Sono passati tanti anni da quando per la prima volta mi sono emozionato guardando il tedoforo accendere la torcia olimpica. Ricordo bene, da bambino, che sognavo di poter portare anche io la torcia, prima o poi nella vita, con tutto quello che la fiamma rappresenta.
Per ora mi sono avvicinato semplicemente visitando Olimpia e il luogo in cui viene accesa, ma i sogni sono duri a morire, chissà.
Ma tornando a quegli anni di bambino, c’era un solo modo per continuare ad emozionarsi tra una gara e quella successiva, tra una medaglia e quella dopo. E l’unico modo che conoscevo era quello di far ingoiare tonnellate di monetine all’arcade nel bar sotto casa dove, nel 1984, faceva la sua bella figura il mitico Summer Games.
Chi non ci ha mai giocato non ha la minima idea di cosa voglia dire slogarsi i polsi smanettando con la cloche fino a svenire per l’ipossia. Per tutti gli altri: stiamo per fare un tuffo nel passato.
Summer Games
È il capostipite del genere: dopo il classico arrivo del tedoforo tra voli di colombe accompagnato dal pezzo Bugler’s Dream di Leo Arnaud (celebre fanfara olimpica) si accedeva alle diverse discipline. Salto con l’asta, Tuffi, Staffetta 4×400, 100 metri piani (questo è quello dello slogamento), Ginnastica, Staffetta 4×100 stile libero, 100m stile libero (uguale al precedente ma con una sola vasca) e Tiro al piattello (l’unico dei giochi con visuale in prima persona).
La grafica era ovviamente molto essenziale, una manciata di colori e sprite appena accennati che però riuscivano nell’intento di evocare sensazioni ed emozioni violentissime, tanto quanto violente erano le interazioni coi controlli. Ricordo che all’epoca un mio vicino di casa, felice possessore di Comodore 64, non voleva mai giocarci per paura di devastare i costosi joystick.
Summer Games II
Passa un anno, siamo nel 1985, ed ecco apparire lo spinoff del precedente Summer Games grazie al grande successo del titolo. Nuove discipline fanno capolino su schermo, alzando notevolmente l’asticella della difficoltà: Salto triplo (pressoché impossibile da padroneggiare), Salto in alto, Canottaggio (la gara si svolge contro un altro concorrente, con lo schermo diviso a metà), Lancio del giavellotto (il mio preferito), Equitazione, Scherma (difese e affondi compresi), Kayak (bellissima discesa di un torrente tra ostacoli naturali e porte) e Ciclismo (anche questo con lo schermo diviso a metà).
La cosa interessante di questo titolo è che nelle versioni su disco, se si possedeva anche il predecessore, era possibile giocare tutte e 16 le discipline. Al termine, in alcune versioni, era presente anche la cerimonia di chiusura, con il braciere che viene spento e i fuochi d’artificio.
Winter Games
Nello stesso anno fa capolino un altro titolo che farà la storia. Winter Games è ovviamente ambientato tra le montagne e ci vede impegnati in discipline invernali quali Freestyle, Pattinaggio, Salto con gli sci (in cui ci si divertiva a causare cadute rovinose), Free skating, Pattinaggio di velocità (in gara uno contro uno), Biathlon (faticoso come nella realtà) e il divertentissimo
Bob (no: i giamaicani ancora non c’erano).
Altri
Negli anni seguiranno molti altri seguiti, con discipline differenti, perfezionamenti vari e derive sempre più intriganti (anche se lontane dalla dimensione olimpionica). Non posso non citare il mitico California Games, di cui vi ho parlato qui e che mi tenne compagnia sul mio vecchio ZX Spectrum. Una menzione d’onore, per la gioia del nostro jedi.lord, va sicuramente ad Highland Games in cui si possono disputare le discipline dei giochi scozzesi, come il lancio del tronco e il tiro alla fune. Voglio citarvi infine il surreale Western Games, in cui si fa a gara di sputi, di mangiate di fagioli degne di Trinità, mungitura e braccio di ferro.
Insomma. Le Olimpiadi, con tutta la loro infinita bellezza, hanno da sempre accompagnato anche il mondo del videogioco. E con Tokio 2020 alle porte è la giusta occasione per riscoprire qualche classico. Magari grazie alla moltitudine di porting che sono stati fatti nel corso degli anni.
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