Ne ho già fatto cenno all’interno dell’articolo redazionale del mese scorso, ma nel frattempo ho finito anche la seconda stagione e non provavo una tale febbre per la prossima da tanto, tanto tempo.
Come già detto, ho schivato la serie per una mia naturale antipatia nei confronti di Seth MacFarlane e dei suoi prodotti (che considero troppo demenziali per i miei gusti), tuttavia spinto dal fandom di Star Trek che ne ha detto un gran bene, mi sono convinto a provarla.
The Orvile è una vera e propria dichiarazione d’amore a tutto quello che Star Trek rappresenta per i suoi fan: l’esplorazione dello spazio, l’evoluzione della razza umana verso una collaborazione coesa e vincente, il confronto con razze e culture aliene, il rispetto reciproco, e molto, molto altro.
Quando un vero trekker mette mano alle sceneggiature, la differenza si vede (come ho già detto in occasione di Star Trek Beyond) ma qui c’è un plus che l’originale non potrebbe, né potrà mai permettersi: la componente triviale.
Ricordo ancora bene la quantità di proteste dei fan durante la visione di ST:Discovery relativa al fatto che alcuni dei personaggi, in alcune rare occasioni, adottassero un linguaggio “colorito”. Perché, a quanto pare, secondo la visione di Roddenberry quando l’umanità si sarà evoluta a sufficienza, non ci sarà più bisogno di ricorrere alle parolacce per esprimersi (ricordo che in The Next Generation la trivialità viene lasciata solo ai klingon, e rigorosamente in lingua autoctona).
Ebbene, in The Orville questo paletto non c’è: abbiamo battute a sfondo sessuale esplicite, parolacce, insulti (magari in amicizia) e tutto quello che fa parte del vulgus, del linguaggio colloquiale che tutti noi usiamo. Insomma: in questa astronave scalcinata abbiamo personaggi veri, reali, concreti. Evoluti e avanzati, certo, ma pur sempre umani: fallibili e imperfetti.
Ma non solo: il vero punto di forza sono le storie, le trame episodiche. La struttura è un bel misto di orizzontale e verticale, con una prevalenza di quest’ultima. Pieno stile trek, quindi, ma decisamente svecchiato. Ma soprattutto ho visto mettere in scena gli orrori e le brutture della nostra società attuale, ovviamente declinate in salsa ST grazie al pretesto delle razze aliene. Mi riferisco all’accettazione del diverso, all’omofobia e al fanatismo religioso. Il tutto naturalmente tradotto in chiave fantascientifica, spesso ribaltando i punti di vista.
Splendidi gli episodi dedicati a Bortus e al compagno, incentrati su questa società in cui sono tutti maschi e quando nasce una femmina è una vergogna per l’intera famiglia.
E, attenzione: non è Star Trek… il lieto fine, per come lo intendiamo oggi, non è affatto scontato.
Non mancano i riferimenti ai grandi episodi delle serie storiche, con citazioni a Data e al MOE che faranno sorridere di nostalgia i cuori più nostalgici.
E per finire, come se non bastasse, The Orville vanta un’eccezionale numero di cameo da parte di molti attori che sono apparsi in Star Trek. Che volete di più?