Cosa succede quando incontri per la prima volta un mito assoluto della tua vita? Niente. Ti siedi ed ascolti, rubando ogni parola e godendoti ogni singolo attimo passato al cospetto di un gigante come John Howe: uno dei più celebri illustratori dell’opera di Tolkien.
Ricordo benissimo che nel lontano 1996, entrato per la prima volta in contatto con quella scatola magica chiamata Internet, la primissima cosa che feci fu cercare illustrazioni de Il Signore degli Anelli. Tra i molti illustratori che scoprii aver dedicato la propria arte al maestro inglese, rimasi semplicemente folgorato dall’opera di John Howe per la sua incredibile capacità di dare forma, colore e vita a cose che fino a quel momento avevo dovuto unicamente immaginare con la mia fantasia. Fantasia che, fino ad allora, avevo considerata fertile e creativa ma che, dopo aver posato gli occhi sul celebre “Gandalf il Grigio” dovetti decisamente ridimensionare.
L’occasione di incontro è stata quella di un workshop organizzato da Mimaster Illustrazione Milano e tenuto da John Howe a Milano, durante il quale il maestro ha trovato il tempo per tenere una piccola conferenza nel corso della quale, in compagnia di Federico Gugliemi (Wu Ming 4), autore del saggio “Difendere la Terra di Mezzo”, ha parlato per oltre un’ora del proprio rapporto con Tolkien, del proprio lavoro di illustratore e della collaborazione con Peter Jackson.
John Howe è un uomo pacato e tranquillo, a volte sembra incredibile come da quelle mani possano nascere tratti così nervosi, dinamici, che prendono vita man mano che la matita corre veloce sul foglio. Ci parla di come ha conosciuto Il Signore degli Anelli e di come la sua collaborazione con Alan Lee e Peter Jackson ha contributo a modificare per sempre l’immaginario collettivo.
Punto da Wu Ming 4 su questo aspetto, John ha concordato che è ormai difficilissimo, se non impossibile, riuscire ad andare “oltre”: immaginare qualcosa di diverso da quello dipinto da loro. Ormai gli elfi sono quelli che abbiamo visto a Gran Burrone, e il Balrog è quella creatura mostruosa mostrata ne La Compagnia dell’Anello. E Gollum? Con incredibile modestia, per un uomo di tale levatura, John rimanda al mittente i complimenti: il lavoro di creazione di un personaggio riuscito come Smeagol non è da attribuirsi a lui o ad Alan Lee. È un lavoro corale, dove tutti hanno messo mano: sono centinaia di persone da lodare, da Peter Jackson alla moglie, da Andy Serkis ai modellatori 3D. Se Gollum funziona così bene è merito del lavoro di tutti.
John ci parla del suo ruolo di concept artist per i film: gli illustratori sono al “servizio” del regista. Intrattengono fitte conversazioni con lui e poi buttano giù tonnellate di schizzi cercando di dare forma alle idea del regista; alla fine viene fatta una prima scelta e da lì si procede aggiungendo i dettagli e sviluppando nella sua complessità l’opera richiesta. La palla poi passa agli scenografi, ai costumisti e ovviamente agli attori. Quando si registra su chroma key, poi, il lavoro torna in mano agli illustratori che, fianco a fianco coi tecnici, completano i fondali mancanti per ottenere quell’effetto finale che tutti abbiamo ammirato al cinema.
“Mi hanno detto – dice ad un certo punto John – che i miei personaggi non sono simili a quelli descritti nel libro. Ma il libro non da descrizioni fisiche dei personaggi, nessuno sa esattamente com’è fatto un Balrog… Una delle questioni più dibattute da sempre è: ha le ali? Tuttavia Tolkien descrive benissimo le sensazioni, le emozioni provate dai personaggi, e questo da a noi illustratori tutto quel che ci serve per immaginarli e disegnarli.”
C’è tempo per alcune domande dal pubblico e, ovviamente, una di esse cade sui draghi. Il maestro canadese risponde con una dissertazione sociofilologica sulla figura del drago, su come questo sia stato rappresentato lungo tutta la storia dell’umanità di cultura in cultura e del perché sia così importante. “…and most of all – conclude – they are incredible cool to draw”.
Stupendo.
Al termine dell’incontro, John accoglie i visitatori. Non c’è tempo per firme e autografi, ma per una foto sì. Di fronte all’imbarazzo generale non posso esimermi e mi faccio avanti per primo. E in quel momento LUI si è messo in posa accanto a me, appoggiando la sua MANO sulla mia spalla. L’ho ringraziato per la foto e LUI ha risposto ringraziando ME per essere andato a sentirlo.
LUI ha ringraziato ME.
Ecco uno di quei ricordi che si conserverà molto a lungo nella memoria.
Per l’incontro e le immagini concesse per questo articolo, ringrazio Mimaster Illustrazione Milano.