Recensione
Rivoluzione copernicana in vista?
Sicuramente una rivoluzione c’è: con l’eccezione di alcuni sporadici titoli oltre oceano, l’intera saga di Assassin’s Creed si è giocata nel vecchio continente, spaziando tra numerosi secoli, culture, regioni.
Abbiamo attraversato le sabbie mortali dell’Egitto, abbiamo scalato la granitica virilità degli dei dell’Olimpo, abbiamo ammirato la maestosità del Rinascimento italiano, solcato mari e oceani, indossato maschere veneziane, piume dei nativi americani, duellato a fil di spada coi pirati dei Caraibi, dribblato i moschetti della rivoluzione francese e le lame di Jack lo squartatore. Abbiamo partecipato alla congiura contro Giulio Cesare, impugnato il Mjolnir, Excalibur, la Lancia di Leonida e chi più ne ha ne metta. Pranzato con la regina Vittoria, Cleopatra, Napoleone e Leonardo da Vinci.
Insomma: stiamo parlando di tutto lo scibile della cultura europea (e per buona parte italiana), da Anubi a Zeus a Thor. Dagli antichi Egitto, Grecia e Roma fino ai misteri del Medioriente, al voodoo caraibico, ai miti norreni e druidici. Se qualcuno stava pensando che ormai non c’era più nulla da impiattare, senza ricorrere a Dracula e Frankenstein, non è molto lontano del vero. Per questa ragione, una volta conclusa la trilogia reboot, ho salutato con grande entusiasmo il totale cambio di rotta (culturale) che di fatto ci proietta a 12 ore di volo intercontinentale e ci porta dritti dritti nel Giappone feudale.
Questo è Assassin’s Creed Shadows. Grazie a Ubisoft per averci presentati.
Trama
SACRILEGIO! UN SAMURAI NERO!!!
E altre amenità simili accompagnano da sempre il lancio del celebre franchise giunto ormai alla sua quattrodicesima incarnazione e che, come amo ripetere ogni volta, è uno dei miei preferiti in assoluto, nonché quello che mi ha fatto decidere di comprare una gaming console, ai tempi di AC:II.
Ormai lo avrete letto ovunque: uno dei due protagonisti è un uomo africano di nome Yasuke che si basa su un personaggio storico realmente esistito e che arrivò in Giappone al seguito del gesuita e missionario italiano Alessandro Valignano alla fine del XVI secolo e che servì con il titolo di samurai. Ubisoft, al di là delle normali licenze poetiche, è da sempre estremamente attenta al rispetto della verosimiglianza storica (ricordate la splendida modalità didattica di AC: Origins?), e anche questo capitolo non fa eccezione.
Smarcata la sterile e immancabile polemica, passiamo alle cose serie.
Il franchise accusa ormai da molti, molti anni una certa stanchezza di fondo. Come ho già detto in passato, il grosso problema, dopo la fine dell’arco narrativo di Desmond, è stato a mio avviso non riuscire a mantenere quel dualismo presente-passato che aveva reso celebre i primi capitoli. Che senso ha sviscerare il passato se non c’è una nodo intrigante da sciogliere nel nostro presente?
Anche nella trilogia reboot, nonostante l’ottimo lavoro in termini di gameplay, questo problema si è riproposto relegando ai margini la narrazione contemporanea in una trama decisamente dimenticabile. E voglio aggiungere una nota personale: ricordate come sbloccare il salto della fede abbia avuto una valenza narrativa imponente? Una pietra miliare nel percorso evolutivo del personaggio? Ultimamente, invece, pare che chiunque possa buttarsi da qualsiasi altezza anche prima di entrare in contatto con Assassini (o Occulti) vero, Eivor Varinsdottir?
Ma veniamo al contesto storico di AC:Shadows.
L’ambientazione è quella del Giappone feudale, verso la fine del 1500, durante il periodo noto come Azuchi-Momoyama. Siamo al termine dell’età Sengoku, caratterizzata da grandi guerre civili. In questo periodo la figura di riferimento è Oda Nobunaga che dopo una gloriosa vittoria contro il clan Takeda, raccoglie i frutti delle sue fatiche diventando l’uomo più potente del Giappone.
Il gioco esplora il Giappone centrale con le regioni di Kyoto, Kobe, Osaka e la provincia di Iga, con castelli storici fedelmente ricreati, come quello di Takeda.
All’interno di questo contesto, quindi, andremo a conoscere le vicende dei due protagonisti e del modo in cui le loro storie si intrecciano. Starà a noi, in molti casi, scegliere con quale dei due personaggi affrontare le missioni, e grazie a questo avremo modo di esplorare le vicende di Yasuke e di Naoe, personaggio immaginario ma con un forte riferimento storico (figlia del reale shinobi Fujibayashi Nagato). Dovremo ricostruire gli episodi del loro passato e modellare la loro personalità attraverso scelte che oscilleranno continuamente nel delicato equilibrio tra vendetta e giustizia, corruzione e redenzione.
Questa opzione di interscambio tra i due protagonisti, però, arriva abbastanza tardi nel gioco. Le prime 10/15 ore dopo il prologo saranno dedicate interamente a Naoe, alla sua formazione e al suo passato. E sulla base di quanto esploreremo dell’ampia mappa, potrebbe volerci anche di più. Armatevi quindi di pazienza (oltre che di shuriken) perché prima di scoprire la storia di Yasuke ci vorrà del tempo.
Una parola per quanto riguarda il secolare scontro tra Assassini e Templari. Senza spoilerare, possiamo sicuramente dire che il focus, come era facile immaginarlo, sia molto lontano dalla lotta che attraversa da millenni il bacino del Mediterraneo. Non mancano i riferimenti e questo titolo non risulta avulso dal filone della saga, però risulta decisamente marginale. Alla fine delle 60 ore circa richieste per completare le quest principali, restano molte più domande che risposte e, ahimè, anche un po’ di amaro in bocca.
Sul fronte della trama del presente, se poco avevamo visto ultimamente, qui vediamo ancor meno: l’unica novità è la presenza di una nuova entità, senza volto e senza forma, che ci guida misteriosamente nella scoperta del passato dei due protagonisti. Un po’ deludente, a mio avviso, ma spero sia solo il seme di un nuovo ramo narrativo interessante. Magari lo scopriremo con i DLC.
Gameplay
La trilogia reboot aveva svolto un lavoro egregio nel tentativo di svecchiare il franchise da meccaniche ormai trite e ritrite. Se ricordate la maggior novità di Assassin’s Creed: Syndicate era stata il bat-rampino. Mentre con Origins, e ancor più con Valhalla, l’intero impianto si era proiettato verso un open world di grandissimo respiro (forse troppo in alcuni casi) con un’esplorazione abbastanza libera e plasmabile dall’utente, che sostanzialmente poteva optare per un approccio più furtivo o più diretto, senza grossi vincoli preimposti.
Con AC Mirage, un capitolo intermedio, si era poi tentato un ritorno alle origini, in cui lo stealth era parte fondamentale dell’esperienza di gioco. E arriviamo quindi a Shadows, dove viene fatta un’altra scelta: invece che optare per un approccio piuttosto che un altro, invece che scegliere se giocare nei panni maschili o femminili, i protagonisti si sdoppiano. A differenza del già citato Syndicate, però, in cui il gameplay restava sostanzialmente invariato, qui siamo di fronte a due protagonisti decisamente diversi tra loro.
Da un lato abbiamo il samurai Yasuke che, come potete immaginare, farà dell’approccio frontale il suo punto di forza.
Dall’altro abbiamo invece la shinobi Naoe; per lei l’approccio è ovviamente quello del ninja: parkour, stealth e lama celata (“ma cosa ci fa la lama celata degli Assassini in Giappone?”, vi chiederete voi).
Insomma: perché scegliere quando puoi avere tutto? E per tutto intendo anche e soprattutto una maggior profondità narrativa e un approccio al gioco più ragionato in cui il giocatore deve impegnarsi per valorizzare al massimo le abilità del singolo nel contesto ambientale in cui si trova.
Al livello pratico, però, occorre segnalare che spesso la scelta finirà per cadere inesorabilmente sul samurai: la sua capacità di attacco, la versatilità nell’uso delle armi (archibugi compresi) e la sua resistenza ai colpi lo rendono sempre l’opzione migliore quando si devono affrontare ondate di nemici e boss di area.
Ovviamente possiamo potenziare i molti rami delle abilità rendendo anche la piccola shinobi una guerriera formidabile, ma devo dire che le sezioni stealth, sebbene più curate e soddisfacenti che in passato, spesso sono comunque ovviabili dal carro armato samurai che entra e spacca tutto.
Intendiamoci: molto è stato fatto per spingere ad optare per l’approccio furtivo, con l’uso di shuriken, fumogeni, rampini, attacchi attraverso le pareti o i fusuma (le porte scorrevoli), spegnendo le luci e muovendosi nell’ombra. Tutti dettagli che ho davvero apprezzato ma che, alla lunga, cedono il passo alla ripetitività degli ambienti, che siano templi, villaggi o castelli e che non danno un reale vantaggio rispetto alla scelta dell’attacco frontale, se non il gusto stesso di un approccio ninja.
Tra le componenti di esplorazione ho notato un tentativo di cambiamento rispetto al passato: raggiungere i punti di sincronizzazione (sempre ben in alto e con nido d’aquila annesso) non apre la mappa riempiendola di punti d’interesse, ma ci dà comunque una visuale d’insieme e ci consente di identificare cose interessanti nei dintorni che, però, dovremo poi marcare manualmente.
Similmente, quando dovremo trovare persone o cose sull’ampia mappa (siamo sui livelli di Origins), non avremo come per magia l’indicazione precisa, ma solo approssimativa. Ci vengono però in soccorso le “vedette”: alleati che potremo reclutare, addestrare e migliorare nel nostro rifugio, per inviarle ad esplorare per noi. Questo, de facto, riduce l’area di esplorazione, dando un pizzico in più di varietà al gameplay.
Il rifugio riprende alcune delle meccaniche dei titoli del passato: potremo modificarlo e potenziarlo, raccogliere alleati e sfruttarli per commerci e missioni.
Se devo essere onesto, alla lunga anche questa componente di gioco risulta abbastanza superflua, ma per gli amanti del crafting c’è un motore di personalizzazione abbastanza soddisfacente. E possiamo anche portare a casa cani e gatti, per allietare le giornate di tutti.
Infine una parola sui combattimenti: con due personaggi dalle tecniche così diverse, molta attenzione è stata data ai movimenti, alle finisher e alle tattiche. Il tutto funziona abbastanza bene, anche grazie ai diversi perk sbloccabili che consentono di arricchire il roster di mosse e abilità. Non siamo a livelli di spettacolarità cinematografica, però un po’ di influenza del cinema si sente e vedere i protagonisti nelle loro danze di morte regala attimi soddisfacenti.
Il problema, semmai, risiede nella (ancora) ripetitività: dopo un po’ viene naturale pestare furiosamente e rapidamente sui tasti per risolvere in fretta la pratica e dedicarsi al prossimo obiettivo.
Comparto tecnico
AC: Shadows è stato sviluppato da Ubisoft Québec, lo stesso studio alle spalle di Syndicate (non a caso l’ho citato più volte) e Odyssey (confesso, quello che mi è piaciuto meno dei tre). Ho accolto generalmente bene la notizia del rinvio del lancio: certo lo aspettavo con ansia, e dal 15 novembre 2024 al 18 marzo 2025 non è certo uno scherzo, ma Ubisoft ha attuato a mio avviso un’ottima politica, rimborsando i preordini e garantendo l’accesso gratuito alla prima espansione, Gli artigli di Awaji, a tutti i giocatori che avrebbero piazzato un nuovo pre order.
La giustificazione del ritardo è stata quella di migliorare il prodotto e, vista l’esperienza precedente, (ho dovuto aspettare un bel po’ di patch per poter platinare Valhalla) sono convinto che maggior attenzione per un lancio più curato valga bene qualche mese di attesa in più.
Ho giocato la mia versione di prova su Xbox Serie X e ho avuto modo di scegliere tra tre possibili configurazioni: performace, qualità e bilanciata. Come ormai sappiamo da altri titoli, nel primo caso cediamo un po’ di resa grafica per una maggiore fluidità (60fps) mentre se vogliamo godere del massimo splendore dell’universo di gioco, dovremo accontentarci di 30fps. Questo nonostante il titolo sia pensato unicamente (finalmente) per le nuove generazioni di console.
Alla fine, il suggerimento è di optare per il compromesso bilanciato, con 40fps, attivabile però solo per coloro che possiedono un monitor a 120/240 hz e cavo HDMI 2.1.
Nonostante questo, devo però dire che sono rimasto un po’ deluso della resa delle animazioni. Mi aspettavo davvero molto di più; anche se i protagonisti son ben disegnati, molti dei comprimari risultano un po’ poveri di poligoni, per non parlare dello scollamento che spesso avviene tra voce ed espressività, che dà la sensazione di veder muovere delle marionette.
Ci torneremo tra poco, ma intanto voglio rimarcare la presenza del doppiaggio italiano, sempre ottimo, che ho preferito nonostante il parere contrario del nostro Giando, che gioca tutto in giapponese (credo anche FC e NBA2K).
Cosa funziona
Il Giappone è bello, feudale è anche meglio. Buona parte del fascino giunge dalla filosofia, dalle molteplici arti, dal bushidō, dalla bellezza degli scorci e dalla struggente bellezza del sakura in primavera.
Il motore delle stagioni, così come del ciclo giorno e notte, è un piccolo gioiello di dettagli sia visivi che di gameplay e di questo va dato grande merito a un lavoro certosino degli sviluppatori. Al cambio della stagione, infatti, avremo non solo diversi elementi ambientali che influenzeranno il gameplay (come camminare sulla neve o far cadere colonne di ghiaccio dai tetti) ma anche il rientro delle vedette e la raccolta dei proventi.
Altro elemento per cui mi sento di premiare la scelta di introdurre le stagione è la possibilità di mitigare la ripetitività dei paesaggi urbani. Se la natura selvaggia (tra montagne, ruscelli e foreste) è a dir poco sublime, le città e i villaggi sono invece piuttosto scarni e ripetitivi. Non è per mancanza di cura, anzi, ma per restare fedeli alla realtà storica. Di recente ho visitato il villaggio samurai di Shirakawa e posso assicurarvi che la rappresentazione dei villaggi nel gioco è assolutamente fedele; per questo l’alternanza stagionale dà quel tocco di varietà in più che fa la differenza.
Io, che non sono un grandissimo conoscitore del Giappone, mi sono comunque emozionato nel ritrovare elementi, magari anche solo di sfondo, che ho potuto apprezzare nella mia visita del paese. Cito, solo per fare un esempio, i jinja (i santuari) che presentano, come da tradizione, i chōzubachi: le ciotole d’acqua in cui sciacquarsi le mani, ricche di fregi, decorazioni e statue votive.
Ecco: questi piccoli dettagli sono quelli che rendono vera, palpabile, l’immersività nel mondo di gioco della saga.
Dal punto di vista del gameplay nudo e crudo, ho apprezzato il doppio personaggio e doppio approccio alle missioni, così come la fruizione non lineare della storia: i punti di meditazione, ad esempio, si accompagnano ad un minigame (ringraziamo per la scomparsa dei cairn) ma non sono fini a se stessi: danno invece accesso a missioni di gioco che ci aiutano a ricostruire il passato dei nostri eroi, e la loro evoluzione prima di giungere al tempo “presente”.
Cosa non funziona
Purtroppo Assassin’s Creed Shadows non è esente da difetti. La prima cosa che mi ha fatto storcere il naso è stata la qualità dei visi, sia durante il gameplay che soprattutto durante le cutscene: animazioni legnose, movimente stereotipati, labiali approssimativi. Onestamente mi aspettavo, se non un’evoluzione rispetto al passato, almeno lo stesso livello raggiunto in Valhalla, e invece sembra aver fatto un passo indietro, come con Mirage.
Intendiamoci: il gioco da questo punto di vista è completamente fruibile, per cui rimarco invece un problema decisamente più serio. La storia nel suo complesso è decisamente dimenticabile, suona come già visto e già sentito in ogni suo aspetto. I personaggi sono abbastanza noiosi e ricalcano gli stereotipi del genere: dal mio punto di vista la scrittura avrebbe meritato molta più attenzione e molto più lavoro di fino, perché c’è il rischio che i giocatori finiranno col non affezionarsi, col tagliare sistematicamente i dialoghi e relegare i protagonisti al dimenticatoio (mentre ancora ricordano con affetto Ezio e pochi si ricordano di Jacob ed Evie).
Come se non bastasse, dalla trama mancano risposte a troppe domande (che ne è di Basim?) e se la parte centrale funziona piuttosto bene, il finale è invece molto deludente. Confido sicuramente nei DLC, ma al momento non posso ritenermi soddisfatto al 100%.
Infine la mappa: è un open world, lo sappiamo, e quindi è pieno di attività. Anche se la dimensione è stata ridotta rispetto a Odyssey e Valhalla, resta comunque un’area immensa piena e strapiena di cose di fare, missioni secondarie (alcune anche molto pregevoli) e punti di interesse da scoprire. Tanti, troppi elementi. Forse sarebbe il momento di tornare a un’area di gioco meno vasta e concentrarsi di più sulla qualità dei contenuti, invece che sulla quantità.
Conclusioni
Ho amato ogni singolo capitolo di Assassin’s Creed, qualcuno più, qualcuno meno, alcuni li conservo nel cuore (AC II e Valhalla). Amerò e giocherò a fondo anche questo, ma se Assassin’s Creed Shadows sarà l’inizio di una nuova saga o il canto del cigno, solo il tempo potrà dircelo.
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Nerdando in breve
Assassin’s Creed Shadows porta il Credo degli Assassini nel Giappone feudale.
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