Videogames

C’era una volta la Apogee

Una volta bastava vedere questo logo per essere felici!

Lo ammetto, questo è un fortissimo momento nostalgia. In primis nostalgia per ciò che la Apogee ha rappresentato per tutti i videogiocatori della mia generazione e per quelli della precedente: se ho iniziato a giocare al PC è anche grazie a loro. Sono stati loro a donare i titoli che hanno segnato i miei primi passi al computer, giochi come Commander Keen e Secret Agent, che ai più non diranno nulla, ma che per me sono stati fondamentali. Oltre a questi dobbiamo anche aggiungere altre perle molto più titolate come Duke Nukem, Wolfenstein 3D (di cui ho giocato con orgoglio tutti gli episodi) nonchè Doom, la Id è nata infatti da una scissione con la Apogee.

Ma ciò che la Apogee ci ha regalato, e che ormai è purtroppo andato perso, è stato un approccio nuovo al videogioco: sono stati loro a rendere popolare il sistema Shareware, l’antesignano delle demo; come indica la parola stessa, era pensato per la condivisione delle opere videoludiche con modalità in parte gratuite, in modo tale che il giocatore potesse in qualche modo godere dell’esperienza ludica e poter avere i mezzi per decidere se comprare un meno un videogioco nella sua interezza, o solo alcune parti di esso. Quello che invece al giorno d’oggi è una triste inversione di tendenza, spinta da alcuni fenomeni quali l’Early Access, che si vede sempre più spesso su Steam, e i famigerati DLC, che ormai sono ovunque come funghi e prezzemolo. In tutta onestà non riesco a capire come si possa concepire il fatto che un DLC a pagamento che contenga personaggi segreti di un gioco, finali alternativi o altri elementi dal contenuto rilevante, sia un qualcosa in grado di gratificare l’esperienza ludica di un giocatore. Per quanto io possa capire l’utilizzo di un DLC a pagamento per alcune modifiche grafiche sfiziose al solito aspetto di un gioco, trovo invece umiliante il dover ricorrere a denaro per prendere delle parti mancanti di un gioco, dopo averlo pagato a prezzo pieno. Nella mia esperienza videoludica sono sempre stato abituato ad essere invogliato a giocare maggiormente un titolo, aumentandone esponenzialmente la longevità, al fine di trovare elementi segreti, sbloccare nuovi personaggi nei picchiaduro e addirittura rigiocare da capo per ottenere dei finali alternativi. Diciamocelo, nessuno di noi avrebbe passato così tanto tempo sulle modalità single player di Tekken o Street Fighter se non avesse dovuto finire il gioco con tutti i personaggi o fare altre cose complicate al fine di sbloccare tutti i personaggi e le modalità segrete.

Discorso differente è quello legato all’Early Access. Da un certo punto di vista può essere stimolante contribuire alla fase di sviluppo di un gioco, pagandolo meno di quanto costerebbe alla sua uscita e avere la possibilità di provarlo nei suoi stati di sviluppo, ma i pregi di questo sistema possono anche dimostrarsi un’arma a doppio taglio se il tutto non viene gestito al meglio. Prendiamo ad esempio un gioco come Starbound, che mi è stato donato lo scorso Natale dal buon Tencar: è un gioco bellissimo e coinvolgente, longevo, un ottimo titolo sin dalla prima fase di sviluppo a cui ho potuto giocare eppure la sensazione che ho avuto nel periodo in cui l’ho posseduto è stata quella dell’abbandono, non sono mai riuscito a percepire una crescita nella completezza del prodotto, è stato un po’ come giocare ad un eterno incompiuto (questo vale per il periodo che va dallo scorso Natale a maggio, dopodichè l’ho leggermente lasciato indietro).

Insomma, pur sapendo che probabilmente è impossibile un sistema del genere per le condizioni attuali del mercato videoludico, mi piacerebbe da morire tornare ad un punto in cui, quando si faceva un videogioco, si pensava a completarlo prima di gettarlo in pasto al pubblico e, se poi questo decideva che il titolo meritava l’acquisto, chi comprava aveva in mano un titolo completo con l’aggiunta della smania per la ricerca di tutti i segreti e gli easter eggs che gli sviluppatori avevano voluto inserire nel titolo. Insomma, ridatemi l’Apogee!

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