Mute
La fantascienza sembra essere tornata di moda sul grande e piccolo schermo, in particolare nella sua variante cyber-punk e distopica.
E in questo filone si inserisce Mute, ambizioso progetto del regista Duncan Jones, distribuito su Netflix a partire dal 23 febbraio 2018.
Jones, figlio d’arte (suo padre era David Bowie), si era già fatto notare con lo sperimentale e acclamato Moon, per poi lasciare tutti perplessi con il decisamente meno ispirato Warcraft – L’inizio. Mute, secondo lo stesso regista, è un seguito spirituale proprio del riuscito Moon.
Il risultato, però, non è esattamente come mi sarei aspettata.
Trama
Il giovane Leo ha un’incidente in barca con la famiglia: il bambino si ritrova con le corde vocali gravemente danneggiate e, per salvargli la capacità di fonazione, sarebbe necessario un intervento chirurgico. La famiglia, però, rigidamente Amish, rifiuta.
Ritroviamo Leo, muto e ormai cresciuto, nel 2052 in una Berlino piovosa, cupa e distopica. L’uomo si guadagna da vivere facendo il barista in un club, nel quale conosce l’amore della sua vita: la cameriera Naadirah.
Quando la donna scompare in circostanze misteriose, Leo si mette sulle sue tracce, incontrando la propria strada con due chirurghi americani che collaborano con la mafia.
Recensione
Togliamoci il sasso dalla scarpa: Mute non è un film riuscito ma non è nemmeno un completo disastro; anzi presenta alcuni aspetti davvero interessanti e ben fatti che meritano di essere sottolineati.
In particolare l’ambientazione, davvero riuscita: la Berlino del futuro ricorda da vicino la città che abbiamo amato in Blade Runner, risultando un chiaro omaggio al cult di Ridley Scott.
La Germania del futuro, in Mute, è multietnica, affollata, eternamente cupa e caratterizzata da laser e bagliori. Perfino le automobili volanti e l’abbigliamento sembrano presi di peso da Blade Runner e, a livello visivo, l’ambientazione è una vera gioia per gli occhi e, come vi dirò tra poco, è anche l’aspetto che maggiormente conquista e coinvolge lo spettatore.
Pollice in alto anche per i protagonisti che, nonostante si trovino a recitare personaggi non troppo ben scritti, riescono a regalare grandi interpretazioni. In particolare Alexander Skarsgård che, dopo essersi fatto notare in Big Little Lies, riesce in Mute a nobilitare un personaggio che, altrimenti, non risulterebbe affatto empatico. Recitare senza parlare non è certo un compito facile ma Skarsgård merita di essere promosso.
Altrettanto da lodare sono gli interpreti dei due chirurghi americani: Paul Rudd, smessi i panni di Ant-Man, dà vita ad un personaggio ricco di chiaro scuri e Justin Theroux, irriconoscibile, si fa carico di un personaggio scomodo rendendolo estremamente umano. Simpatica, poi, la comparsata di Dominc Monaghan (che i fan di Lost e de Il Signore degli Anelli ricorderanno bene).
Qui però, purtroppo, finiscono gli aspetti positivi, soffocati dai troppi difetti: in particolare una scrittura confusa, affatto coinvolgente, che fatica a decollare. La storia procede lenta e caotica, come se nello scriverla non fosse stata posta la giusta attenzione.
Il risultato è un film dimenticabile, salvato appena dall’ambientazione magnifica non adeguatamente sfruttata e da una triade di ottimi attori alle prese però con personaggi incompleti.
Un vero peccato, perché Mute aveva del potenziale e poteva dare nuova linfa ad un genere fecondo in cerca di rinnovamento. Le produzioni originali Netflix, nonostante la grande accuratezza per le serie TV, continuano purtroppo a lasciare a desiderare quando si parla invece di lungometraggi.
Nerdando in breve
Mute è un film ambizioso con un’ambientazione cyber-punk da paura che finisce però per essere soffocata da una storia caotica e confusionaria.
Nerdandometro: [usr 2.0]
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