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Cowboy Bebop di Netflix: bello e impossibile (?)

Cowboy Bebop

Io non amo gli anime. Non sono un appassionato del medium dell’animazione giapponese, ma come molti, grazie ai pomeriggi di Italia 1 e soprattutto grazie all’Anime Night di Mtv, mi sono visto la mia dose di serie più o meno interessanti.

E nonostante la mia avversione verso i cartoni giapponesi, Cowboy Bebop è nella mia personale top 3, probabilmente al primo posto e una delle mie serie preferite in assoluto.

Per questo, mi sono sentito incuriosito dall’annuncio di un adattamento live action, (creato anche con la consulenza del regista dell’originale, Shin’ichirō Watanabe) senza particolari timori: se fosse stato una schifezza mi sarebbe bastato continuare a guardare l’anime. Arriva il 19 novembre 2021 e diamine, mi sono incollato allo schermo. Oh, mi è piaciuta. Mi è piaciuta davvero!

Ovviamente, attenzione agli spoiler perché farò menzione di alcune parti abbastanza in là nella stagione, per cui se non volete rovinarvi la sorpresa, fermatevi ora!

Recensione

Nel valutare un adattamento, sono fermamente contrario ad utilizzare l’aderenza al materiale originale come metro di giudizio, dal momento che, se stiamo parlando appunto di una storia adattata ad un altro medium, non ha senso basarsi sulla forma di provenienza per gustarsela. Partiamo però dal presupposto che sì, il Cowboy Bebop di Netflix ha delle differenze con l’anime, a livello di trama, di personaggi e di atmosfera.

Questo non è necessariamente un male, anzi. L’unico “problema” dato dal fatto di conoscere già la storia è che questa prima stagione non è altro che la trama, un po’ rimescolata, di una decina di puntate dell’anime e quindi bene o male si sa dove si va a parare.

Per il resto, mi sono trovato davanti a un’opera più interessante di quanto potessi sperare, per quattro motivi ben precisi.

Colonna sonora

Una delle colonne (eheheh) portanti di Cowboy Bebop, creata originariamente dalla compositrice Yoko Kanno, che è tornata a lavorare sulla nuova serie con nuovi brani e remix degli originali, compresa la leggendaria TANK! della sigla iniziale. Poco da dire: la qualità è alta e ogni pezzo dà il giusto carattere alla scena, senza mai stonare e soprattutto senza mai rimanere anonimo. Difficile trovare una colonna sonora con un carattere così ben definito in una serie TV. Vero, ti piace vincere facile se parti da una base del genere, ma niente vietava alla produzione di prendere una strada più anonima e meno ispirata.

Sì, c’è la parte della caduta dal rosone della chiesa.
Sì, c’è il coro di Ballad of Fallen Angels con i flashback.
Sì, quando è partita la musica mi è venuto il brividino.

Trama

Come dicevo poco prima, la sinossi è ancora quella: due cacciatori di taglie dell’anno 2071, Spike Spiegel e Jet Black, viaggiano nel sistema solare a bordo del Bebop alla ricerca di nuove taglie per mandare avanti la baracca. A loro si unisce Faye Valentine, una cacciatrice senza ricordi che li accompagna (quasi contro la loro volontà) in giro per lo spazio. Ben presto, il passato oscuro di Spike come membro della mafia interplanetaria chiamata Sindacato, torna alla luce portando di nuovo i fantasmi del suo ex-partner Vicious e della bella Julia, la donna amata da entrambi, che si dimostrerà essere più di ciò che sembra.

La storia è abbastanza orizzontale, anche se ogni puntata ha una vicenda diversa come centro di tutto. Ogni episodio, comunque, si prende il suo tempo per mostrare come la trama principale vada dall’essere una sottotrama del quale si hanno giusto alcuni indizi, al motore principale della serie, rendendo gli eventi una conseguenza del passato di Spike che torna a galla, più che un pretesto per parlare di esso.

Personaggi

Ecco, questa è sicuramente la parte migliore della serie. Il casting è perfetto, in particolare (per quanto riguarda il terzetto principale) quello di Mustafa Shakir nei panni di Jet. John Cho e Daniella Pineda fanno un ottimo lavoro attoriale, tenendo a mente che comunque i personaggi di Spike e Faye hanno alcune differenze con gli omologhi animati e soprattutto considerando la particolare atmosfera che tutta la produzione ha, di cui parlerò più avanti.

Spike è un personaggio più cupo e meno rilassato e Faye spinge un po’ meno sul fare la finta dura e si ammorbidisce abbastanza velocemente, ma la dinamica resta quella di tre “amici-nemici” che piano piano iniziano a conoscersi e ad essere sempre più amici.

Nonostante l’alchimia fra gli attori principali sia davvero niente male, è il resto del cast a convincere. Come nell’anime, ci sono personaggi che compaiono per una puntata, ma in questa versione di Cowboy Bebop ci sono molti più personaggi ricorrenti che trovo decisamente più interessanti degli originali (sì, lo so, avevo detto che non facevo confronti). Ana, Gren, Chalmers e tutti i vari membri del Sindacato sono facce interessanti che danno vita a personaggi più convincenti e quindi a un mondo più vivo. Nell’anime, questi erano quasi tutti personaggi che si vedevano per poco e ridotti ad archetipi funzionali al setting della puntata stessa. C’era il criminale da western, la coppia Bonnie & Clyde, il pazzo fatto e finito, il poliziotto corrotto. Tutti portati in live action, ma non più solo arredamento di un’atmosfera in cui i protagonisti si muovono.

Complice la durata doppia delle puntate della serie Netflix? Secondo me sì. 40-45 minuti di episodio aiutano molto a dar vita a un personaggio, anche se compare per una sola puntata, ma aiutano anche a sviluppare bene i protagonisti intorno alla vicenda del momento.

Brillano soprattutto Vicious e Julia, interpretati in modo fantastico rispettivamente da Alex Hassell e dalla stupenda Elena Satine. Se nella serie animata questi erano veramente poco più che personaggi simbolici, infarciti di frasi fatte, in questa versione di Cowboy Bebop diventano a tutti gli effetti personaggi secondari di una trama secondaria che va infine a scontrarsi con quella principale, prendendone praticamente il controllo sul finale.

Vicious è un pazzo scatenato, ma ogni aspetto della sua follia viene esaminato e nonostante questo la sua violenza resta imprevedibile e improvvisa. È un villain che non è un antagonista (per buona parte della stagione) ma si fa sentire come presenza malvagia della serie. Riesce a farti cambiare la visione che hai dei personaggi e ha un finale assolutamente non scontato, che si presta a interessanti sviluppi. Questo proprio perché è forse il personaggio che è stato scritto meglio e quindi, se chiunque altro fosse nella stessa situazione, il risultato sarebbe prevedibile, ma con lui no. 

Julia è però la vera sorpresa, che si presenta come una soubrette o poco più, ma che puntata dopo puntata si stratifica facendoti pensare, anche se hai già visto l’anime, che “ah, lei non è come pensavo”. La sua storia viene raccontata, vengono mostrate le sue esperienze e gli eventi che la definiscono e alla fine è il personaggio più “vivo” di tutti. È lei che, guarda caso, è sempre al centro di ogni vicenda fondamentale per la storia di Vicious (e spesso anche di Spike, ovviamente). È lei quella che mostra la maggior varietà di emozioni e situazioni. È lei che ti resta in mente quando finisci la serie. 

Poi c’è Ed. Sì, Edward Wong Hau Pepelu Tivruski IV fa la sua comparsa negli ultimi minuti della stagione, come rimando bello e buono all’eventuale seconda stagione e… beh, è Ed. Sembra uscita dall’anime, il che rende un po’ perplesso anche me, ma anche questo va a mio parere inserito nelle considerazioni sull’atmosfera.

Ah, una redattrice a caso (Penny) ci tiene a far sapere che c’è un corgi. Ovviamente è Ein ed è stupendo e intelligentissimo come sempre e inoltre SPARA VIDEO DAGLI OCCHI! (vedere per credere).

Atmosfera

Ed eccoci dunque al punto caldo. Ciò che definisce Cowboy Bebop animato e che avrebbe dovuto definire Cowboy Bebop live action. E lo fa, l’atmosfera c’è, ma è un’atmosfera… strana.

Non è semplice da spiegare e durante tutta la visione mi sono trovato ripetutamente interdetto dalla direzione che voleva prendere la serie. Parto subito dicendo che un cambio rispetto all’originale era quasi dovuto. Come dicevo all’inizio, se volevo vedere un rifacimento 1:1 facevo prima e mi riguardavo l’anime.

La strada che hanno puntato, al di là delle varie atmosfere “tematiche”, (inteso come western, noir, arti marziali, horror) è quella del B-movie con cambi di inquadratura repentini ed esageratamente cinetici, battute deliberatamente trash, personaggi fuori luogo e momenti comici caratterizzati da recitazione un po’ “over-the-top.

E funziona, o meglio funzionerebbe, se la produzione si fosse votata totalmente all’utilizzo di questo stile, dal momento che il più grande difetto (e l’unico, a mio parere) di questa serie è che non sembra avere il coraggio di essere completamente strana e si barcamena fra dei tentativi di estro più o meno riusciti a momenti in cui si prende molto sul serio, senza però riuscire a fare centro su tutti. Mentre le sequenze più ricche di pathos e violenza sono perfettamente riuscite, l’anima di Cowboy Bebop, cioè le situazioni più leggere, sono un po’ come delle battute che vengono dette male e non fanno ridere proprio tantissimo e non sai se sono discorsi seri o sciocchezze.

Questo succede soprattutto nelle puntate centrali, dove il registro è sempre un po’ altalenante e mai ben definito, in un modo che rende un poco stranito lo spettatore. Il mio sospetto è che il tentativo fosse quello di dare un sapore tarantiniano al tutto… senza però esserci di mezzo Quentin Tarantino. Se fossero andati in una direzione ben precisa di citazionismo dei B-movie d’azione più o meno moderni la cosa sarebbe stata molto più interessante, divertente e soprattutto efficace. 

Se devo trovargli un neo, è un neo abbastanza grosso, perché sembra sempre che gli attori, non i personaggi, stiano cercando di fare qualcosa che però non riesci a capire. Vedi che c’è qualcosa che sta succedendo, ma non riescono a farlo con gli strumenti che gli hanno dato e questa sensazione è relativa soprattutto alle interazioni fra Jet, Spike e Faye, cosa che non giova proprio a favore della serie. Ed, nei pochi secondi in cui la vediamo, è completamente fuori di testa e sembra comportarsi in modo identico al cartone animato, con tutta l’assurdità del caso.

Per fare un paragone con un film che è stato anch’esso amato e odiato, il sapore di questa atmosfera ricorda molto lo Speed Racer delle sorelle Wachowski. Anche questo, adattamento di un anime (molto più vecchio però) che cercava di portare sullo schermo uno stile molto particolare riuscendoci solo a tratti, proprio come il nuovo Cowboy Bebop.

In conclusione

Ho guardato la serie senza il prosciutto della nostalgia sugli occhi e con uno stato mentale che non mi richiedeva di portare riverenze a un qualcosa di sacro, pena l’indignazione massima. Questo mi ha sicuramente permesso di godermi senza problemi Cowboy Bebop, che non è un prodotto perfetto, ma sicuramente è godibilissimo. A posteriori, ha le sue ovvie differenze con l’originale, ma nonostante questo riesce a camminare sulle sue gambe e questa è la cosa fondamentale.

Spero di vederne una seconda stagione, perché le ambientazioni, i personaggi, le storie hanno senso di essere raccontate e mostrate. I variopinti e dettagliatissimi set, la fotografia originale, gli ottimi costumi (in linea con l’estetica della serie) sono tutte caratteristiche di cui non ho parlato ma che meritano di essere viste e valorizzate ancora e quindi, adesso più che mai, mi sento di dire:

SEE YOU SPACE COWBOY

Nerdando in breve

Cowboy Bebop live action è una scommessa riuscita, lontana dalla perfezione, ma soddisfacente e godibile a patto di non farsi accecare dalla nostalgia e dall’insensato desiderio di aderenza all’originale. 

 

 

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