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Zero: l’eroe invisibile del barrio

Il 21 aprile su Netflix esce Zero, la serie tratta dal romanzo di A. D. Distefano, Non ho mai avuto la mia età  (2018) edito da Mondadori.

In occasione dell’uscita, abbiamo avuto l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere con Antonio Dikele Distefano, ideatore e autore della serie, con il cast ma anche con il team dedicato alla regia, alla sceneggiatura e alla creazione di Zero. Di queste cose però ve ne parleremo nei prossimi giorni, intanto beccatevi un parere sui primi quattro episodi.

Trama

Omar (Giuseppe Dave Seke) è un ragazzo nato e cresciuto a Milano, che disegna manga con personaggi neri come lui. Si è sempre sentito un signor nessuno, qualcuno di invisibile che passa inosservato agli occhi degli altri, tranne ogni qual volta accada qualcosa di problematico. Decapitano una statua? È colpa dei neri. Danno fuoco a un motorino? È colpa dei neri. L’importante, nel quartiere dove vive lui, è che ogni fatto spiacevole abbia sùbito un colpevole, perché l’incertezza non è ammessa. Per altro, non c’è davvero voglia di scoprire chi sia la persona responsabile: qualunque fattaccio capiti, è sicuramente colpa dei neri.

In una realtà in cui il razzismo è ben radicato nella mentalità di chi lo circonda, Omar cerca di mantenersi facendo il fattorino delle pizze, aiutando la famiglia come può. In famiglia sono in tre: lui, una sorellina a cui è legatissimo e un padre con una mentalità e una cultura ben diverse da quelle che appartengono al nostro protagonista. Nel corso delle puntate, il ragazzo si fa degli amici, conosce una ragazza speciale che gli ruba il cuore ma, soprattutto, si accorge di avere un potere speciale grazie al quale quel suo sentirsi un eterno ragazzo invisibile assumerà tutto un altro significato.

Il Barrio

Ad agosto 2019 il cantante Mahmood se n’è uscito con il singolo Barrio, portato anche sul palco dell’Ariston durante l’ultimissima edizione del Festival di Sanremo. Il ritornello di quella canzone dice:

Ti chiamavo, mi dicevi/cercami nel barrio/come se, come se fossimo al buio/nella notte vedo te/casa mia mi sembra bella/dici “Non fa per te”/però vieni nel quartiere/per ballare con me/tanto suona sempre il barrio/[…]

Va bene, ma che cos’è il barrio? Il dizionario Garzanti spagnolo-italiano lo traduce con “quartiere, rione” ma anche con “hinterland, quartiere che gode di cattiva fama”, lasciando intendere che altro non sia se non una periferia, magari anche un po’ malfamata, come potrebbe essere forse il quartiere romano in cui è ambientato A piedi scarzi (il film con Emanuela Fanelli che conoscete soltanto se seguite Una pezza di Lundini, programma che dovreste seguire, btw).

E perché sto a dirvi tutte queste cose? Beh, indovinate un po’ come si chiama il quartiere in cui è ambientato Zero? Non a caso, infatti, fra le musiche che accompagnano gli episodi sentiremo anche la voce di Mahmood.

L’importanza di essere normali

I primi quattro episodi di Zero mi hanno ricordato un po’ il fumetto di Capitan Napoli di cui vi ho parlato qualche anno fa (e di cui spero di potervi riparlare a breve): un quartiere malfamato, un ragazzo invisibile che scopre di avere i superpoteri, un nemico da sconfiggere e una denuncia sociale che fa da sottofondo a tutta la serie. Se il fumetto di Antonio Sepe denuncia lo smaltimento illegale dei rifiuti tossici, in Zero vediamo delle dinamiche per cui i vertici della catena alimentare sono descritti come gente che ci piscia in testa e poi ci dice che piove.

Nonostante possa essere messa in risalto la differenza fra loro, il gruppo di protagonisti, e gli altri, gente bianca che cerca di aumentarne le distanze, Zero è una serie che normalizza la diversità. Se ci pensate è molto raro che in una serie italiana ci siano personaggi con i tratti somatici non tipici dell’italiano medio, e se capita che ci siano attori con diverse origini etniche, il loro ruolo è sempre quello dello straniero, dell’immigrato, del diverso: insomma, mai dell’italiano.

Ma siamo nel 2021: quando nel 2008 frequentavo le scuole medie, già ci parlavano degli immigrati di seconda generazione, ossia di tutte quelle persone nate in Italia da genitori stranieri, che si ritrovavano a essere italiane pur non sembrandolo. In Zero vediamo proprio questo: un gruppo di giovani italiani che non lo sembrano ma lo sono a tutti gli effetti, che vivono la loro quotidianità nel modo in cui farebbe qualunque altro adolescente nato e cresciuto in una periferia milanese.

La normalità è quindi la chiave di lettura attorno alla quale ruota la serie: per me che sono bianca, cresciuta in campagna e senza un gruppo numeroso di amici fissi, la realtà raccontata da Zero è molto diversa, ma per il contesto, non per il colore della pelle.

Spero che la serie abbia successo e faccia parlare di sé, perché effettivamente (e prima di guardare la serie non ci avevo pensato) ciò di cui si ha bisogno è una rappresentazione realistica di questa realtà, esistente a tutti gli effetti, ma della quale sembra quasi si voglia far finta di niente.

Conclusione

Dopo aver guardato questi primi quattro episodi, ve la consiglio? Sì, a mani basse, anche solo perché -seppur per certi aspetti sia migliorabile- Zero racconta una realtà verosimile e, chissà per quante persone, realmente esistente (al di là dei superpoteri intendo). Sinceramente mi piacerebbe ascoltarne il parere di qualcuno che in quella realtà ci vive davvero, perché se c’è un dubbio che mi sorge è proprio circa la verosimiglianza dei fatti raccontati. Cosa pensa di questa serie una persona italiana che non ha la pelle bianca?

I movimenti BLM (Black Lives Matters) esplosi soprattutto durante lo scorso anno, hanno dato una scossa a un mondo che si stava rammollendo circa alcune delicate questioni sociali, che non possiamo più continuare a ignorare: di polvere sotto al tappeto ce n’è troppa. Se poi avete visto serie quali Brooklyn 99 o anche solo le recenti puntate di The Falcon and The Winter Soldier, sicuramente avrete notato che quel razzismo interiorizzato su cui si è voluto puntare un occhio di bue, viene raccontato anche nei programmi di intrattenimento destinati al grande pubblico senza l’esplicito fine di voler sensibilizzare sull’argomento. Tuttavia, è sempre tutto legato alle periferie americane.

Zero invece è ambientato in Italia, in un quartiere di Milano, tra l’altro, e per quanto io sia ben consapevole del fatto che il razzismo esista anche qui da noi, credo che il punto di vista offerto dalla serie sia leggermente diverso dal solito raccontato, e che per questo meriti di essere guardata. Non è una serie sul razzismo, è una serie sulla normalità di chi sembra diverso ma non lo è.

Zero è quindi un po’ una serie teen, con protagonisti che hanno abbandonato da poco l’adolescenza e già si concentrano su responsabilità via via crescenti, un po’ una commedia romantica, un po’ un dramma ma soprattutto è avventura. I primi quattro episodi fanno ben sperare sui prossimi (la stagione ne conta otto totali) e gli snodi che si sviluppano man mano lasciano intendere che i protagonisti non si limiteranno a sopravvivere in un quartiere che sembra volersi sbarazzare di loro, ma che anzi, forti di tutto ciò che li ha formati, saranno pronti a mettersi in gioco rischiando ogni cosa, pur di salvare quella che di fatto è la loro casa.

Per me Zero merita, anche solo perché è davvero tempo di togliere la polvere da sotto il tappeto e qui mi pare che ci si muova proprio in quella direzione.

Nerdando in breve

Nonostante sia migliorabile, Zero si propone come una serie coinvolgente che fonde spunti supereroistici e avventurosi a tematiche sociali, problemi d’amore e un gruppo di amici disposto a tutto pur di salvare il proprio quartiere.

Nerdandometro: [usr 4.0]

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