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Elden Ring – L’epopea dei Senzaluce

Recensione

Benvenuti tarnished!
Dopo lunga e spasmodica attesa, finalmente siamo entranti nell’universo (mondo sarebbe riduttivo) di Elden Ring, ultima ciclopica fatica di FromSoftware.

Gameplay

Lo anticipo subito: questa non sarà una recensione come le altre. Da una parte, le questioni tecniche (di cui comunque parlerò più avanti) sono note e ben poca cosa nei confronti di un concerto di emozioni che questo titolo è capace di regalare. Dall’altra parte, è bene dire che Elden Ring è una vera e propria esperienza totalizzante.
Non sono mai stato un grande patito di soulslike, e mi sono avvicinato al genere molto tardi, grazie unicamente a quel gioiello di BloodBorne, ma il motivo è semplice: prima di capire come approcciare i titoli FromSoftware, li prendevo di petto, dalla parte sbagliata.

Elden Ring non fa eccezione: l’esplorazione è sempre stata importante (e conseguentemente premiata), ma qui siamo ad un altro livello. E non parlo solo dell’immensa mappa, tutta da scoprire e sviscerare, ma parlo anche dei frammenti di trama (ci tornerò a breve), e soprattutto del nostro Senzaluce.
Vi ho raccontato delle dieci classi in questo articolo dedicato, qui torno unicamente nel dire che il nostro PG, soprattutto per quei coraggiosi che hanno scelto lo Sventurato è completamente plasmabile in base al nostro stile di gioco. Prediligere l’attacco da mischia rispetto a quello a distanza, le magie o i miracoli, o costruire una build ibrida, sono tutte possibilità ugualmente efficaci. Il gioco ci chiede di esplorare le nostre capacità, e la nostra abilità di leggere il mondo e trovarne le chiavi per procedere, adattandoci ad esso.

Vi faccio un esempio banale: dopo aver esplorato in lungo e in largo, mi sono accorto di aver potenziato un’arma con cui non mi trovavo a mio agio. Allora mi sono messo alla ricerca di nuove pietre per la forgiatura, così da potenziare un’arma a me più congeniale. Ripeto: non c’è un giusto o sbagliato tout court. Mi intrufolo in una miniera, dove vengo messo in scacco da mob particolarmente ostici, fino al momento in cui non decido di tentare un approccio con incantesimi di fuoco e armi da impatto (invece che taglio). Ebbene: non solo i mob sono andati giù in un attimo, ma anche il boss è stato quasi semplice da sconfiggere.

Ho raccolto un po’ di suggerimenti per neofiti in questo articolo, ma qui voglio dire unicamente che il fulcro è: non smettete mai di tentare, di sperimentare strade nuove e non lasciatevi abbattere dalla frustrazione.
Il gioco è difficile? Sì, molto. Ma non lo è eccessivamente. Soprattutto è molto corretto e decisamente premiante per chi lo approccia nel modo giusto. Ed è forse uno dei punti di forza maggiori dell’intero gameplay.

Esplorazione dicevamo: il mondo di Elden Ring è impreziosito da una mappa incredibilmente densa di cose da fare e scoprire. Ci sono pianure apparentemente vuote, ma basta prendere il cavallo e prendere una direzione qualsiasi per trovare qualcosa di nuovo da fare.
Dungeon da sviscerare, accampamenti da liberare, nuove armi e incantesimi da scoprire. Tutto è a portata di mano, basta solo abbattere quella massa di nemici che, per quanto abbordabili, è sufficiente distrarsi un attimo o sottovalutarli per essere messi a malpartito.

Elden Ring non è Dark Souls 4, anche se ne richiama lo spirito. Piuttosto è un ibrido tra DS e The Legend of Zelda: Breath of the Wild per l’immensa ampiezza di possibilità offerte.
Non mi stancherò mai di ripeterlo: l’essenza principale di questo titolo è spingersi sempre un po’ più in là, continuando ad esplorare, trovando il giusto equilibrio tra la curiosità prettamente umana di svelare l’ignoto, e il terrore di essere abbattuti sotto i suoi colpi senza pietà.

Scegliete una direzione, osservate in lontananza un possibile obiettivo e iniziate ad andare in quella direzione. Verrete distratti da qualcosa, lungo il cammino: va bene così, deviate, penetrate una catacomba e svelatene i muri illusori, poi riprendete la marcia, magari verso quell’albero luminoso che sembra rassicurante, ma ai cui piedi ci si presenta un guardiano ligneo decisamente ostico da abbattere.

La difficoltà del titolo non è un mero vezzo: siamo FromSoftware, facciamo giochi cattivi. Ripeto: il titolo è sfidante, difficile, deve essere letto e capito. Ma premia la devozione richiesta. Morire, morire ancora, perdere rune, ripartire da capo, provare e riprovare: fa tutto parte della filosofia del gioco, della sfida contro se stessi a non demordere, a migliorarsi, a trovare soluzioni alternative.

Ed è tutto.

Trama

Questo paragrafo potrebbe essere condensato in una sola frase. Non perché ci sia poca trama, tutt’altro, ma perché come è norma per i titoli FromSoftare, il genio creativo di Hidetaka Miyazaki ha messo a frutto la mitologia pensata dal vecchio George Martin, ma ha disseminato il mondo di indizi, frammenti, sussurri. Ricostruire la trama è un’impresa titanica, che richiede non solo lavoro e pazienza, ma anche tanto studio.

Quel che sappiamo, in partenza, è davvero molto poco: siamo dei Senzaluce alla ricerca dell’Anello Antico. Sulla nostra strada, una strada che percorre un mondo in decadenza, altri Senzaluce, creature diaboliche, mostri di ogni forma e sostanza e tanta, tanta morte e disperazione.
Non mancano i PNG, personaggi con cui possiamo interagire brevemente, per acquisire maggiore conoscenza sul mondo attorno a noi, su quanto accaduto e quanto potrebbe accadere in futuro. Questi personaggi sono spesso legati a quest secondarie (per non dire terziarie) ed è davvero difficile capire quali invece sono punti focali per sottotrame che altrimenti andranno perdute.

Non è certo un caso se titoli come questo devono essere giocati più volte: non è solo per svelare i diversi finali (tre legati ad obiettivi/trofei, ma sono ben sette le combinazioni possibili), ma anche per scoprire percorsi e pattern lasciati in sospeso, non sperimentati. Vi dico che ci sono persone che ancora adesso, a distanza di molti anni, scoprono cose nuove in BloodBorne, magari frutto del caso o dell’ordine in cui si svolgono certe missioni. E quello non è un open world. Questo sì.

C’è un rovescio della medaglia: abbiamo visto come i titoli di questa casa sono tutti da esplorare e sviscerare, per poter ricostruire cosa si cela al di sotto della superficie. Se andate a caccia di lore, un titolo come Bloodborne (tanto per citare sempre lo stesso), richiede ore ed ore di esplorazione, di analisi dei frammenti storici, di inferenza sugli indizi. Ecco: moltiplicate tutto per un open world immenso. Forse troppo: ammetto che, per quanto mi stia appassionando, faccio davvero fatica a ricucire insieme i pezzi di lore così disseminati. Certamente tutto avrà il suo filo logico, tutto è interconnesso. Ma che fatica: serve prendere appunti, come a scuola.

Comparto tecnico

Per darvi un’idea della vastità del lavoro svolto da FromSoftware, sappiate che oltre alla mappa, enorme, che potete apprezzare fin da subito, ci sono intere aree nascoste e liberamente esplorabili: alcuni altamente evocative, che richiamano nella componente artistica, il tema della compenetrazione degli universi, o dei piani di esistenza.
Se esplorate il fiume Siofra, scoprirete che un interminabile ascensore vi porterà nelle viscere del terreno, dove troverete, ad attendervi, uno splendido cielo stellato.
Esatto: c’è tutto un’universo da esplorare e scoprire anche sotto la superficie.

Ma non di sola componente artistica si vive, giusto? Grantempesta è una location, un castello, che a mio avviso è impreziosito dal miglior level design che io abbia mai visto in decenni di videogiochi. Per un appassionato di high fantasy, di Dungeons & Dragons in particolare, come me, è stato come entrare e vivere un sogno ad occhi aperti: avrei voluto fotografare ogni singolo angolo per riproporlo nelle mie campagne di master. Il castello è strepitoso, su più livelli, affascinante da scoprire, coi suoi passaggi nascosti e percorsi alternativi, diabolicamente mortale per le sue trappole e i suoi avversarsi in attesa.

Non tutto, però, è perfetto. Più un gioco è vasto e più è facile cadere in qualche intoppo tecnico. Il combattimento a cavallo, a mio avviso, è il classico tallone d’Achille: si tratta di una meccanica intrigante, potenzialmente molto interessante per affrontare alcune situazioni. Però la sua realizzazione lascia molto a desiderare. Spesso si litiga coi comandi, non si riesce a centrare bene l’obiettivo e più di una volta mi è capitato di volare da qualche burrone perché il cavallo non risponde come atteso.

Se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, giocando a 60fps (consigliato) qualche sbavatura grafica c’è, così come qualche fastidioso effetto popup. Stiamo però veramente cercando di spaccare il capello su un’opera monumentale, ma se cercate in giro sui social le varie opinioni, scoprirete che queste sono le uniche cose a cui si aggrappano i detrattori del genere (dire “è troppo difficile” non attacca più, per intenderci).

Fantastico anche il comparto audio, sebbene privo della componente tridimensionale, come dichiarato da Yasuhiro Kitao, produttore di FromSoftware. Soprattutto per la sua precisa e puntuale manifestazione: ricordo ancora il brivido lungo la schiena quando, a termine di un’arrampicata particolarmente ostica, il rumore del vento è stato sostituito da una dolce melodia, intonata da una voce femminile. Un momento poetico, a valle di un percorso doloroso, ma che aveva, nei suoi timbri, qualcosa di stonato, di sbagliato. Era il preludio per un combattimento molto più ostico di quanto non avrei voluto immaginare.

Conclusioni

Se non vi sono bastate tutte le mie parole, per capire cosa ha da offrire Elden Ring, onestamente non so più cosa dirvi se non che il web si è già popolato di tonnellate di video, wiki, articoli e guide. Solo un lavoro così totale può dare vita ad una mole di lavoro e passione di questo livello.
A tal proposito, lasciatevi consigliare i nostri video gameplay sul canale Twitch.

Nerdando in breve

Elden Ring è il miglior soulslike mai realizzato.

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