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Upload – L’immortalità è immorale

Lo ammetto: ci sono passato davanti, facendo surfing sul catalogo, un bel po’ di volte ma l’ho sempre ignorato, bollandolo istintivamente come commediola romantica di scarso interesse. Se non avessi letto, per puro caso, una recensione su questa serie Amazon Prime, mi sarei perso qualcosa di eccezionale.

Vestita come una commedia in cui l’amore cerca di sopravvive alla morte, Upload è invece uno spaccato di implicazioni morali che atterriscono. E, oltretutto, dà una risposta netta all’antico dilemma umano: se potessi, vivresti per sempre?
Beh, la risposta avrebbe dovuto essere ovvia fin dall’origine dei tempi, ma non è stato così. Ora è molto più chiaro che, in una società prettamente consumistica, l’unica cosa che possiamo rispondere è: “Dipende dal prezzo”.

E il prezzo da pagare, in Upload, è davvero micidiale. Ricordate quel famoso mantra “se un prodotto è gratis, allora il prodotto sei tu?“, bene qui siamo alla sua massima applicazione.
Per chi non lo sapesse: in Upload la società ha imparato a caricare su cloud la coscienza degli individui, per cui chi può permetterselo, poco prima di morire la fa trasferire in uno dei molti servizi (a pagamento) in modo da continuare a vivere per sempre… o almeno, finché resta qualcuno che paga le bollette.
Naturalmente esistono servizi per ogni tasca: dai più economici ai più cari, e gli acquisti “in-App” assumono qui una veste del tutto diversa. Non ne abbiamo bisogno, siamo morti, ma vuoi mettere il piacere di farsi una bella colazione? Perfetto, basta pagare un extra. Oppure una passeggiata a cavallo? E che ne dite di fare sesso con qualche altra coscienza? Nessun problema: basta pagare.

E chi non ha soldi? Beh, per loro c’è il servizio base, quello a consumo. Dopo aver esaurito i giga ci si ferma fino al mese prossimo: paralizzati in un nulla in bianco e nero mentre tutti gli altri vanno avanti.
Ma non solo: dopotutto, se siamo morti, a meno di non aver da qualche parte lasciato un fondo pantagruelico a nostro nome, le nostre spese sono sostenute da qualcun altro, qualcuno che, de facto, possiede il nostro account, ovvero ha potere di decidere qualsiasi cosa sulla nostra coscienza, cosa possiamo o non possiamo fare. E se decidesse di staccare la spina? O di cancellarci?

L’immortalità diventa già meno piacevole, vista così, vero? Siamo disposti ad esistere per sempre, ma nelle mani di qualcun altro?

Ma veniamo ad un’altra implicazione morale dalla potenza devastante: siamo ancora noi? La coscienza è trasferita in toto, con tutti i suoi ricordi e la sua personalità. Il corpo però non esiste più. Siamo ancora noi? L’equazione umana, la cosa che ci distingue dagli altri individui della nostra specie, quella che qualcuno chiama anima, è questo quello che siamo?
Molti, tra cui anche io, direbbero di sì, e allora mi domando: e se la nostra coscienza venisse trasferita all’interno di un robot domestico? Saremmo sempre noi? Basta l’autoconsapevolezza per far di noi un individuo, come diceva Descartes?
Se avete qualche dubbio, provate a rivedere l’episodio Bianco Natale di Black Mirror per capire quanto sia difficile dare una risposta a questa domanda.

Ma diciamo pure che la nostra coscienza sia effettivamente digitalizzabile e trasferibile da una parte all’altra come un software (qualcuno ha detto “Dottore olografico di emergenza”?), chi vieterebbe allora di crearne delle copie del tutto identiche? E se la nostra coscienza non è altro che la somma dei nostri ricordi, del nostro vissuto e delle nostre esperienze, allora quale delle copie sarebbe l’originale? Tutte o nessuna?

Ultimo, ma non meno importante elemento di analisi, è il rapporto dei vivi con gli “upload”, le coscienze nel cloud. Nella serie sembra che l’umanità abbia fatto un passo avanti e sia in grado di relazionarsi con queste coscienze a prescindere dalla forma, fisica o digitale, e dalla sua “custodia” (qualcun altro ha detto “Takeshi Kovacs”?) e quindi grazie a monitor, a device del tutto intangibili (chi non vorrebbe avere uno smartphone che si apre solo muovendo la mano), e a tute multisensoriali, in un qualche modo i vivi e i morti mantengono un rapporto anche dopo l’upload.

Questo sembra essere un aspetto altamente positivo, perché vuol dire che siamo andati oltre il semplice concetto di esistenza fisica. Peccato che poi basti rifiutare una chiamata per innalzare nuovamente quelle barriere che tanto amiamo avere attorno, barriere che però possono erigere solo i vivi, perché un software, alla fin fine, può sempre essere controllato da chi sta dall’altra parte.
Non è quindi una nuova declinazione di schiavitù mascherata da evoluzione umana?

Insomma: se non lo avete ancora fatto, correte a guardare Upload, e fatelo con la mente bene aperta perché non è detto da nessuna parte che il mondo che ci circonda non sia, in realtà, una mera simulazione digitale, gestita da qualcuno che nemmeno sappiamo esistere.

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