Abbiamo avuto modo di parlare a lungo del ritorno di Star Trek, grazie alla piattaforma Netflix e del mondo in cui questo ritorno abbia spaccato il fandom da un lato, ma riunito lo stesso dall’altra parte: rivitalizzando emozioni e sentimenti assopiti, quasi sterilizzati da quella mezza sozzura dell’universo Kelvin (grazie JJ) e destinati a guardare e riguardare ancora le vecchie serie.
ST:DIS ha rappresentato un enorme punto di rottura col passato. Diversa la generazione, diverso il gusto del pubblico, diversa la piattaforma di fruizione. Il risultato è stato un prodotto che ha scioccato i fan, talvolta in modo positivo (come me), altre volte in modo negativo. Un po’ come l’arrivo del Tredicesimo Doctor Who, insomma.
C’è però un personaggio che sembra mettere quasi tutti d’accordo, ed è Sylvia Tilly, interpretata dalla bravissima Mary Wiseman, attrice americana classe 1985 con una carriera ancora da sbocciare.
Il problema è il modo in cui ha unito i fan: Tilly infatti è odiata praticamente da tutti. E se non da tutti basta leggere un po’ i messaggi della community per vedere post su post di astio nei suoi confronti, con gente che si augura addirittura la sua uscita di scena.
Mi sono quindi domandato il perché di tanto fervore nei suoi confronti e stamattina ho avuto l’illuminazione: Tilly siamo noi.
Una doverosa premessa: fin dai suoi albori Star Trek ci ha mostrato equipaggi grandiosi, con protagonisti perfetti: belli, intelligenti, in gamba, dediti al sacrificio e capaci di mettere il bene superiore (anche di razze aliene) davanti al proprio. “Il bene di molti viene prima del bene del singolo” diceva Spock sacrificando la sua vita. Ed è esattamente così che siamo abituati a vedere i membri della crew.
Certo, a volte ci sono contrasti, difficoltà e relazioni umane complesse; ma tutto ciò viene presto messo da parte, superato grazie alla grandezza dei sentimenti e dell’intelletto di ogni singolo elemento dell’equipaggio.
Persino Reginald Barclay e Ro Laren riescono ad uscire dal loro guscio (ST:TNG).
Tutto questo fa parte della visione utopistica di Roddenberry: l’umanità si è evoluta, ha raggiunto un nuovo livello di coscienza ed ha, al primo posto, l’obiettivo della scoperta e dell’eccellenza.
Ma Tilly non eccelle: certo è in gamba, intelligente e brava in quello che fa; ma soprattutto è imperfetta: è umana. Dice parolacce, si esalta per i successi invece che limitarsi ad una composta alzata di sopracciglio, è passionale, irruente; parla tanto, a volte troppo; è carina, ma non è bella: un po’ sovrappeso, non ha le gambe di Nichelle Nichols, non ha la bellezza conturbante di Denise Crosby.
Certo siamo abituati a vedere creature strane, ma o sono aliene (e ributtanti come i ferengi, gli xindi e compagnia bella) o sono comunque molto simili agli umani, e sono di aspetto sempre gradevole.
Tilly invece ha questi capelli impossibili da domare e come se non bastasse ha dei piccoli inestetismi sulla faccia. Insomma: è una persona dannatamente normale.
Ed è questo che la rende così insopportabile: Tilly è lo specchio della nostra umana fragilità, delle nostre debolezze, dell’incapacità di accettazione di noi stessi quando siamo lontani dai canoni di bellezza e perfezione superiore. Il nostro inconscio si ribella a tutto ciò, il super-io si erge in tutta la sua imponenza a giudice supremo del tribunale della mente: perché una donna normale è lì? Perché lei ha la possibilità di vivere sulla pelle quello che per noi è solo un sogno irrealizzabile. E (soprattutto): perché lei sì e noi no?
Noi umani siamo creature meschine: invece che gioire del successo altrui, festeggiamo dei fallimenti condivisi, perché questo ci rende meno soli nella nostra fallacia. Quando vediamo Picard, o Janeway o Sisko, noi vediamo qualcuno che è legittimato ad essere in quel posto perché è talmente lontano da noi che cessa di essere umano e diventa un simbolo etereo: come un affresco della cappella Sistina, vicino ma irraggiungibile.
Tilly, invece potrebbe essere ognuno di noi e nessuno di noi si merita di essere lì perché siamo imperfetti. Quindi non se lo merita nemmeno lei.
Ed è questo il motivo per cui Tilly è il mio personaggio preferito di Star Trek: Discovery. Perché, perdio, se ce la fa lei… allora ce la posso fare anche io. Se imparassimo tutti ad avere come esempio qualcuno che sia veramente alla nostra portata e non su un altro piano di esistenza, allora questo sarebbe davvero un modo concreto di migliorarsi. Piccoli passi, ma inesorabili, verso quegli strani e nuovi mondi che sono dietro casa nostra e che invece di attrarci come il polline per le api, ci terrorizzano e ci fanno regredire ogni giorno di più.
Tilly siano noi, ed è bellissima proprio per la sua normalità.
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