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Star Trek: Discovery – Analisi della terza stagione

Attenzione: l’articolo contiene spoiler.

Siamo arrivati quindi alla fine della terza stagione di Star Trek: Discovery. Una stagione che segna un profondo solco di rottura col passato: una rottura enorme, di quasi 1000 anni.

La Discovery, quindi, abbandona il nostro tempo sul finale della seconda stagione, e viene proiettata in un futuro ignoto e terribile in cui la Federazione, faro illuminante e guida per ogni suo membro, è ridotta ad un cumulo di macerie, ombra di se stessa e ben lontana da essere quel punto di riferimento per tutti i pianeti.

In questo futuro quasi distopico, i nostri lotteranno con le unghie e coi denti per scoprire cosa abbia causato il “grande fuoco”, ovvero la distruzione simultanea di tutti i motori di curvatura, annientando di fatto la Flotta Stellare.
Dopo le prime puntate di avvicinamento, in cui impariamo a conoscere questo nuovo universo, inizia una seconda fase di stagione brillante, in cui la nostra nave è chiamata (come vuole tradizione) a risolvere problemi, esplorare, portare i valori della Federazione in giro per la galassia nel tentativo di ricucire quel che è stato rotto.

L’espediente narrativo del futuro remoto ha consentito agli sceneggiatori di avere ampio margine di manovra: si sono liberati finalmente della zavorra “pre-Kirk” e hanno potuto dare libero sfogo alla fantasia. Niente più limiti tecnologici, niente più vincoli politico sociali.

Tecnologia

La tecnologia è uno dei pilastri di Star Trek, lo è da sempre. Dopo tanti anni però eravamo arrivati ad una sorta di impasse: metà delle mirabolanti invenzioni, che hanno affascinato il pubblico a partire dagli anni ’60, sono già state inventate (tablet, cellulari, tricorder, ecc), e l’altra metà non la vedremo mai (teletrasporto, motore a curvatura, ponte ologrammi). Insomma: la componente di sorpresa e meraviglia ormai era un antico ricordo. Lanciarci 1000 anni nel futuro ha consentito di scardinare il vincolo tecnologico e di introdurre tecnologie mai viste prima.
Ammetto che il teletrasporto personale, il tricorder in realtà aumentata e i mobili che si riassemblano a comando sono pezzi di primissimo ordine e che mi hanno riconsegnato quell’emozione straordinaria che provavo da bambino nel vedere Picard con un pad in mano: “vorrei tanto che esistesse davvero”.

Continuity

Una delle maggiori critiche proveniente dal fandom (il male assoluto di qualsiasi serie TV) era dovuto alla continuity: se la Discovery ha un motore a spore che le consente di viaggiare ovunque nella galassia, com’è possibile che tutte le navi stellari non abbiamo introdotto una cosa del genere e sono rimaste vincolate al dilitio? Se la Voyager avesse avuto un motore a spore il suo viaggio di rientro sarebbe durato dieci minuti, invece che sette stagioni, e, a mio avviso, sarebbe anche stato molto meglio (nonostante il mio amore incondizionato per Robert Picardo).
Perché Spok dice che nessun ufficiale della Flotta ha mai disertato e vediamo Burnham fare le peggio cose più e più volte, dimostrato un’incredibile attitudine ad infrangere le regole?
Ebbene, abbiamo avuto la nostra risposta: la Discovery, e tutto il suo equipaggio, è stata cancellata dalle cronache della Federazione, e con il suo motore lontano nel futuro remoto nessuno ha più potuto sviluppare quella tecnologia, con o senza plantigradi.

Ci siamo anche liberati dell’insopportabile imperatrice terrestre Georgiu (è inutile: gli episodi dello specchio proprio non mi vanno giù): un gancio per il futuro spin-off dedicato alla Sezione 31?

Infine, cosa non da poco, la seconda stagione ci ha consegnato l’attesissimo spin-off su Pike, che avrà modo di mostrare la sua brillantezza senza l’ingombrante presenza della Discovery.
E sì: non vedo l’ora che esca Star Trek: Strange New Worlds.

Emozioni

Un altro degli elementi che hanno contraddistinto la serie è stato il mare di lacrime versato dai suoi protagonisti, Burnham e Tilly in primis.
Convengo sul fatto che ci sono tante tante puntate emozionali, mentre noi siamo abituati a vedere equipaggi della Flotta in cui il senso del dovere, di appartenenza e coesione sono superiori a qualsiasi cosa. Gli ufficiali non sono immuni alle emozioni, ma sono capaci di controllarle, dominarle e metterle all’ultimo posto. Ricordate quando Worf arriva in ritardo al turno sul ponte di comando perché sta cercando Kahless l’Indimenticabile? Picard gli paventa l’abbandono della divisa, se non è in grado di mettere i propri desideri dopo quelli della nave su cui serve.

Che farebbe Picard a Burnham?

Tuttavia posso dire tranquillamente, forse a seguito della mia prossima senilità, che non mi è dispiaciuto un equipaggio così emozionale e partecipe: li ho trovati molto umani, molto veri, molto vulnerabili. E proprio in virtù di questa vulnerabilità, apprezzo ancor di più gli sforzi compiuti per senso del dovere e del sacrificio.
L’ultimo episodio, inoltre, ci consegna un equipaggio meno coeso e granitico di come era all’inizio: Saru si prende una pausa per riscoprire il suo mondo (e se stesso); Paul Stamets non perdonerà facilmente Michael Burnham per la sua scelta di mettere in pericolo la vita di Hugh Culber, come si relazionerà col suo (nuovo) capitano?
Gli ufficiali di plancia, invece, dopo l’eccezionale esperienza del finale saranno sicuramente più uniti e coesi di prima: spero che in futuro avranno maggior spazio e potremo approfondire le loro storie.
Adira, infine, è un nuovo e brillante personaggio. L’interesse non è solo dovuto alla sua natura non-binaria, che continua a dimostrare Star Trek come il più inclusivo dei franchise, ma ci mette a disposizione ampio margine di manovra sull’approfondire l’affascinante universo Trill. Per completezza, anche la sua interprete Blu del Barrio si dichiara non-binaria.

Comprimari

Questa stagione ha introdotto almeno quattro personaggi secondari degni di nota. Dal lato dei “buoni” mi ha convinto molto l’ammiraglio Charles Vance, che è il classico militare tutto d’un pezzo ma che è anche capace di scendere a compromessi e di ascoltare. Osyraa, tra i cattivi, mi è sembrato molto azzeccato: ho apprezzato in modo particolare che il villain fosse una Orioniana. Da sempre relegati al ruolo di schiavi sessuali, ho apprezzato come fosse proprio una di loro a tenere le fila della Catena Smeraldo, come se la sua malvagità, per altro non gratuita e fine a se stessa, servisse a ripagare secoli di sfruttamento della sua razza.
Una parola va spesa su Cleveland Booker, lo farò tra poco.

Il rovescio della medaglia

Ovviamente non è tutto oro quello che luccica. Non tutto mi ha convinto a pieno e ci sono alcuni elementi che mi hanno lasciato perplesso.
Iniziamo dal finale telefonatissimo che vede protagonista Booker: onestamente mi è sembrata una soluzione un po’ debole e forse uno dei punti più bassi della sceneggiatura dell’ottimo finale. Per il resto Cleveland Booker è il classico guascone, mezzo criminale e mezzo eroe, affascinante ma abbastanza scontato e banale. Forse la cosa che mi ha entusiasmato di più, oltre alla sua nave che cambia forma a piacere, è il suo gattone Ruggine.

Ho sentimenti contrastanti per quanto riguarda l’evoluzione di Vulcano che corona il sogno di Spok (qui le lacrime sono state mie, in quell’episodio) di vedere Vulcano e Romulus finalmente riuniti. Lascio il tutto in sospeso, aspetto di scoprire nella prossima stagione se ci saranno approfondimenti sull’evoluzione della società di Ni’Var. Per ora posso dire di aver apprezzato molto sia la conferma che Discovery si svolge nella timeline classica e non nell’universo Kelvin, sia il richiamo all’Assoluto Candore, introdotto meno di un anno fa nella serie Picard.

L’ho già accennato prima, ma lo ribadisco: manca l’approfondimento degli ufficiali di plancia. A parte Tilly, del cui carattere conosciamo anche le sfumature, mancano all’appello personaggi intriganti come Detmer, Owosekun, Rhys e Bryce. Spero davvero che nella prossima stagione avremo modo di apprezzarne di più le doti recitative; ne abbiamo avuto un assaggio, e mi è piaciuto.

Infine gli episodi specchio: vi prego, basta. Basta. Vi chiedete se è o non è Star Trek? Ecco: l’universo specchio è l’insieme di tutto ciò che non è Trek. Basta: se voglio guardarmi una serie con umani cattivi mi guardo The Expanse.

Conclusioni

ST:Discovery chiude a mio avviso in crescendo: di stagione in stagione il franchise migliora e mi piace sempre di più. Dopo un avvio traballante e “troppo klingon”, dopo una seconda stagione folgorante ma troppo legata a mostri sacri del franchise (Pike e Spok), ora Discovery dimostra di essere capace di stare in piedi sulle proprie gambe, ha davanti a sé un (spero) lungo futuro ricco di nuove avventure, di colpi di scena, di fantastici nuovi mondi.

E che belle le nuove divise! Non solo sono futuristiche e piene di stile al punto giusto, ma rappresentano il coronamento di quella rottura di cui parlavo all’inizio: è la fine del vecchio, l’arrivo del nuovo.

Che capitano sarà Michael Burnham? Sicuramente diverso dagli altri, fuori dagli schemi. Insomma: non vedo l’ora di scoprirlo.

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