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Due chiacchiere con: Emanuele Scaringi (Pantafa)

Emanuele Scaringi

Un horror italiano che affonda le proprie radici nel folklore e nelle leggende popolari: Pantafa, la seconda opera da regista di Emanuele Scaringi, è nei cinema italiani dalla fine di marzo 2023. Per l’occasione abbiamo chiacchierato con il cineasta romano riguardo il suo film, la sua ispirazione e i progetti passati e futuri.

Clack: Da pochissimo è al cinema Pantafa, il tuo secondo lungometraggio: un horror basato su una delle figure del folklore italiano e nello specifico abruzzese. Come è nata l’idea alla base del film?
Emanuele: Purtroppo da poco e ancora per poco. Portare i film in sala è diventata un’impresa. Se volete vederlo al cinema, andate in questi giorni. L’idea è nata dalla lettura di uno studio scientifico sulle paralisi del sonno. Un terzo di chi ne soffre pensa dipenda da questa entità che si siede sul petto e non ti fa respirare. Non riuscivo a crederci, a volte abbiamo le storie sotto il naso e non ce ne accorgiamo!

C: Nella tradizione popolare dell’Abruzzo la Pantafica è un demone del sonno: come mai hai scelto di approfondire proprio questa figura, sconosciuta ai più? E come è nato il titolo “Pantafa“?
E: Facendo ricerche, della Pandafeche, Pantafrica, Pantafa, Pantafica si sa pochissimo. Cambia nome a seconda della zona, è conosciuta non solo in Abruzzo ma anche nelle Marche. Così ci siamo messi a raccogliere storie e a studiare Finamore, De Nino, c’è un racconto di Buzzati sull’ultima strega d’Abruzzo e perfino in Romeo e Giulietta c’è un’entità molto simile. Volevamo dare vita a un nostro mostro, che non avesse nulla da invidiare a quelli che arrivano da oltreoceano, da cui siamo solitamente invasi. Volevo un nome che non venisse modificato all’estero per un mostro che impaurisce e protegge al tempo stesso.

C: Secondo la tradizione, la Pantafica arriva nel sonno e blocca il respiro del malcapitato: ti è mai successo di ricevere una sua visita?
E: A me no, o meglio non precisamente. Però Tiziana Triana, la sceneggiatrice con cui ho scritto il film, ne soffre. A me capita, da buona tradizione contadina, magari quando esagero con il cibo e poi vado a dormire. A volta ho una sensazione simile, come di fame d’aria, che mi prende.

C: L’horror, soprattutto in Italia, viene spesso considerato un “genere minore”: quanto è difficile fare film horror in Italia?
E: Molto difficile. Ti prendono per pazzo, quando non per scemo. Viene sottovalutato, non passano gli spot e i trailer, programmano il film solo negli orari serali. Anche farlo è molto complicato, abbiamo smesso di fare genere, ci stiamo tornando dopo molti anni. Richiede molta preparazione e cura dei dettagli. Il suono, la fotografia, i costumi, la scenografia, il montaggio, i VFX. Anche il pubblico va ritrovato.

Emanuele Scaringi

C: Nel tuo film la paura viaggia sul filo dell’approfondimento psicologico e delle atmosfere: è stato difficile trasformare l’idea che avevi in mente in pellicola?
E: Mi piace molto la nuova ondata di horror che usano il genere per raccontare un tema sociale. Magari rinunciando a qualche jump scare o ad avere un risultato più facile ma che alla lunga creano un’inquietudine che ti accompagna e fa riflettere anche dopo la visione del film.

C: Nel film i riferimenti all’Abruzzo e alle sue tradizioni sono molti: che legame conservi con questa regione?
E: Mio padre è di Altavilla, una frazione di Montorio al Vomano. Mia madre di Vallinfreda, al confine tra Lazio e Abruzzo. Ricordo queste feste di piazza con il ballo della pupazza. Sono molto legato all’Abruzzo. Quando posso, ne approfitto per fare tour enogastronomici, faccio di tutto per farmi venire a trovare dalla Pantafa. È una regione assurda, con delle bellezze incredibili, molto poco considerata. Andrebbe valorizzata, va aiutata a crescere. Potrebbe vivere di turismo per le materie prime che offre. Il paese immaginario di Malanotte, dove è ambientato Pantafa, è un non luogo. Non volevo fosse riconducibile a un paese specifico ma che rappresentasse un po’ tutti i paesi.

C: Quali sono i tuoi punti di riferimento per quanto riguarda il cinema horror? Ti sei ispirato a qualcuno per la realizzazione di Pantafa?
E: Mi hanno influenzato molto i capolavori degli anni Settanta, anche non specificatamente horror come Cane di paglia e Deliverance. Rosemary’s baby, Don’t Look Now, Amityville. Un film spagnolo che si chiama Ma come si può uccidere un bambino? I Blumhouse: Get Out, The Visit, James Wan ma anche film non americani come Babadook o Lasciami entrare. Se devo dirti i miei preferiti però ti dico Freaks di Tod Browning e Near the dark di Kathryn Bigelow, la più grande regista vivente. Fortunatamente, ancora non capisco per quale motivo, ho avuto l’onore di avere come costumista la premio Oscar Gabriella Pescucci (L’età dell’innocenza, C’era una volta in America, Penny Dreadful per citarne solo alcuni): è lei ad aver ideato la Pantafa. Ha un trucco abbastanza leggero, è uno spirito in sottoveste. È Nina, la bambina interpretata dalla bravissima esordiente Greta Santi, che soffre di paralisi ipnagogiche, ad immaginarla così.

Emanuele Scaringi

C: Prima di Pantafa avevi diretto La profezia dell’armadillo, adattamento del graphic novel di Zerocalcare: cosa puoi raccontarci di questa esperienza?
E: Anche lì era uno dei primi tentativi di adattare al cinema un fumetto. Diciamo che cerco sempre delle sfide e che essere in anticipo sui tempi spesso è un grande rischio. È un film a cui sono molto legato. Leggevo Zerocalcare quando era ancora solo un blog. Vengo dalla stessa periferia: per la prima volta la generazione cresciuta negli anni Novanta, quella dei primi esclusi dal mercato del lavoro, dei figli che guadagnano meno dei padri e sono condannati ad essere degli eterni studenti, veniva raccontata con disincanto. Penso che sia come certe bottiglie di Montepulciano, magari non viene capito subito ma invecchia bene negli anni.

C: Sei un lettore di fumetti? Quali sono i tuoi preferiti?
E: Sono un lettore schizonfrenico: Gipi, Burchielli, Churubusco, Fior, Cosma & Mito, Buzzati, Palmiotti, Ennis, ma nessuno scrive il crime come Ed Brubaker e Jason Aaron. Malanotte di Taddei e La Came, uno dei possibili prequel della Pantafa ispirato al film. Mi piacerebbe molto portare al cinema Baru.

C: Hai esplorato il “cinecomic” e l’horror: qual è il genere che ti piacerebbe approfondire in veste di regista in futuro?
E: Mi piacciono le storie, il genere è il modo in cui provare a raccontarle al meglio. Credo il crime.

C: Ci sono altri miti e leggende abruzzesi che ti piacerebbe portare sullo schermo?
E: In realtà la leggenda della Pantafa non è stata svelata: ci sono solo degli accenni, sia nel film che nel fumetto Malanotte. Mi piacerebbe prima o poi tornare a raccontarne le origini. Farla diventare una saga, dove appaiono anche i mazzamurelli.

C: Qualche progetto futuro che puoi svelarci? Stai lavorando a qualcosa attualmente?
E: Sto lavorando a un film su Donato Bilancia tratto dal libro di Ilaria Cavo e a un progetto sul Totonero che è stato appena selezionato al festival di Berlino.

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