Il “vorrei ma non posso” di una fiera da ripensare
L’idea di un evento italiano che sia centrato soltanto sullo sfavillante mondo del videogame, è stata per molto tempo la classica idea che tutti pensavano, ma nessuno era stato così coraggioso da proporre. Così, quattro anni fa, finalmente è nata a Milano la Games Week, una tre giorni fieristica che si vuol proporre come evento leader in Italia per quanto riguarda il videoludo.
L’idea mi ha sempre parecchio attratto ed incuriosito ed ero anche abbastanza dispiaciuto dal non aver mai potuto presenziare e realizzare se l’evento funzionasse oppure no.
Quest’anno, risiedendo a Milano, ho approfittato per saziare la mia curiosità ed ho scelto la giornata di sabato (quella centrale fra le tre dell’evento) pensando potesse esserci meno ressa che di domenica. Sbagliando clamorosamente, ma ci arriveremo.
Già da prima di entrare in fiera (localizzata nella “vecchia” Fiera di Milano in zona Lotto) l’organizzazione è apparsa scricchiolante su tutti i versanti fondamentali: una coda mostruosa fuori dalle biglietterie, addetti della security e dell’evento preposti a gestire la coda mal coordinati sia dall’alto che tra loro, con persone sballottate da un lato all’altro del marciapiede, rimbalzate tra le file dedicate a chi avesse già pre-acquistato il biglietto e chi no, in un malnato tentativo di snellire il flusso di visitatori. Prima litigata.
Litigata che si è riproposta anche di fronte alle casse, quando un addetto della fiera ha chiuso una delle code per aprirne un’altra senza comunicarlo, con una nonchalance incredibile e quasi maleducata: seconda litigata.
Dopo aver perso un’ora abbondante soltanto per entrare, finalmente la fiera.
Prima impressione: un carnaio e spazi sfruttati malissimo, un padiglione intero con stand a volte troppo vicini e troppo risicati per gestire quella fiumana di gente, con apice apocalittico toccato dallo spazio Unieuro, sponsor tecnico della fiera.
Avevo letto il giorno prima delle grandiose offerte riservate dalla Unieuro per la Games Week, ma nessuno mi aveva preparato ad una rievocazione del girone dantesco dei golosi: persone accalcate che nuotavano sopra altre persone, cestoni irraggiungibili, casse quasi una chimera. Le offerte effettivamente c’erano eccome, con titoli appena usciti o in prenotazione a prezzi ridicoli e console next-gen ribassate anche di 200 €, ma emergere in quel caos non era una faccenda per vecchi. Da ripensare completamente come area.
Gli stand, dicevo, mi sono sembrati troppo modesti rispetto alla folla presente e provare un qualsivoglia gioco richiedeva l’attesa in coda con tempi dilatatissimi e una pazienza proverbiale per sopportare le orde di ragazzini in gruppetti da sette-otto che si passavano i joypad tra loro, neanche fosse una canna di fronte ad un falò estivo. Emblematico lo stand Namco-Bandai, che proponeva di giocare in anteprima tra gli altri titoli Lords of the Fallen, un action rpg tutto europeo dal sapore darksoulistico. Vi dico solo che sono riuscito a provarlo soltanto alle 18 e arrivato a quel punto ero talmente stanco che non l’ho neanche apprezzato. Il problema? Oltre alle già citate orde, lo stand Namco era accanto a quello Nintendo, che ha avuto la brillante idea di piazzare il palco nel bel mezzo della fiera e di invitare una decina di youtuber. Il massacro.
Altra delusione, la fila immonda per provare l’Oculus Rift: ero partito eccitatissimo dall’idea di farci un giro ma si era al livello di dover tagliare cose da vedere in una fiera che, in una mezz’oretta, si girava senza affanno, e quindi nulla.
Plauso invece per lo stand della Sony che ha portato in fiera molte anteprime succulente, come ad esempio Bloodborne, The Order 1886, Battlefield: Hardline, che saranno disponibili soltanto all’inizio del nuovo anno. In particolare io ero scimmiatissimo per il titolo della From Software, erede next-gen della serie Souls. Per gestire il caos, la prova era permessa per dieci minuti a testa e per entrare bisognava fare la fila. Peccato, ma qui Sony non c’entra, che da bravi italiani non siamo proprio in grado di stare in coda ordinatamente: quindi tra persone che entravano da sotto le transenne, spintoni, screzi, alla fine Bloodborne si è fatto attendere un’oretta e mezza (ma forse ho perso il conto delle ore). Come primo impatto posso dire che è un titolo che colpisce tanto già a partire dalla Alpha, e forse potrebbe diventare uno dei motivi per acquistare una Playstation 4. Ma se ne riparlerà a febbraio.
Al di là del marasma mainstream, fatto di Ubisoft, Warner Bros. (molto carino L’ombra di Mordor, unico titolo provabile senza invecchiare in coda) e Activision, ho apprezzato tanto la sezione retrogaming: oltre ad una piccola esposizione di svariate chicche del passato, in un apposito spazio era possibile provare e giocare con la maggior parte delle console del passato, tutte munite rigorosamente di TV a tubo catodico! Peccato o forse per fortuna, i maggiori frequentatori di questo stand non superavano i dieci anni d’età, o non erano sotto i cinquanta, in barba al vicino fracassonissimo baraccone (con annessa fila chilometrica) del “nuovo”, “nuovissimo”, “superinnovativissimo” capitolo di Còllovdiùti.
Altra area interessante, quella dedicata al mondo Indie, adiacente all’area conferenze, dove parecchie software house (e molte erano italiane, ma non lo sa nessuno) mostravano il frutto delle loro fatiche su PC e console alla modesta quantità di avventori che non si accalcavano sui tripla A. Lacrimuccia nostalgica per l’incarnazione digitale delle avventure di Lupo Solitario, famosissimo libro-game che i piccoli nerdini degli anni ’80 ricorderanno con gioia, che fa la sua gran figura anche sui monitor. Eh si, arriva su Steam a fine mese! (27 novembre).
Esausto e provato da una giornata stancante più per la calca, le code e la disorganizzazione che per le attività vere e proprie, mi sono concesso un’ultima tappa allo stand della gadgettistica dedicata a molti titoli di successo della storia dei videogame: personale bottino la tazza con i vault boy di Fallout, impossibile da lasciar lì, ma erano molte le chicche che meritavano attenzione (la superpecora di Worms era clamorosa).
Alla fin fine il tutto mi ha lasciato un enorme amaro in bocca, sia per l’organizzazione, a mio avviso fallimentare nel gestire l’immondo flusso di persone, sia nel non rendersi conto che oramai esistono differenti fasce di età e di maturità tra gli appassionati di videogiochi: parlando con persone in fiera, mi sono reso conto di quanto si stia sdoganando la questione della cultura videoludica, intesa anche come hobby e passione, e non più solo come “giochini passatempo” o perditempo, come la generazione dei nostri genitori era abituata ad additarli; lo spazio per creare qualcosa di alto livello c’è.
Altrimenti c’è sempre Lucca e la sezione gaming lì mi è sembrata decisamente migliore, più ricca e meglio gestita; trattasi comunque di una fiera non specifica del solo settore, quindi figuriamoci un po’.
Perciò Games Week, secondo me così proprio non ci siamo! Non potete rimanere nel limbo dell’essere né carne, né pesce: l’anno prossimo o fate il salto di qualità (e le cifre delle presenze lo permettono) o perdonatemi, ma è meglio lasciar perdere e dedicarsi solo ai brufolosi adoratori degli youtuber, che in effetti erano gli unici che hanno poi lasciato commenti entusiasti sui social network riguardanti l’evento. Fossi in voi un’occhiatina al feedback generale la darei eccome. O forse sono io che sto invecchiando…