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Volt – Che vita di Mecha #6 – L’occhio della tigre

Volt Che vita di Mecha #6

Sì, proprio “quella” tigre. Quella che ha accompagnato Rocky nella sua preparazione fisica e mentale, quella che mettiamo noi ad alto volume quando abbiamo bisogno di darci un bella carica, una carica di quelle che ti fanno spaccare il mondo, o lottare per i tuoi sogni.

Recensione

Con il sesto di volume di Volt, siamo giunti alla fine della prima stagione edita da Saldapress. Tempo di bilanci, quindi, e soprattutto tempo per il nostro povero Mech di fare i conti con se stesso. Una sensazione che tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita: quella di mettersi davanti allo specchio, togliere tutte le maschere e tirare due somme su quanto abbiamo realizzato e quando il nostro sogno nel cassetto abbia una reale possibilità di uscirne.

Torniamo così al punto di partenza: con Volt che finalmente riprende in mano il suo fumetto e decide di darci dentro, di fare quell’ultimo passo e andarsi a proporre a vere case editrici, in modo da coronare il suo vero sogno, quello di diventare un fumettista.

Che sia un numero diverso dagli altri appare chiaro fin all’inizio: eravamo abituati ad avere un preambolo del vecchio Volt ai suoi nipotini, mentre stavolta piombiamo direttamente nel cuore della storia e, soprattutto, nell’epico scontro generazionale tra la madre (severissima) e il figlio (sognatore).

Ma, come dicevo, è tempo di bilanci. Tempo in cui molte decisioni devono essere prese e The Sparker non lesina sulle proprie emozioni, infondendole in quello che è certamente il volume più maturo della stagione.
Intendiamoci: le gag esilaranti a cui siamo stati abituaci ci sono ancora tutte. Tuttavia in questo caso diventano soprattutto un elemento di contorno. Per chi ha la mia età, e quelle fasi le ha già superate da un pezzo, si tratta di un tuffo nel passato catartico: la crudezza con cui le disillusioni ci vengono messe in piazza può far sorridere chi quei sogni li ha ancora vivi e vivaci nel cuore, ma riempie di amara realtà chi invece è dovuto scendere a patti con se stesso e ha già superato la fase dei compromessi, quella in cui si capisce che non sempre si può avere tutto dalla vita.

Ma questo volume non è solo la chiusura di un arco narrativo e il trampolino di lancio per il prossimo: tutte queste cose ci sono, certo, ed è un bene che il cliffangher finale sia di quelli col botto, di quelli che ti fanno contare i mesi che ti separano dalla prossima stagione. Tuttavia c’è molto di più.

Con una sapienza e una facezia quasi Gaddiana, The Sparker mette in scena uno dei più antichi drammi della nostra cultura: il senso di colpa con cui molti maschi italiani sono stati allevati ed educati dalle rispettive severe madri. In un tentativo spesso goffo (e qui magistralmente parodiato) la madre è quella che cerca di trovare il giusto equilibrio tra bastone e carota, spesso eccedendo in una delle due direzioni.

Ecco che infatti molti nodi vengono al pettine: con un disequilibrio di junghiana memoria, Volt vive la propria quotidiniatià in famiglia con la sola madre (del padre non si ha mai notizia) che quindi si è evidentemente fatta carico di entrambe le figure, materna e paterna, cosa che chiunque mastichi un po’ di psicodinamica, sa essere l’antro delle psicosi più diffuse nella nostra società. Senso di colpa, quindi, per gestire un’esuberanza giovanile che in nessun altro modo riesce ad essere arginata.

Questo porta tutto ad un unico nodo: dove siamo disposti ad arrivare pur di fare quello che riteniamo giusto per i nostri figli? Quali compromessi siamo disposti ad accettare? Quali dolori siamo disposti a distribuire e quali vogliamo invece evitare?

Difficile commentare oltre senza sfociare nello spoiler più crudele, tuttavia posso dire che sono rimasto stupefatto dal modo lucido e sagace con cui tutti i perché vengono spiegati, dal modo in cui la “verità” ci viene sbattuta in faccia: con il battipanni tanto caro alle nostre nonne, se volete, con quella crudezza che lascia senza fiato e porta a divorare pagina dopo pagina in attesa di un prossimo capitolo che suderemo sette camice prima di avere tra le nostre mani.

Considerazioni

Volt – Che vita di Mecha #6 è probabilmente il volume più intimo e personale di The Sparker che, come ci ha rivelato nell’intervista di inizio ciclo, è fondamentalmente alter ego di Volt: anche lui fumettista, anche lui dietro il bancone di una fumetteria.

Emerge non solo dalla trama, ma anche dalla raffinata satira con cui dileggia il mondo delle pubblicazioni indipendenti e della faticosa gavetta 2.0 che gli autori di oggi si trovano ad affrontare.

Non conoscendolo personalmente posso solo fare alcune supposizioni su quanto ci sia della sua esperienza personale in questo volume, ma sono pronto a scommetterci che sia stato capace di parlarci del suo cuore facendoci sorridere e questo non fa che aumentare la mia stima in lui come autore e come artista.

Nerdando in breve

Volt – Che vita di Mecha chiude alla grande la sua prima stagione, manifestando una maturità tanto inattesa quanto gradita.

Nerdandometro: [usr 3.3]

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