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Doctor Who – Analisi della tredicesima stagione

Contiene minori spoiler della Tredicesima Stagione di Doctor Who

Lo so, sono passati anni dalla messa in onda ma ho aspettato a lungo nella speranza di vederla in italiano con le mie figlie. Giunta la notizia dell’acquisizione di Disney+ dei diritti di distribuzione, ho sperato che finalmente fossimo in procinto di vederla doppiata e invece no: subito a disposizione lo speciale del 60esimo anniversario, con il ritorno di David Tennant nei panni del Doctor (il Quattordicesimo per essere precisi) e pronti via per lo speciale natalizio che vedrà la prima apparizione di Ncuti Gatwa quale Quindicesimo.

Insomma: ho temuto che l’ultima stagione di Jodie fosse talmente orribile da essere destinata all’oblio, peggio di una damnatio memoriae.
Ma prima di tornare nella confort zone di Tennant non potevo far finta di nulla, dovevo capire che razza di scempio potesse aver fatto Chibnall (showrunner che è finito nella lista dei cattivi) con la mia adorata Jodie.

Flux

Per non essere troppo prolisso ho deciso di parlare in un unico articolo sia della effettiva tredicesima stagione, nota anche come Flux (il Flusso), che dei tre speciali che hanno accompagnato Tredici verso la sua rigenerazione. Tutto sommato insieme non fanno nemmeno i 10 episodi delle stagioni precedenti, nettamente meno delle 13 a cui eravamo abituati.
Certo il Covid non ha aiutato, funestando anch’esso una produzione decisamente poco felice.

Ma veniamo a noi: Flux è un arco narrativo unico, per cui dotato di una storia che si distende per tutte e sei gli episodi e che getteranno finalmente luce sul Timeless Child che vi aveva tanto lasciati interdetti nella stagione precedente. Così come sul misterioso e affascinante Dottore di Jo Martin su cui avevamo molte più domande che certezze.
Ad essere sinceri occorre un po’ di pazienza perché la trama è eccezionalmente complessa, si dipana in numerose linee temporali e su numerosi ambienti (e non tutti dentro l’universo) e coinvolge numerose figure aliene non sempre intellegibili.

Insomma: armatevi di una buona dose di antidolorifici perché la testa tenderà ad esplodervi, ma a parte questo posso dirmi davvero soddisfatto dalla netta differenza rispetto alle due stagioni precedenti. Sparita la musichetta odiosa stile telenovelas anni ’80 e finalmente il Dottore alterna al suo piglio schizoide da scoiattolo della Gang del bosco alla cazzimma che le si confà. Grinta, tenacia, un po’ di arroganza e la capacità di mettere le cose e le persone al loro posto: niente più faccette buffe o sguardi spaesati (ricordo ancora con raccapriccio quando chiede a Yas se sono solo amiche o una coppia) e soprattutto niente più riempitivi fini a se stessi.

Occorre ammettere che anche l’ultima stagione è funestata da una scrittura non all’altezza del franchise, seppur nettamente meglio del disastro annunciato. Se solo anche le altre due fossero state scritte così, forse avremmo avuto sonni più lieti. Resta il rimpianto per tante, troppe cose buttate a casaccio e mai risolte a dovere: Ryan, con la sua disprassia poteva dare adito a tantissimi spunti, e non è stato sfruttato; nell’episodio Rosa compare Krasko, un villain intrigante, di cui non si sa più nulla. In compenso ci siamo dilettati con ragni giganti. Un vero peccato.

Mi è invece piaciuto il nuovo (e temporaneo) companion Dan, nonostante sia quasi incomprensibile alle mie orecchie; l’ho trovato un bel personaggio con un bel carattere ben delineato seppur relegato a pochi episodi. Flux poi rimette in campo tanti villain noti, come Dalek, Cyberman e Angeli piangenti (i miei preferiti). C’è anche il ritorno del nostro amico Dan Starkey: stesso tipo di alieno, Sontaran, altro personaggio.

Episodi del centenario

E veniamo così al canto del cigno: gli ultimi tre episodi, gli speciali per il centenario della BBC che sono culminati con la rigenerazione e il ritorno di Tennant.
Ho davvero molto apprezzato il primo: Eve of the Daleks è la dimostrazione che scrivendo bene non serve impiegare chissà quali sforzi. Un loop temporale d’altri tempi in cui i protagonisti sono bloccati insieme ai famigerati Dalek con un bel meccanismo aggiuntivo che non svelerò e che dà la giusta dose di tensione dal primo all’ultimo minuto.

Legend of the Sea Devils ha il pregio di cambiare ambientazione e periodo storico, ma non convince nella trama che risulta farraginosa e con poco mordente. Anche la risoluzione è un po’ campata in aria, ma merita una visione per la bellezza dei costumi, dell’ambientazione e per aver riportato su schermo i cugini dei Siluriani, che mancavano dal 1984 (serie classica). Una nota aggiuntiva: finalmente si chiariscono i sentimenti che legano Yas al Dottore. Avrei sperato in un po’ più di coraggio da parte della BBC, ma stiamo pur sempre parlando di genti inglesi, poffarbacco, e alla fine, dopo tutte le scottature, posso capire il punto di vista del Doc.

The power of the Doctor è un concentrato di nostalgia, emozione e amarcord. Come da tradizione (ricordate l’incredibile speciale per il 50esimo?) vengono messi in pista una manciata di vecchie glorie, che qui non solo riportano su schermo Dottori del passato, ma anche i relativi companion. C’è addirittura un cameo di Ian Chesterton (interpretato dall’attore William Russell) companion del Primo Dottore con gap record di 57 dalla sua ultima apparizione. Inoltre chiude il cerchio aperto dal Maestro, così che tutto vada finalmente a suo posto e non ci siano eredità pesanti da sopportare.
Non dico altro per non rovinare la sorpresa, la più grande delle quali è stata sicuramente il fatto di essermi commosso.

Lo ammetto, non ho amato le stagioni di Tredici (a dirla tutta anche la prima di Dodici è stata brutta forte, ma con un finale stratosferico), ma ho davvero amato Jodie come Dottore e la sua capacità recitativa avrebbe meritato script di più alto livello; sicuramente continuerò a seguirla nella sua carriera.

Rigenerazione

Un’ultima nota: come tutti i feticisti di Doctor Who, ho una ricca collezione di momenti topici; la prima/ultima frase a ridosso della rigenerazione è naturalmente una di quelle.
Per Tredici è stata Tag, you’re it (che noi potremmo tradurre come “ce l’hai”, il gioco dei bambini), ben diversa dal dramma epocale di Dieci (I don’t wanna go), dall’amorevole commiato di Undici (I will always remember when the Doctor was me) e dalla saggezza di Dodici (Doctor, I let you go); tuttavia l’ho trovata semplicemente perfetta per Tredici: è la summa di quanto rappresentato dal Dottore di Jodie. Folle, sopra le righe e sempre capace di divertirsi, anche nei momenti più drammatici.

E ora sotto con il sessantesimo di Doctor Who!

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