Durante l’ultima giornata di Lucca Comics & Games 2022, Erika Santin (reparto commerciale Lucca Crea), Vera Gheno (sociolinguista), Leonardo Boncinelli (professore di politica economica all’Università di Firenze) e Sara Ricciardi (astrofisica INAF) affrontano la spinosa questione delle discriminazioni in ambito ludico.
Ciascuno dei quattro ospiti ha affrontato (e affronta quotidianamente) il tema del gioco, sia dal punto di vista culturale (Erika), sia da quello dell’evoluzione del linguaggio, della didattica e della scienza. La Gameification è la pratica per cui il gioco viene usato all’interno di altre dinamiche, coinvolgendo verso un altro scopo persone che altrimenti si sarebbero interessate meno (es. il gratta e vinci del supermercato in sostituzione dei bollini, per fidelizzare i clienti). Tutt’altra cosa è il game based learning, per cui attraverso il gioco è possibile costruire parti di sé che altrimenti non sarebbero state approfondite (es. approfondire la conoscenza di sé in qualche aspetto caratteriale, interpretandolo con un personaggio in un gioco di ruolo).
Gamewashing
La nascita del termine Gamewashing si colloca durante un incontro del Game Science Research Centre, volendo trovare un nome per identificare il fenomeno per cui qualcosa che non è gioco in quanto tale, viene rivestita da una patina che lo associa al mondo ludico, pur senza di fatto esserlo. Se da una parte molte pratiche oggi vengono sdoganate grazie alla campana del gioco, e con questa diffuse, dall’altra c’è il rischio che passino per gioco pratiche che di fatto non lo sono, con la conseguenza di svuotare il termine gioco del suo significato primo.
Il termine gioco nella lingua italiana è polisemico: indica sia il gioco in quanto tale (game), sia il gioco in quanto aspetto interpretativo (play), sia, anche, il gioco d’azzardo (gambling). Ragion per cui se si volesse fondare un ipotetico Istituto del gioco, risulterebbe assai difficile far capire al primo impatto che ci si sta rivolgendo alla dimensione prettamente ludica, e non a un posto pieno di slot machine o dedicato all’affrontare ludopatia.
Il problema del gioco negli adulti
Il problema per cui il termine gioco rimane identificato con accezioni che non avvicinano pubblicamente la maggior parte delle persone adulte, è perché in una società della performance come quella attuale, il gioco è visto prima di tutto come una perdita di tempo. Per ogni pedagogista che porta alto il nome di Huizinga e che cerca di raccontare quanto il gioco sia importante anche e soprattutto nella vita adulta, ci sono centinaia di persone che lega gioco e adulti o con la dimensione dell’azzardo, o con quella sessuale.
Vi è poi un secondo aspetto ostacolante: il gioco può essere un mezzo per diffondere efficacemente un argomento o una politica pubblica, ma non sempre è detto che il gioco sia IL mezzo più efficace possibile, anzi! Capita di rendersi conto che una politica pubblica inizialmente diffusa con il gioco, non stia passando nel modo in cui si vorrebbe. È quindi necessario armarsi di molta onestà intellettuale, e poter fare un passo indietro trovando strategie comunicative realmente efficaci.
PIXEL – Picture (of) the Universe
Tutte le consapevolezze necessarie per costruire una cittadinanza scientifica, per diffondere i saperi della scienza e per non incappare nel gamewashing convergono nelle parole di Sara Ricciardi, la quale racconta l’esperienza avuta nella creazione di PIXEL – Picture (of) the Universe. Pixel è un gioco da tavolo prodotto da INAF con l’obbiettivo di parlare di astrofisica non con la patina del gioco (come potrebbe essere un Monopoly che sostituisce ai nomi delle vie quelli delle stelle) ma con le meccaniche.
Vi è uno studio approfondito che vede unirsi i ricercatori ai game designer ai grafici e agli uffici di marketing e comunicazione. Vi è una necessaria convergenza di punti di vista e un continuo confronto di sguardi che porta sia a divertirsi, sia ad avvicinarsi a un mondo altrimenti estraneo e irraggiungibile. Pur sempre divertendo, però, perché la piacevolezza del momento gioco non può immolarsi sull’altare della didattica, pena la snaturazione del gioco stesso.
Contrastare il gamewashing
Gheno riporta un assunto di fondo: parla di ciò che conosci bene e sulla cui bontà sei convinto. L’onestà di fondo che è necessaria per poter portare avanti un argomento usando il gioco come gioco e non come puro marketing. Imprescindibile, nel discorso contingente, è l’onestà intellettuale che porta a dichiarare inefficace un gioco che, seppur educativamente impeccabile, non è divertente. Il gioco è gioco, è uno strumento educativo ma è prima di tutto un passatempo: si gioca gratis, si gioca per giocare, si gioca perché il fatto di star giocando corrisponde al “premio” che si ottiene in cambio.
Il gioco deve rimanere l’attività principale per cui si sta giocando, e in questo senso la gameification è un po’ un antigioco. Il gamewashing enfatizza quindi su questo stress estremo che rende il gioco un prodotto capitalistico, lontano dalla dimensione democratica e lusoria che lo rende tale.
Rendersi disponibili, ammettere di non sapere tutto, sapere di non sapere, conoscere i limiti della propria conoscenza sono delle strategie efficaci e non trascurabili, nel momento in cui si prende la parola. Soprattutto, è fondamentale rendersi conto di quanto usare propriamente la terminologia anche nella proprio piccola bolla, sia importantissimo. Per cui, posto che rimanere aggiornati sia fondamentale, si rivela oggi imprescindibile creare e tessere un ecosistema che coinvolga in primis i docenti, ma anche ludoteche, biblioteche e agenti del terzo settore, coinvolgendo la scuola pubblica affinché il gioco e l’impatto che la sua presenza porta con sé, anche da adulti, sia prima di tutto una realtà democratica.
Non perder tempo a correggere chi usa male un termine, ma diffondi e divulga un messaggio diverso. Chi fa divulgazione non deve convertire, ma parlare e fornire spunti di approfondimento a chi vi si rivolge. Poi, il click spetta al singolo che deve voler approfondire.
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