Per questo secondo giovedì di ottobre, ho scelto di parlarvi di Ufficiale e Gentiluomo, il film del 1982 diretto da Taylor Hackford.
L’idea mi è venuta qualche giorno fa mentre ascoltavo Pilota, il podcast in cui Alice Alessandri, Alice Cucchetti e Andrea Di Lecce parlano in un modo incredibilmente approfondito e competente di qualunque programma televisivo sia stato trasmesso in modo seriale. In una dissertazione di quasi due ore su Veronica Mars hanno tirato in ballo una certa scena “fatta solo per citare Ufficiale e Gentiluomo”, il che mi ha incuriosita abbastanza per andare a vederlo.
Netflix, protettore dei lunghi viaggi in treno ha poi fatto il resto, rendendo la pellicola di 2 ore e 4 minuti a portata di streaming.
Trama
Ufficiale e Gentiluomo è la storia di Zack Mayo (Richard Gere), un ragazzetto orfano di madre (suicida) che si ritrova a vivere con un padre poco responsabile e dagli atteggiamenti discutibili. Resosi conto di non avere un posto nel mondo, sceglie di arruolarsi in marina per diventare pilota. La prima fase dell’addestramento consiste in 12 settimane intensive nelle quali i cadetti vengono messi a dura prova, per scremare subito quelli poco adatti. Ecco, tutto il film è concentrato in quelle 12 settimane.
Perché in 12 settime gliene succedono di ogni: inizia un’attività clandestina di fibbie e scarpe lucidate, stringe amicizia con Sid Worley (David Keith), il romantico genio dell’aerodinamica; si innamora di Lynette Pomeroy, ma solo dopo un adeguato tira e molla; impara che non può vincere sempre, né nella vita, né in un combattimento di arti marziali, ma che non per questo ci si deve fermare; vede amici andarsene e affronta spettri del passato a causa di piccole tragedie quotidiane. Insomma, gli capita tutto ciò che porti alla maturazione di un personaggio a tutto tondo, così da raggiungere il termine dell’ultima settimana (e del film) profondamente cambiato.
Combattimenti fintissimi e tanto (troppo) dramma
Relativamente fresca di Top Gun non ho potuto fare a meno di notare certe somiglianze fra la storia di Zack e quella di Maverick. La prima affinità è puramente estetica (mi riferisco, ovviamente, all’uniforme bianca), ma devo ammettere che anche caratterialmente gli aspetti comuni sono molteplici. Entrambi i protagonisti condividono un’indole solitaria, restia al lasciarsi andare in coinvolgimenti sentimentali a lungo termine, ma che per amor di audience cede sul finale, lasciando che l’amore trionfi e sconfigga i cuori apparentemente aridi dei nostri tenebrosi eroi.
Entrambi, soprattutto, devono relazionarsi con la figura di un superiore al quale obbedire. Indipendenti come sono, risulta loro inizialmente difficile interpretare il ruolo del “bravo soldatino”, ma dopo aver quasi mollato ed essersi scontrati con la propria cocciutaggine, sia Zack che Mav ritornano sulla propria strada.
Tuttavia, se c’è una cosa in cui Top Gun si distacca (in meglio) da Ufficiale e Gentiluomo, sono i combattimenti. Il fatto che il film in questione abbia quasi quarant’anni potrebbe giustificare l’altissima finzione dei combattimenti, ma ci credo poco. Prossimamente cercherò pellicole precedenti che abbiano un alto tasso di scontri, per scoprire se è davvero un difetto dovuto all’età o se dietro si nasconde un’altra ragione. A vederli così, però, sono quasi comici. In qualunque momento del film, due o più personaggi vengano alle mani, ha inizio una coreografia senza musica in cui il colpito si lancia a terra con improbabili piroette, spesso prima ancora della colluttazione. Non basta a rovinare la pellicola, certo, ma è perfetto per togliere pathos ai momenti drammatici sparsi qui e là.
Curiosità
In Ufficiale e Gentiluomo veniamo in contatto con tre figure femminili abbastanza stereotipate: Paula, l’operaia che si innamora del bad boy di turno e che cerca in tutti i modi di salvarlo dalla sua solitudine (crocerossina? chissà); Lynette, la cacciatrice di dote che agisce più per fini economici che per motivi sentimentali; la mamma di Paula, che da brava chioccia tenta di impedire alla figlia di commettere i suoi stessi sbagli ma che, alla fine, è costretta a ricredersi.
Poi c’è Casey Seeger, interpretata da Lisa Marie Eilbacher. Casey è un’aspirante soldatessa che vuole a tutti i costi diventare la prima pilota donna, ma ha troppa poca forza nei pettorali. Di conseguenza, durante il percorso a ostacoli incontra moltissime difficoltà ad attraversare un muro avvalendosi solo dell’uso di una corda, ma con costanza, impegno, determinazione e un po’ di supporto esterno riesci infine a valicare l’insormontabile ostacolo.
Tuttavia, stando a quanto riportato qui, pare che Eilbacher fosse un’appassionata culturista e che pertanto la parte più difficile del film, per lei, sia stato fingere di essere fuori forma! C’è chi si allena per mesi per raggiungere i canoni richiesti dalla pellicola, chi invece deve sforzarsi per nasconderlo. Signora mia, è proprio vero che chi ha il pane non ha i denti.
Conclusione
La visione di Ufficiale e Gentiluomo mi ha lasciata perplessa. Ho provato sentimenti contrastanti, alle volte annoiata, altre turbata, infine lievemente commossa. Soprattutto mi ha portato a riflettere su due aspetti che, magari, approfondirò più avanti.
Il primo è la figura del mentore autoritario, che spreme i suoi cadetti per estrarne una versione migliore e più adulta, un po’ come fa il dottor Cox con JD. Sia il sergente Foley, sia il comandante Viper in Top Gun, potrebbero essere un esempio del poliziotto cattivo che accompagna precettori di tutt’altra pasta, quali Yoda o il maestro Shifu. Sono curiosa di vedere se le figure di riferimento presenti negli altri film in cui mi imbatterò, abbracceranno uno o l’altro stereotipo, o se invece tali caratteristiche sono un’esclusiva dei militari.
L’altro aspetto sul quale sto iniziando ora a meditare, è quello della figura femminile forte. Attualmente ho visto solo 5 film che non si possono non aver visto, e in tutti e cinque compare almeno un esempio spontaneo e per nulla affettato di girl power. In Top Gun abbiamo visto Charlie, che nessun cadetto si permetterebbe di sottovalutare solo per questioni di genere; in Bastardi senza gloria c’è Shoshanna Dreyfus (la direttrice del cinema), che ruba la missione al team di Aldo l’Apache, immolandosi, pur di uccidere il fuhrer; Via col vento sono quattro ore di Rossella O’Hara che abbatte le convenzioni sociali a colpi di cappellini colorati e idee ben chiare portate avanti a testa alta; Il grande Lebowski ha portato la figura di Maude, altro esempio di self-made woman; infine, qui c’è l’agente Seeger.
In tutte e cinque le pellicole la figura femminile ha saputo trovarsi il suo spazio e spiccare per carattere e peculiarità, non per motivi di genere. Non è stata messa in risalto per urlare al pubblico che una donna forte stava salvando la situazione (sì, scena di Endgame in cui tutte le supereroine del Marvel Cinematic Universe aiutano il piccolo Spidey, sto parlando con te), né tanto meno è stato necessario parlare esplicitamente di matriarcato o esasperare ulteriormente il concetto. Semplicemente, donne forti hanno fatto la loro parte nello stesso modo e con lo stesso risalto con cui l’hanno fatto uomini altrettanto forti. Questa, forse, è la vera parità di genere e per ora mi sembra un tema sviluppato meglio quando ancora non era mainstream. Tuttavia, cinque non fa statistica, magari mi sono solo imbattuta per caso negli unici cinque film non discriminatori, perciò rimando la mia opinione in merito solo dopo averne visto un campione sufficientemente popoloso.
In ogni caso, se vi è piaciuto Top Gun è facile che vi piaccia anche questo, benché ci siano meno acrobazie aeree (nel senso che qui proprio non si vedono aeroplani volare) e molto più dramma sentimentale. Come al solito, è questione di gusti: se vi piace il genere, non potete non averlo visto.
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