Non è un gioco per vecchi

Non è un gioco per vecchi #37 – Commandos: Behind Enemy Lines

Estate del 1998.

Avevo appena terminato il primo anno di liceo e quell’anno i Mondiali di calcio si giocavano al di là delle Alpi, in terra francese.

Ricordo il sapore della scrocchiarella al rosmarino, mentre mio nonno mi chiedeva se Rolando (intendeva Ronaldo, chiaramente) fosse davvero il calciatore più forte del mondo e tra le mani stringevo la copia di una rivista che fino ad allora non avevo mai letto: The Games Machine, per gli amici TGM.

Si lo so che TGM è sempre stata un classico, per molti una vera fede, ma il mio “professionismo” da videogiocatore era cominciato soltanto l’anno prima con il mio primo PC. Avevo ancora molto da esplorare e le riviste erano il modo migliore, allora, per essere informati sulle proprie passioni.

Il numero in questione era quello di luglio/agosto 1998, circa 300 pagine di rivista, con in copertina l’immagine di Cloud Strife da Final Fantasy VII: due mesi erano lunghi da passare con molto più tempo libero e facevi in tempo ad impararle a memoria, le riviste. Quindi, oltre alla mia preferita PC Gamer e alla più leggera Giochi per il mio computer, quel mese cedetti alla curiosità ed acquistai anche TGM.

Ero proprio un pivello.

In quel caldo giorno di luglio, speso in parte sul balcone di casa dei miei nonni, ricordo distintamente una delle recensioni presenti nella rivista, che attirò immediatamente la mia attenzione e la mia curiosità, sia per quanto riguarda il tema di fondo, sia per quanto riguarda l’innovatività del gioco in sé.

Sto parlando del bellissimo Commandos: Behind Enemy Lines, che proprio quest’estate compie 20 anni tondi tondi e noi ci sentiamo molto più vecchi nello scrivere una roba del genere, ma orgogliosi nel dire “io c’ero”.

Commandos, opera prima dello studio spagnolo Pyro Studios, ci trasportava in pieno secondo conflitto mondiale; si trattava di uno strategico che, invece che darci in gestione il classico esercito, ci metteva al comando di un gruppo di soli sei uomini, super specializzati e senza paura: appunto, i Commandos.

Butcher, il berretto verde irlandese in grado di assolvere ai compiti più pesanti; Duke, il cecchino inglese; Fins, il marine sommozzatore australiano; Fireman, il geniere inglese armato di esplosivi, trappole e granate; Samuel, il pilota americano; ed infine Frenchy, la spia francese, in grado di camuffarsi ed utilizzare il veleno.

Questi i sei valorosi uomini che dovevamo condurre dietro le linee nemiche, lungo 20 infernali missioni con l’obiettivo di danneggiare la capacità bellica tedesca e portare gli Alleati alla vittoria finale.

Iniziate a pensare a come intrufolarvi lì dentro e a sabotare quei missili.

L’aggettivo infernale non l’ho usato a caso: Commandos era e rimane un gioco difficilissimo da portare a termine e le missioni proposte mettono a dura prova le capacità tattiche, l’inventiva e il sangue freddo di chiunque decida di comandare questo manipolo di eroi sul campo di battaglia.

Ciascuno dei personaggi e delle abilità speciali di cui essi dispongono deve essere utilizzata al massimo per avere una chance in mappe piene di nazisti, pericoli, allarmi, e avversità varie ed eventuali.

I Commandos hanno anche delle armi, ma l’approccio Rambo qui non paga affatto, è inutile, ci ritroveremmo defunti entro qualche secondo.

Nelle installazioni naziste dovremo saper agire nell’ombra, non lasciare traccia di noi ed agire con perfetto tempismo sia nelle azioni coordinate sia nell’evitare le ronde, contrassegnate efficacemente da coni visivi ed auditivi. Uno strategico che quasi sorride ai puzzle game, ma che lascia una straordinaria libertà di azione.

Questo gioco è infame, bastardissimo, difficile e meraviglioso, perché la soddisfazione nell’attuare un piano in modo impeccabile appaga davvero tanto, considerando, appunto, che non esiste un solo approccio alle missioni, anzi: astenersi poco creativi.

Ve lo dico, mentre scrivo mi è venuta voglia di riprovare almeno un livello, e non temo neanche troppo il ragequit: difficile sì, ma vuoi mettere aver pensato al modo perfetto per eliminare quella dannata guardia?

Quella nave lì deve affondare, capito?

Non so se sceglierei di dover saltare i pozzi di petrolio in Nordafrica, o di distruggere il gigantesco cannone Leopold su rotaia; o ancora, ve la ricordate la missione al porto, in cui bisogna impossessarsi di un sottomarino ed affondare un incrociatore tedesco? O la missione della funivia?

E che belli erano, i filmati di intermezzo?

La sporca mezza dozzina di Pyro fu acclamata dalla critica in quell’estate di venti anni fa, e con tutte le ragioni di questo mondo; da par mio, consumai il cd contenente la demo, che arrivò in settembre, lasciandomi favoleggiare sugli screenshot della recensione prima e su quelle due tostissime missioni poi, finché finalmente misi le mie mani sul gioco completo quando GMC, finalmente, lo allegò nell’aprile del 2001.

L’infatuazione non era finita e finalmente mi tuffai in quelle missioni con coraggio e determinazione, ma purtroppo non arrivai mai a vedere la ventesima missione, quella finale. Neanche misi le mani sul pacchetto di otto missioni aggiuntive “Beyond the call of duty” (prima che questo nome fosse mainstream, ndR).

Sono stato un codardo e devo rimediare, facendo ammenda per un peccato ancor peggiore: non ho mai provato l’acclamato seguito, uscito proprio nel 2001, chiamato Commandos 2: Men of Courage ed osannato come un vero e proprio capolavoro, che migliorava ed espandeva il primo capitolo, con missioni ancor più cervellotiche e due personaggi in più.

La storia dei Commandos continuò nel 2003 con Destination Berlin, che concluse la trilogia strategica; un’ultima apparizione dei magnifici sei si ebbe nel 2005 con il dimenticabile sparatutto in prima persona Commandos Strike Force, un clone mediocre di Call of Duty/Medal of Honor.

Questo fallimento provocò la fine del rapporto con Eidos e ora Pyro si dedica ai giochi mobile, ma l’eredità lasciata dal primo capitolo della sua fortunata serie è innegabile.

Effettivamente, Commandos: Behind Enemy Lines fondò un nuovo sottogenere di strategici, che portò ad alcuni interessanti discendenti come i Desperados, ambientati nel vecchio West, Robin Hood, che ci metteva al comando del ladro gentiluomo e dei suoi compari o, in tempi più recenti, all’apprezzatissimo Shadow Tactics: Blades of the Shogun, ambientato nel Giappone medievale.

Parlare di quel videogioco mi ha riportato alla mente quell’estate di venti anni fa, con i suoi sapori, le sue sensazioni e le fantasie di un quattordicenne qualunque che sognava di sconfiggere i nazisti, guardando quei magnifici screenshot sulle pagine di una rivista.

Commandos è un capolavoro, questo è appurato, ma per me lo è anche solo perché pensarci mi rievoca quei ricordi.

Non chiamateli solo giochini.

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