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Non puoi non averlo visto: Via col vento (1939)

Durante un week end più solitario degli altri sono riuscita a guardare Via col Vento, il film del 1939 che dura ben quattro ore. Ammetto di essere partita prevenuta: me ne hanno sempre parlato benissimo (soprattutto la mia mamma, massima esperta di pellicole rosa e strappalacrime), descrivendolo come un “capolavoro romantico pieno di drammi e intrecci”. Essendo che tanto amo l’azione e l’avventura quanto non sopporto le tragedie stile “Anna dai capelli rossi”, l’idea di spendere 233 minuti a vedere gente soffrire per amore non mi allettava granché.

Tuttavia, sono costretta a ricredermi parecchio! Via col vento è uno dei film più moderni e audaci che abbia visto recentemente, con Rossella (Vivien Leigh) che impersonifica la voglia di vivere e urla a tutto il mondo quanto siano dannatamente inutili le convenzioni sociali. Ora vi racconto bene cosa mi ha portato a queste conclusioni, ma con calma, che magari non l’avete visto tutti e un po’ di trama, su quattro ore di film, vale la pena accennarla.

Trama

Sappiate innanzitutto che Via col Vento dura sì quattro ore, ma ciascuna di esse ha un inizio, uno svolgimento e una fine, con tanto di note introduttive, così che se voleste interromperlo a metà per prendervi una bella pausa, non sareste costretti a smettere in un punto qualunque.

La storia, in realtà, è abbastanza semplice: c’era una volta Rossella O’Hara, ambiziosa fanciulla di nobili origini, follemente innamorata di Ashley Wilkes. Ashley, altrettanto ricco rampollo, sposa però la cugina Melania Hamilton in barba a quel sentimento potenziale (ma mai approfondito) che da sempre lo lega alla sopracitata Rossella. Per tutto il film la nostra intraprendente protagonista ha due obiettivi: sopravvivere in modo dignitoso alle molteplici sventure che le capitano e conquistare l’ormai maritato Ashley.

Il primo scopo la obbliga a scendere a patti con realtà che avrebbe preferito evitare (coltivare la terra lei stessa, amministrare in prima persona il cotonificio di famiglia, badare alle sue sorelle e al padre malato e altri affari affini); il secondo, invece, la porta a stare molto vicino alla tanto invidiata Melania, così da avere sempre un pretesto per vedere l’oggetto del suo desiderio senza destare sospetti.

Purtroppo le condizioni al contorno non sono tanto a suo favore: l’intera vicenda è ambientata durante la guerra di secessione americana, ma lei è dalla parte dei dixies (quelli che verranno sconfitti), quindi ad allontanarla dai suoi due traguardi ci pensano i disagi portati dalla guerra.

Tuttavia, Rossella non si perde d’animo. Si sposa tre volte, perde una figlia, due mariti, un amante, entrambi i genitori, una pseudo amica e alcune persone su cui ha sempre fatto affidamento; i luoghi della sua infanzia vanno in cenere, si vede portar via ricchezza e belle vesti, il suo podere cade a pezzi e ovunque si giri ci sono solo dolore e fatica. Eppure, nessuno di questi motivi è abbastanza per distruggerla: qualunque cosa accada, si rianima e va avanti, perché, dopotutto, “domani è un altro giorno“.

Rossella e Melania: due esempi di girl power

Uno dei punti salienti del film è il dualismo perfetto con cui le due protagoniste femminili si dividono la scena. Da una parte l’astuta, irriverente e un po’ egoista Rossella, dall’altra l’ingenua, delicata e servizievole Melania: donne estremamente diverse, unite dalle vicissitudini quotidiane (e dall’amore per Ashley).

“Melania Hamilton, quella pupattola smorfiosa e sciocca!” ci dice miss O’Hara nei primissimi minuti del film, mentre l’altra muore dalla voglia di conoscerla e di diventarne la migliore amica. Si presentano cordiali, sorridenti e ben vestite, ma mentre la prima sta solo indossando la sua maschera migliore, all’altra basta l’onestà del suo buon cuore per far bella figura. Ashley, dal canto suo, è immancabilmente attratto da entrambe ma (fortunatamente) prende una decisione all’inizio e la mantiene, con più o meno costanza, per l’intera durata del film. Non ci sono triangoli o intrighi amorosi, anzi: Via col vento è una storia che inizia dopo il “vissero felici e contenti” delle fiabe più classiche e ha come protagonista la sorellastra invidiosa, che non si dà pace per l’amore perduto e cerca di recuperarlo giocando d’astuzia.

La cosa sorprendente è che mentre il mondo intorno viene messo a ferro e fuoco, nulla sembra sconvolgere quella paladina di Melania. Fa l’infermiera volontaria in ospedale, perché “quest’uomo ferito potrebbe essere Ashley, chissà se è ancora vivo”, dà da mangiare ai foresti e agli sfollati, perché “chissà se Ashley riesce a trovare da mangiare”, e via così. Con lo spirito della buona samaritana, la donna perfetta del secondo 800 deve essere devota al marito, caritatevole, altruista, gentile e umile, e la nostra pupattola non è altro che questo.

Contemporaneamente, Rossella piange e si dispera perché in guerra è morto il tizio semi-sconosciuto che ha sposato solo per far dispetto ad Ashley. Il motivo di tanto sconforto non è ovviamente il tragico incidente, quanto più le conseguenze: una donna vedova deve indossare il lutto, che comporta l’evitare feste ed eventi pubblici, il rimanere mesta e, soprattutto, il vestirsi di nero. Tutte caratteristiche che Rossella, amante delle stoffe colorate e dei piaceri concreti della vita, si rifiuta categoricamente di abbracciare.

Proprio qui sta il punto chiave: là dove Melania è portata per natura a seguire le leggi dettate dal buon costume e dalla morale comune, lei per natura tende a soddisfare soltanto il suo piacere, ignorando l’opinione degli altri. Per questo entrambe vincono sempre, ciascuna a modo suo: perché entrambe assecondano soltanto la loro essenza.

Un po’ come se un legale buono facesse squadra con un caotico malvagio. Non c’è un modo di essere “migliore” o “peggiore”, uno giusto o uno sbagliato: semplicemente, si è. A fare la differenza è il modo in cui ciascuno sfrutta la propria natura per trarne il vantaggio maggiore.

Se Melania è servizievole e aiuta tutti “dal basso”; Rossella prende in mano la situazione e si assicura che tutti siano nutriti, sani e vivi, “dall’alto”. Anche se a volte può sembrare, quest’ultima non è l’antagonista né la cattiva, anzi! Semplicemente, è fatta così e non c’è nulla di sbagliato nell’essere sé stessa, in barba a tutta l’etica che il fare dell’epoca ci voleva ricamare sopra.

Curiosità

Come molti di voi sapranno, Via col Vento è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Margaret Mitchell, uscito appena tre anni prima del film. La storia, come abbiamo visto, è ambientata nella Georgia dei confederati, ossia da quella fetta di popolazione che campava grazie ai cotonifici, per i quali aveva bisogno di tantissima manodopera (possibilmente gratuita). Per questo i confederati lottarono a lungo per non abolire la schiavitù, ma fortunatamente gli unionisti ebbero la meglio e le catene vennero spezzate.

Tuttavia, per raccontare una storia che fosse il più verosimile possibile, Margaret non si fece problemi a usare la parola “nigger” (l’ho contata un centinaio di volte in tutto il libro). Quel termine però costò parecchio al romanzo, che venne infatti considerato razzista. Stando a Elle.com, inoltre, la sceneggiatura fu rivista proprio per rimuovere la famigerata “N-word”: inizialmente era infatti stata inserita, utilizzata dai diretti interessati come epiteto reciproco. Poi, in seguito a una lettera che accusava il produttore di essere filo-colonialista, venne rimossa del tutto.

Spulciando per la rete ho trovato anche parecchie curiosità circa la vita privata di alcuni membri del cast, dal bipolarismo di Vivien Leigh alla scenata furibonda di Gary Cooper (colui che non interpretò la parte di Rhett Butler). Tuttavia, a me il gossip di questo tipo proprio non interessa; se invece a voi sì, sono sicura che Google saprà aiutarvi.

In compenso sappiate che una delle battute più celebri, in italiano tradotta con “Francamente, cara, me ne infischio!” (detta da Rhett a un’implorante Rossella), in passato ha suscitato le ire dei perbenisti. La battuta originale è infatti “My dear, I don’t give a damn.” e visto che “to give a damn” è una forma idiomatica che sta per “fregarsene”, potremmo tradurre quel “damn” con “accidente” (non me ne importa un accidente). Tuttavia, benché oggi il tono e il termine non facciano scalpore, nel ’39 quel damn era considerato un’imprecazione a tutti gli effetti e, per lasciarlo nella pellicola, il produttore dovette pagare una multa di 5 mila dollari (quasi 9 milioni delle vecchie lire, circa). Fortunatamente, pare proprio ne sia valsa la pena.

Conclusione

Forse che Via col Vento sarà il Galeotto che mi porterà verso altri film romantici e drammatici? Presto per dirlo, sicuramente ora sono meno scettica a riguardo.

Comunque sia, davvero, io Via col Vento mi sento di consigliarvelo. Anche perché la fotografia è maniacalmente curata, tanto che moltissime inquadrature sembrano proprio tramonti dipinti incollati sullo schermo. Certo, gli effetti speciali sono quello che sono, fra un’esplosione e l’altra la gente cammina nel fuoco incurante delle fiamme e ci sono un sacco di cavilli che potremmo andare a sottolineare. Eppure è così pieno, così ricco di vesti pompose e ville maestose, uomini, soldati, emozioni, sentimenti forti e opinioni contrastanti; c’è così tanto dissidio in ogni istante del film che non posso fare a meno di suggerirvelo.

Poi ci sta che non vi piaccia, che le quatto ore vi pesino e chissà che altro. Comunque, se lo guardate, poi fatemi sapere con un commento cosa ne pensate, che sono curiosissima di conoscere punti di vista diversi dal mio. Soprattutto: siete #teamRossella o #teamMelania?

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