Noto anche con il (deplorevole) titolo de La casa degli invasati, L’incubo di Hill House (The Haunting of Hill House) è un romanzo scritto nel 1959 dall’autrice Shirley Jackson ed è universalmente considerato un classico della lettura horror, al pari di Dracula e Frankenstein.
Nell’aria e sui social risuonano ancora prepotenti i molti e meritati plausi alla serie Netflix: Hill House, con Carla Gugino, che recentemente è stata sviscerata dall’articolo di Gattiveria.
Essendone rimasto affascinato anche io, e pur non essendo il mio genere di punta, ho deciso di cimentarmi anche con la lettura del romanza da cui è (molto) liberamente tratto.
Ecco cosa ho scoperto tra le pagine.
Innanzi tutto una doverosa premessa. Il libro compie proprio quest’anno sessant’anni e un po’ li dimostra. Questo non vuol dire che un classico sia da buttar via, anzi, vuol solo dire che tanto lo stile di scrittura quanto la rappresentazione della società risente di questi sei decenni. Un esempio pratico sono i ragionamenti e i dialoghi tra le due protagoniste, Eleanor Vance (Nell) e Theodora, che alle nostre orecchie di uomini e donne del XXI secolo suonano aliene, se non addirittura insensate.
Non dobbiamo però dimenticarci che siamo in un’ambientazione dell’America degli anni ’60, con tutto quello che ne consegue: visione del mondo femminile compreso.
Una volta superati certi ragionamenti, che ci sembrano de facto assurdi, possiamo invece goderci quella che è una delle più belle e celebri ghost story della letteratura americana, al punto che autori del calibro di Ray Bradbury e Stephen King ne hanno riconosciuto la profonda influenza. King, oltretutto, ne ha diffusamente parlato nel suo saggio Danse macabre.
La trama, molto diversa da quanto visto nella serie TV, vede Nell protagonista di un misterioso evento di poltergeist quando era bambina: per questa ragione lei, ed altri personaggi legati in qualche modo al paranormale, vengono contattati dal misterioso dottor Montague, un antropologo, con l’invito a passare l’estate nella dimora di Hill House.
Ad accettare l’invito, oltre a Nell, sono l’artista Theo (probabilmente lesbica) con un modo di fare del tutto diverso dall’altra, e Luke Sanderson: erede di Hill House che ha il compito di vigilare sugli esperimenti del professore.
Dopo alcune giornate tranquille, in cui il dottor Montague accoglie gli ospiti raccontando loro la storia ricca di lutti della casa, i tre giovani si sistemano come meglio possono nell’edificio che presenta alcune stranezze, alcuni elementi architettonici che gettano su tutti loro un certo senso di inquietudine.
Forse il segreto risiede proprio nell’architettura della casa, che presenta angoli irregolare ed inclinazioni per le quali gli abitanti subiscono costantemente un senso di disorientamento. A rendere la situazione ancor più opprimente è la governante, che vittima di una rigidità eccessiva e apparentemente ingiustificata, sembra sposarsi bene con la dimora in cui serve. Così come sembra conoscere qualcosa sui suoi segreti e per i quali non ha intenzione di rimanere oltre il tramonto.
Ma a subire maggiormente gli influssi della dimora è proprio Nell, la cui già fragile psiche è soggiogata dal senso di colpa per la madre morta e per una vita insoddisfacente che la porta a creare nella sua mente mondi fantastici e colorati che sono però destinati a infrangersi contro la dura realtà. Tutto ciò la porta a sviluppare un astio feroce nei confronti di Theo, per la quale ha una velata attrazione, e dello stesso Luke.
La situazione peggiora con l’arrivo della moglie di Montague, convinta di essere una medium, e della sua planchette con cui cerca di comunicare con gli spiriti che infestano la casa.
Il crollo psicotico di Nell, nel finale, farà sì che sia lei stessa la principale vittima della suggestione e della dimora, dalla quale viene allontanata per il suo stesso bene.
Un finale che non rivelerò, nel caso decidiate di approfondire dedicandovi alla lettura, ma che è sicuramente uno dei migliori che mi siano capitati nella lettura dei classici. L’autrice rinuncia, per tutta la durata del libro, a facili escamotage: la sensazione di disagio è costante, ma l’orrore non è mai sbattuto in faccia al lettore.
La conclusione, quindi, si presta ad una doppia chiave di lettura. In una, più semplice forse, è che la casa non sia davvero infestata e che le manifestazioni non siano dovute ad altro che alla suggestione degli abitanti. Di Nell, in particolare, che finisce con incarnarle in prima persona senza rendersene conto.
La seconda è invece più metafisica, e dà al libro una struttura circolare, anche grazie alla celebre introduzione (“Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà […]”) che funge sia da cappello che da chiusura del romanzo. In questa interpretazione gli spiriti ci sono: prima, dopo e durante la permanenza di Nell nella casa, e in un modo del tutto particolare.
Non posso proseguire oltre senza rovinarvi il gusto di questa rapida lettura che sinceramente vi consiglio, che abbiate o meno visto la serie Netflix. Una cosa è certa: questo romanzo è una pietra miliare della letteratura fantastica americana e i molti film tratti da esso ne sono la prova.
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