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The Umbrella Academy – Analisi della seconda stagione


Attenzione: contiene spoiler minori sulla seconda stagione

Ricordate dove eravamo rimasti? Come nella miglior tradizione: tutti i tentativi del gruppo di improbabili supereroi della Umbrella Academy non solo non impediscono la fine del mondo, anzi. Ogni azione fatta per impedire l’apocalisse è invece un passo proprio verso l’inesorabile fine.

Nel tentativo di salvare tutto (e tutti), Numero Cinque prende per mano i fratelli e apre un portale che li scaraventa indietro nel tempo. Negli anni ’60 a Dallas. Vi dice nulla?
Peccato che, anche se il luogo di arrivo è il medesimo, ognuno dei fratelli atterra in un momento diverso nell’arco di tre anni ed ecco che ritrovarsi sarà il primo dei molti problemi che dovranno affrontare.

A tirare le fila sarà, ancora una volta, Numero Cinque (il mio preferito) che dall’alto dei suoi molti anni compressi nel suo corpo adolescenziale, mostrerà di avere molto più sale in zucca di tutti gli altri. Lo scopo? Ovviamente tornare nel presente e, ah sì, scongiurare nuovamente la fine del mondo, che ha pensato bene di seguirli nel passato.

Il resto dovrete scoprirlo, guardandolo. Ma tenetevi saldi alla poltrona quando lo fate: si parte con un botto degno di Fallout.

Da un grande potere deriva un grande casino

Soprattutto se non lo sai gestire e se, invece del saggio zio Ben, hai avuto come guida l’infame Reginald Hargreeves, di cui (per chi non avesse letto il fumetto) finalmente scopriremo qualcosa di più sulle origini.
Il risultato è una compagine che arranca come può al di fuori del proprio tempo: troppo stanca per fare la cosa giusta e troppo immatura per rendersi conto di quanto stia incasinando la linea temporale.

Non a caso ecco sulle loro tracce un nuovo gruppo di killer inviati dalla Commissione, gli spumeggianti Svedesi, che avranno un ruolo meno invadente rispetto ad Hazel e Cha-Cha. Tutta la seconda stagione, infatti, è concentrata sui rapporti di questi eroi con la loro nuova condizione e di come hanno messo a frutto 40 anni di conoscenza aggiuntiva.

Diego è così convinto di essere un eroe da risultare pericolosamente ottuso, Luther rinuncia a tutto e si dedica a fare l’unica cosa in cui è bravo: menare le mani. Allison, bellissima anche con il look degli anni ’60, la butta sul sociale e si scontra su quanto fosse orrendo avere la pelle scura negli anni ’60 (non che oggi sia MOLTO meglio, ma un po’ sì dai…). Di Klaus potremmo parlare per ore: la sua versione santone hippy è qualcosa di memorabile, e fa trasparire finalmente molto più del personaggio di quello che si nasconde sotto la sua scorza da superficiale.

Quindi Vanja: ammetto di avere un’adorazione tanto per la Ellen Page attrice che per la Ellen Page donna. Magra al punto da fare quasi male, con un bell’escamotage narrativo i suoi pericolosi poteri sono tenuti diligentemente a bada, mentre non manca l’occasione per rimarcare come essere gay, negli anni ’60, era peggio che essere neri: si vinceva un bel biglietto di sola andata per il manicomio (sì: era considerata malattia mentale). Ma non si tratta di un attivismo gratuito e votato al politically correct; ciò che le succede è perfettamente funzionale alla trama e per niente gratuito.

Buona la seconda

Insomma: se la prima stagione mi era piaciuta molto, questa seconda mi ha semplicemente fatto impazzire. Non c’è un solo attimo di calo di tensione; la sceneggiatura è brillante, esplosiva: si passa dal ridere al commuoversi, provando una gamma di emozioni fitta e travolgente, che tiene incollati alla poltrona dal primo all’ultimo minuto.

In più se ci mettete che l’ambientazione anni ’60 mi ha onestamente stufato (ammetto una sola eccezione per il capolavoro di King 22/11/’63), posso dire che sono invece rimasto totalmente avvinto alle vicende dei Sette (anche Ben ha il giusto spazio in questa stagione) in cui è molto approfondita la psiche (per lo più disturbata) degli eroi, il loro modo di ragionare, di prendere decisioni, così come i loro sentimenti, desideri, sogni e paure.

Insomma: c’è davvero tantissimo qui dentro dal punto di vista dei dialoghi e delle interpretazioni, semplicemente perfette ed ispirate in ogni momento.
A tutto questo dobbiamo necessariamente aggiungere una nota sulla colonna sonora. Già nella prima stagione si era fatta notare, ma qui raggiungiamo vette impareggiabili, con una collezione di cover spettacolari di pezzi famosissimi (alcune anche migliori degli originali) che mi hanno fatto letteralmente fiondare su Spotify a caccia della playlist giusta.
Imperdibile.

Netflix ci regala quindi un’altra grande serie, che ormai annovero tra le mie preferite degli ultimi anni e che probabilmente si aggiudicherà il mio voto per i Nerdando Award di quest’anno.

La grande domanda: ci sarà una terza stagione? Ovvio che sì: il cliffhanger finale, meraviglioso e perfettamente in linea con l’indole casinista dei protagonisti, ci lascia davvero ben sperare.
Speriamo solo non ci sia troppo da attendere.

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