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Star Trek: Discovery – Analisi della prima stagione

Star Trek Discovery

Attenzione: contiene alcuni minori spoiler sulla stagione

Star Trek: Discovery. Ovvero: Lo specchio siamo noi.

Dopo aver analizzato a fondo il pilota della nuova serie Star Trek, torno a parlarvi della mia saga preferita per tirare le somme su quella che è stata la prima stagione di questo incredibile ritorno sul piccolo schermo.

Come abbiamo già avuto modo di osservare nel precedente articolo, ST:DIS è un nuovo modo di pensare Start Trek. Cambia la struttura della serie, cambia la dinamica degli episodi, cambia la psicologia dei rapporti tra i personaggi. Il franchise è stato svecchiato, rimodernato e ripensato per il gusto di oggi. La dura lezione di Enterprise è stata imparata e, a mio avviso, messa correttamente in pratica.

Non sono mancate le critiche: perché le divise sono blu? Perché la tecnologia è più avanzata rispetto a TOS? Perché è tutto così cupo? Dove sono la speranza, l’esplorazione, la scoperta? Insomma: dov’è il mio STAR TREK, quello con cui sono cresciuto e che ho amato per 51 anni?

Al di là delle sterili questioni su cui sono già stati spese infinite parole e su cui non intendo tornare, gli sceneggiatori hanno fatto un grandissimo lavoro. Ma soprattutto non hanno fatto finta di nascondersi dietro un dito: i fan li hanno accusati di non aver messo in scena un vero equipaggio affiatato e loro hanno risposto: “Ma dai? Non lo sapevamo… quelle erano persone casualmente finite sullo stessa nave, ma ora, dopo 6 mesi di storie incredibili, ora sono finalmente un equipaggio”.

Ed è vero: la cosa straordinaria di ST:DIS (che poi è sempre stato il rovescio della medaglia delle serie precedenti) è la dinamicità. Con alcune eccezioni, gli episodi di Star Trek delle varie serie possono essere fruiti quasi in qualsiasi ordine. Gli equilibri sono statici, al limite del ridicolo, se non del surreale. Davvero c’è qualcuno disposto a credere che un equipaggio come quello dell’Enterprise D, così eccezionale, sia condannato per sempre a non fare carriera? Il capitano non diventa mai ammiraglio, il comandante non prende mai un comando e così via? Certo che no: fa parte della sospensione dell’incredulità e ci è sempre andato bene così. Avevamo il nostro equipaggio, sempre quello, e questo contribuiva a quel senso di serenità che da sempre permea il franchise.

Ma i tempi sono cambiati, e molto. Cambiati al punto in cui non si può tornare indietro. Chi lo nega è un nostalgico, e in parte lo sono anche io: ma come disse una vecchia saggia “guardare indietro distrae da ciò che abbiamo davanti”.

E allora andiamo avanti. Lo spazio è un posto dannatamente pericoloso e sì, si muore. Lo abbiamo scoperto vedendo sparire personaggi che in altre serie sarebbero stati considerati principali, intoccabili; ma soprattutto abbiamo dovuto fare i conti con un processo evolutivo costante: le persone che abbiamo conosciuto nel pilota non sono le stesse che troviamo alla fine. Sono cresciute, sono cambiate, e sono, ora sì, dannatamente Trek. Ma quanta fatica per arrivarci. Pensateci un attimo: Non è forse la stessa cosa che ci capita quotidianamente? Non siamo tutti in viaggio e in continua evoluzione? Qualcuno di noi può dire di essere la stessa persona di uno, cinque o dieci anni fa?

La cosa che più mi ha colpito, però, è un’altra. Appena giunti nell’universo specchio (tanto amato da molti trekker) ho immediatamente storto il naso. Il motivo è semplice: se amo Star Trek è perché mi mostra un futuro meraviglioso per la razza umana, uno che vorrei si realizzasse davvero. L’universo specchio è la sua esatta negazione. De facto è quello che diventeremo noi uomini se avanzeremo di tecnologia senza evolvere filosoficamente e psicologicamente.

A quel punto, finalmente, ho capito: l’universo specchio siamo noi. Gli sceneggiatori hanno ambientato l’intera seconda parte della stagione nel mirror universe proprio per mostrarci, con cruda lucidità, che l’odioso Impero Terreste non è così lontano da quello che siamo noi essere umani, come specie, giornalmente.

Come dichiarato da Jason Isaacs, la grandezza degli sceneggiatori è stata quella di affrescare un universo specchio che non risultasse ridicolo, esageramene macchiettistico. Quello che dichiarano i Terresti potrebbe essere quello che ognuno di noi pensa in un momento di avvilimento, nel giorno in cui si è alzato col piede sbagliato o in cui si sente un po’ egoista.
Star Trek: Discovery ci ha mostrato il futuro a cui stiamo andando incontro. Se non iniziamo a cambiare, fin da ora, il nostro modo di essere, il nostro destino non è la Federazione Unita dei Pianeti, ma l’Impero Terreste.

Non posso concludere senza fare un’immenso plauso per l’intero cast. Star Trek mi ha sempre abituato a vedere sullo schermo attori di altissima levatura, ma con Discovery abbiamo avuto in regalo una squadra semplicemente eccezionale. Credibili nella loro imperfezione, appassionati, concreti, fallibili e terribilmente umani: in una parola, veri. Avrei voluto ci fosse un po’ più di spazio per gli altri ufficiali di plancia, ma confido nella prossima stagione.

Splendido, a mio avviso, il finale: ci ha riconsegnato la Federazione che ricordavamo, quella che ci mancava e di cui avevamo un disperato bisogno. Una delle migliori conclusioni che io ricordi dai tempi di “Ieri, oggi, domani” ma se lì era toccante come con una singola frase venissero riassunti setti anni di personaggio (“mi sarei dovuto unire a voi molto tempo fa”), qui tocchiamo vette epiche. A quanti è rimasto l’amaro in bocca per il discorso di Archer che NON ci hanno fatto sentire al termine di Enterprise? Il monologo conclusivo di Sonequa Martin-Green non è bello, è devastante: travolgente, terrificante e affascinante come una supernova alla quale non possiamo sottrarci nonostante il suo potenziale distruttivo. Raccoglie in sé tutto ciò che fa dei trekker quello che sono.

A mio modestissimo avviso, chi non ha amato ST:DIS è perché non l’ha capito fino in fondo, ma noi trekker abbracciamo e rispettiamo soprattutto chi non è d’accordo con noi. Questo è quello che siamo.

Un’ultima nota la devo dedicare agli ultimi 30 secondi dell’ultimo episodio. Chi l’ha visto sa già cosa sto per dire, per tutti gli altri: smettete di leggere subito.
Ho iniziato a piangere nel momento in cui è apparso a video quello stralcio di transponder “NCC 17…”, vi lascio immaginare cosa sia successo nei secondi successivi.
Solo un fan service? Forse sì, forse no: personalmente non posso che ringraziare, e non vedo l’ora di avere tra le mani la seconda stagione.

Star Trek: Discovery

 

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