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Gli 80 anni della Seconda Guerra Mondiale – I videogiochi per riviverla

Ottanta anni fa una scintilla nata dalla follia collettiva divampò in un incendio che si prese le vite di 60 milioni di persone e seminò, per sei lunghissimi anni, distruzione, atrocità, tragedie e un lungo strascico nella storia: stiamo parlando ovviamente della Seconda Guerra Mondiale, il più grande conflitto armato della storia dell’umanità.

Un evento del genere non poteva non lasciare un impatto mostruoso sulla società e, di conseguenza, sulla nostra cultura. Infinite le suggestioni scaturite da quell’immane tragedia e sfruttate con ogni mezzo da generazioni di artisti, scrittori, musicisti: fare un elenco o un qualsivoglia resoconto sul lascito del secondo conflitto mondiale è impossibile.

Essendo un prodotto della cultura moderna, anche il mondo videoludico ha visto, sin da principio, una gigantesca messe di opere ispirate, derivate ed ambientate durante la seconda guerra mondiale e, d’altronde, non avrebbe potuto essere altrimenti.

I videogiochi a tema seconda guerra mondiale, dunque, non si contano.

Ma se vi venisse quella voglia di celebrare gli ottant’anni dall’inizio del conflitto con un bel titolo a tema, quella voglia di qualcosa di buono, insomma, come potreste orientarvi? Semplice, venite su Nerdando.com e trovate una mini lista con i 6 videogiochi sulla seconda guerra mondiale che non potete perdervi o che dovreste immediatamente recuperare. In realtà sono serie, non videogiochi singoli, ma il concetto è quello, suvvia.

E non avete idea di che faticaccia sia fare una cernita in una mole gargantuesca di titoli, di una molteplicità di generi incredibile e dei quali molti mi piacciono tantissimo.

Ho cercato, come criterio, di tenermi nel campo del mainstream: un conflitto come quello, infatti, si presta a migliaia di strategici cervellotici, complicati e di nicchia, che fanno sbavare i wargamer più accaniti, ma immagino che non tutti possano apprezzare la bellezza del rappresentare le manovre delle armate durante la battaglia delle Ardenne con dei segnalini quadrati.

Calzate il vostro elmetto, che noi si va in guerra…

Commandos

Della serie di Commandos ho parlato diffusamente e con secchiate di nostalgia in un altro articolo che qui vi linko, ma repetita iuvant per i più pigri: sei specialisti alleati impegnati in una missione dietro le linee nemiche, nei posti più pericolosi che potremmo immaginare, per dare una vigorosa mazzata alla macchina bellica nazista.

Missioni difficili, giochi tostissimi ma spettacolari, e stranamente imitati pochissimo: i Commandos sono in pratica i capostipite di un genere che mischia meccaniche stealth, strategia in tempo reale e bestemmie che nemmeno Dark Souls.

Sta per uscire il remake del capitolo più amato, il secondo, annunciato all’E3 e che dovrebbe esser pronto entro la fine dell’anno. Ve lo dico io, semplicemente imperdibile.

Wolfenstein

Una saga mitologica, il cui nome è impresso a chiare lettere nella storia del videoludo.

Molti si ricorderanno di certo di Wolfenstein 3D, pubblicato nel 1992, considerato urbi et orbi il capostipite degli sparatutto 3D perché portò il genere al successo planetario, ma in realtà ci accanivamo contro i nazisti dal 1981 quando vide la luce il primo titolo a fregiarsi del nome Wolfenstein, cui si unì Beyond Castle Wolfenstein tre anni dopo.

Wolfenstein 3D è una pietra miliare dei videogiochi e fece la fortuna di id Software, papà di Doom e Quake, tra gli altri. Protagonista era William “B.J.” Joseph Blazkowicz, capitano dell’esercito statunitense impegnato nella fuga dal castello nazista di Wolfenstein. La trama che fa da collante alle missioni finisce più o meno qui, ma l’importanza che ebbe questo titolo è incredibile.

Return to Castle Wolfenstein, pubblicato nel 2001, agì come una sorta di reboot del franchise, portandolo nel nuovo millennio: nel frattempo i videogiochi erano cresciuti e Half-Life aveva insegnato a tutti che gli sparatutto potevano anch’essi raccontare una bella storia. Ne uscì fuori un gioco memorabile, che rendeva giustizia al nome che portava e che, attenzione a questo aspetto, cominciò a narrarci la storia dell’attuale BJ. Ma a questo ci arriviamo.

Dovemmo attendere altri 8 anni per sapere come andava avanti la storia, con il Wolfenstein di Raven Software che piacque, ma timidamente; il team di Raven fu smembrato, id fu acquisita da Bethesda e i diritti passarono ad un altro team, che rivoluzionò, di nuovo, la saga.

Nel 2014 infatti vide la luce Wolfenstein: The New Order, che proseguiva ancora la storia iniziata nel 2001 ma che stavolta vedeva Blazko negli anni ’60, in un futuro alternativo nel quale la Germania nazista aveva vinto la Seconda Guerra Mondiale. Questa è stata probabilmente la trovata geniale: non più soltanto sparatutto ma un gioco la cui trama diventa interessante come quella di un film, in cui l’attenzione alla costruzione del mondo e di una distopia credibile è fondamentale e curata sin nei minimi dettagli. Un’espansione stand-alone, chiamata Old Blood, agisce da prequel di questo capitolo.

Wolfenstein II: The New Colossus

Detto personalmente, a me il genere degli sparatutto non piace, ne ho giocati pochi, ma nel mio piccolo olimpo personale ci sono Half-Life 2, Bioshock: Infinite e questo qui.

Il raggiungimento del meritato successo frutta alla serie un nuovo sequel, che esce nel 2017, si chiama Wolfenstein II: The New Colossus ed è un nuovo, grande successo. L’azione si sposta in America, dove i partigiani combattono per liberarla dai nazisti. “Make America nazi-free again” dice la tagline degli spot, e la distopia costruita dagli sviluppatori incanta, ancora una volta.

Presumibilmente la storia di BJ non termina né qui né con lo spin-off Youngblood, appena pubblicato, e noi ce lo auguriamo: d’altronde è un piacere prendere i nazisti a calci nelle gengive e non vorremmo smettere di farlo.

Call of Duty

Lo so che molti storceranno il naso, ma aspettate un momento.

La storia di Call of Duty cominciò nel 2004 e i primi due capitoli, usciti un anno dopo l’altro, ci catapultavano nel bel mezzo di alcune iconiche battaglie e missioni del secondo conflitto mondiale.

Non pensate al solito CoD che esce ogni anno e che ormai è diventato sinonimo di bimbominkia che gioca in multiplayer, qui stiamo parlando di un titolo che rivoluzionò a modo suo gli sparatutto dell’epoca: niente più Rambo solitario ammazza tutti, ma un soldato in mezzo a tanti compagni.

Scene corali, un uso intelligente degli eventi scriptati che catapultavano il giocatore nel bel mezzo di un film come Salvate il Soldato Ryan o Il nemico alle Porte. I livelli ambientati a Stalingrado, a tal proposito, erano semplicemente pazzeschi.

Stesso approccio portò al successo Call of Duty 2, mentre il 3, esclusiva console ma non sviluppato da Infinity Ward, viene ricordato come un buco nell’acqua.

Per tornare sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale dovemmo attendere la quinta uscita del franchise, sottotitolata World at War, violenta, cupa e più matura rispetto ai precedenti e WWII, uscito due anni fa e che segnò un ritorno alle origini per la serie, anche per quanto riguarda il gameplay.

Call of Duty

Per quanto ora CoD attiri molti hater per via del suo estremo sfruttamento commerciale, bisogna ricordarci che vanta nobilissime origini e ha saputo regalare al mondo degli sparatutto tantissime innovazioni.

Brothers in Arms

Avete presente Borderlands, lo sparatutto/RPG fuori di testa di cui sta uscendo il terzo capitolo? Ebbene, 15 anni fa gli sviluppatori di Borderlands tirarono fuori dal cilindro un titolo che tutt’oggi è ricordato come una delle migliori esperienze videoludiche mai create sulla seconda guerra mondiale.

Sto parlando di Brothers in Arms: Road to Hill 30, titolo del 2005 che ci metteva nei panni del sergente Matt Baker (soldato esistito davvero) e dei suoi compagni nei convulsi giorni che seguirono lo sbarco in Normandia.

E lo faceva in modo diverso da tutti gli altri fps: una forte componente tattica gestita in modo intuitivo, l’insistere sugli orrori della guerra, il senso di fratellanza sul quale si basa la storia, toccante ed epica, ne fecero un esempio di un altro modo di pensare alla narrativa videoludica, di fronte all’avanzare della sola frenesia di gameplay.

Chiunque ebbe il piacere di giocarlo all’epoca lo ritiene ancora superiore a qualunque altro analogo dell’epoca ma anche di ora.

Purtroppo, dopo due seguiti altrettanto belli, la serie è rimasta ferma dal 2008; un nuovo titolo forse è in sviluppo, ma ufficialmente non se ne sa nulla.

D’altronde, non nascondiamoci dietro ad un dito, una roba come Borderlands vende sicuramente di più al giorno d’oggi (ed è di ottima qualità).

Company of Heroes

Corre l’anno 2006.

Da qualche anno gli strategici in tempo reale sanno di stantio e il pubblico sta perdendo interesse nel genere, che galleggia in una palude di scarsa innovazione. Figurarsi poi con un tema così inflazionato come la Seconda Guerra Mondiale.

Ma ad un certo punto spunta fuori che Relic, gli autori di un certo Homeworld, tiri fuori con un titolone che, semplicemente, fa impazzire tutti: Company of Heroes è una ventata di aria fresca che riporta in vita un intero genere, miete recensioni a dir poco lusinghiere e crea un vastissimo movimento in multigiocatore.

Tutto ambientato durante i convulsi giorni dello Sbarco in Normandia, Company of Heroes stupì tutti con il suo mix di meccaniche innovative e di grafica, all’epoca, spaccamascella, di una campagna in singolo molto bella e di un multiplayer che con il passare del tempo conquistò migliaia e migliaia di persone.

Il concetto era semplice e geniale: basta raccolta di risorse e costruzione della base, si passava al doversi assicurare il controllo dei punti strategici della mappa, che assicuravano approvvigionamento di risorse. Inoltre, il campo di battaglia era distruttibile e modificabile.

Cosa volete di più, in un titolo del genere?

L’enorme e meritatissimo successo di Company of Heroes portò alla realizzazione di due espansioni stand-alone, Opposing Fronts e Tales of Valor, che aggiungevano eserciti, campagne ed unità e a quella di un seguito, Company of Heroes 2, ambientato sul fronte orientale.

Oltre ad essere più evoluto tecnicamente e più ambizioso nei contenuti, questo secondo titolo attirò su di sé qualche critica a causa di presunte manchevolezze di storicità e addirittura causò il blocco delle vendite in Russia, dove venne visto come eccessivamente tendenzioso nei confronti della crudeltà dei comandanti sovietici. C’è da dire che in Russia la Grande Guerra Patriottica (ovvero, come chiamano la Seconda Guerra Mondiale da quelle parti) è un argomento che non ha mai smesso di essere d’attualità.

Comunque, nonostante le critiche e i bug al momento dell’uscita, anche questo è un gran bel gioco e ha meritato la sua messe di DLC. Tutto quanto comunque ormai recuperabile a poco durante i saldi sui negozi digitali, per la gioia di tutti.

Hearts of Iron

E non potevo di certo farmi mancare uno strategico duro e puro in un elenco del genere, no? Quale miglior occasione!

Se si parla di grand strategy ambientato durante la seconda guerra mondiale, non c’è proprio storia: dobbiamo rivolgere l’attenzione alla creatura di mamma Paradox, che meglio di tutti gli altri ci mette al comando di una nazione durante quel turbolento periodo, per vedere come ce la caviamo nel sopravvivere o nel mutare il corso degli eventi a partire dal 1936.

E per una nazione intendo una qualunque nazione che sia esistita in quel periodo, come da tradizione. E come da tradizione nei titoli Paradox, anche Hearts of Iron si focalizza su un aspetto principale nel metterci sulla poltrona di comando e, in modo del tutto adeguato al periodo, qui si tratta della guerra. Ma va?

Potrei spendere migliaia di parole sulla bellezza dei quattro titoli che a tutt’oggi fanno parte della serie (l’ultimo, il IV, è uscito giusto 3 anni fa), ma preferisco farvi immaginare la poesia di poter cambiare la storia del conflitto, di mutarne gli attori, di inseguire suggestioni storiche alternative.

Cosa sarebbe successo se l’Italia non si fosse alleata con la Germania? E se i nazisti avessero conquistato gli USA? E se gli USA stessi fossero diventati nazisti?

Mettete nel calderone, oltre alla allostoria mia adorata, ricerca scientifica, grande attenzione alla composizione degli eserciti, diplomazia, un modello che simula i rifornimenti e tanto, tanto ancora che non ho spazio per scriverlo.

Il capitolo con il quale ho speso più ore è senza dubbio il II; il III era mooolto più complicato, il IV ha aggiunto, tolto e rivoluzionato e soprattutto continua a crescere e mutare patch dopo patch.

Se volete uno strategico sulla seconda guerra mondiale che vi metta nei panni di Roosevelt o Stalin, è Hearts of Iron che dovete giocare.

Menzioni d’onore

Si, lo so che vi avevo detto che ve ne elencavo solo sei, ma come resistere a citare alcuni importantissimi titoli che sono arrivati sui nostri schermi in tutti questi anni senza fargli torto?

Mi viene in mente la serie Medal of Honor, che vanta in Allied Assault una delle prime riproduzioni realistiche dello sbarco in Normandia visto dagli occhi di un soldato; la serie Panzer General, per chi ama i wargame; o ancora, la storica serie tattica Close Combat o il curioso The Saboteur, un action in terza persona che ci metteva nei panni di un partigiano francese durante l’occupazione nazista di Parigi.

Questi mi sembrava un peccato lasciarli da parte: ma l’elenco potrebbe continuare per molte e molte altre pagine, tante quante quelle che servirebbero per raccontare tutte le tragiche storie di quegli orribili sei anni di disumanità.

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