni almeno.

Non parlo solo delle ottimizzazioni post lancio, patch e possibili DLC. Mi riferisco principalmente al fatto che siamo davanti ad un’opera monumentale che si presta, per la propria natura, ad essere ulteriormente espansa e migliorata. Certo non è una rivoluzione rispetto al vecchio imprinting targato Bethesda, ma non è detto che dovesse esserlo: Starfield è il miglior lavoro mai fatto dallo studio, con una storia accattivante, personalizzazioni infinte, e tanto, tantissimo da scoprire.

Sicuramente è un titolo di cui parleremo e con cui giocheremo per molti anni a venire. Starfield è un RPG targato Bethesda, con i suoi pregi e suoi difetti che da sempre riconosciamo allo studio americano, per cui da un certo punto di vista una “vera” rivoluzione sarebbe stata probabilmente più sgradita che apprezzata.

Nerdando in breve

Starfield è la nostra odissea nello spazio.

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