Interviste

Due Chiacchiere con: Chris Darril (Bye Sweet Carole e Remothered)

Chris Darril

Introduzione

Bye Sweet Carole è sicuramente uno dei videogiochi che mi hanno colpito di più quest’anno, tant’è che ho voluto candidarlo ai Nerdando Awards. Essendo una produzione italiana, volevo provare a fare qualche domanda al suo creatore, Chris Darril, per scoprire alcune curiosità sul gioco e comprenderne meglio il lavoro dietro. Con nostro grande piacere siamo riusciti a organizzare un’intervista e ringrazio tantissimo Chris e il suo team per averci dato questa opportunità.

Nato a Catania nel 1989, Chris Darril è un creativo a tutto tondo: scrittore, regista, art director, game director e fondatore di Little Sewing Machine. Prima del successo di Bye Sweet Carole si era già fatto conoscere per il suo lavoro con la saga di Remothered e per la regia di alcuni corti tra cui Before Saying Goodbye.

Inizialmente, doveva essere un’intervista scritta tuttavia, per esigenze di Chris, si è trasformata in una piacevolissima chiacchierata fatta di domande ma anche digressioni su cinema, videogiochi, femminismo e cancel culture.
Un testo molto lungo generalmente scoraggia la lettura, lo so, ma ho voluto ridurre al minimo l’editing dell’intervista, cercando di far vivere l’esperienza di sentire parlare Chris anche a chi ci legge, limitandomi a tagliare le digressioni che fanno perdere un po’ il filo del discorso.

Intervista

Kiarakala: Ciao Chris, grazie per aver accettato di fare questa intervista, per me è un piacere e un onore parlare con te.

Chris Darril: Dai, no, veramente, anzi è un piacere veramente… Vi ringrazio dello spazio che ci state concedendo ma anche della recensione, quindi sono onorato io in realtà.

K: Fa molto piacere. Adesso inizio con le domande. Dai, partiamo con la prima. Da dove nasce l’idea di realizzare un gioco come Bye Sweet Carole dove c’è questo ritorno alla tecnica tradizionale, nonostante la tendenza odierna nel mondo dell’animazione di usare la computer grafica e i modelli 3D?

C: Allora, da dove nasce? Se vogliamo, l’esperimento in sé nasce da un errore a tutti gli effetti. Perché mi era capitato di rieditare un vecchio prototipo, una vecchia build dei miei precedenti titoli, quindi Remothered, che nasceva sotto forma di prototipo su RPG Maker XP che, non so se ricordi, è una sorta di software che ti permette di fare questi giochini un po’ stile RPG, con visuale isometrica, ecc.
Io all’epoca lo spinsi un po’ oltre, per così dire, con charset, tileset, quindi scenari e personaggi che comunque uscivano fuori dagli schemi di RPG Maker, e quello fu il primo prototipo di Remothered, che poi è uscito nel 2018 con un software Unreal Engine, quindi tutt’altra formula.
Mi ricapitò questa build in un periodo abbastanza particolare, perché lasciavo il progetto Remothered, una condizione sofferente già agli inizi della produzione del secondo capitolo, per via di un ambiente tossico dove non mi trovavo minimamente bene.
Secondo me, tanto più che stiamo facendo arte, credo che non ci debba essere mai nessuna condizione di clima di tensione perché altrimenti non si lavora, come dire, con la giusta ispirazione.

Quindi ho lasciato questo progetto: sicuramente è stata una scelta sofferta e in più attraversavo la fase dell’inizio dell’accettazione del lutto per la perdita di mia madre, dopo una sofferta malattia – un cancro contro cui ha lottato per oltre sette anni.
E quindi, un po’ come quando si cerca di strimpellare al pianoforte qualche nota, così a tempo perso volevo strimpellare con questa vecchia build di questo prototipo di Remothered, e mi ero deciso che avrei fatto una versione in 4K.

Nel modificare i frame di animazione disattivai su Photoshop i layers che corrispondevano a luci e ombre, quindi tutti quei layers che gli davano un senso di tridimensionalità e profondità, e mi comparve questo fotogramma flat, letteralmente piatto, con quei colori, oltretutto non propriamente saturi. E lì ho detto: potrebbe essere una bella idea. Poi io sono da sempre un amante dell’animazione tradizionale, ancor più che dell’animazione attuale in 3D con la computer grafica. Quindi da lì nasce questa idea. Non ti nego che i primi tempi ho valutato anche la questione di farne piuttosto un film d’animazione. Però alla fine ho detto: a tutti gli effetti comunque è andata molto bene con Remothered, quindi tutto sommato c’era già un seguito che non vedeva l’ora eventualmente di mettere le mani su una produzione che si rifaceva a Clock Tower, genere hide and seek classico che è stato appunto introdotto da Clock Tower stesso. E quindi nasce questa idea, che prima era solo un’idea e poi diventa una cosa, come dire, concreta a tutti gli effetti. Non senza dubbi o rischi, della serie: testiamo, valutiamo se una cosa del genere è fattibile. E alla fine almeno in parte ce l’abbiamo fatta.

Chris Darril

Chris mi ha raccontato quanto fosse stato difficile lasciare Remothered, ma col senno di poi abbandonare la saga si è rivelata la scelta giusta da fare per il proprio benessere e la sua creatività

K: Sì, ce l’avete fatta ed è uscito comunque un gran bel lavoro, devo dire. Prima hai parlato della tua passione per l’animazione tradizionale, da dove nasce?

C: Per me sono indelebili quegli anni, ogni volta poco prima di Natale quando usciva un nuovo classico della Disney e tu lo attendevi tutto l’anno. E non lo so, è un’associazione forse anche involontaria, perché quello lo ricordo come un periodo bellissimo. Usciamo dalle sale super eccitati, entusiasti del nuovo capolavoro della vecchia Disney, sapendo che da lì a un anno ne sarebbe uscito uno nuovo e chissà di cosa avrebbe parlato stavolta.
Il mio primo approccio, anche col cinema, fu la prima volta che vidi al cinema La Bella e la Bestia nel ’92, quindi i primi mesi del ’92: avevo due anni e perciò fu da subito la mia passione.
Mia madre stessa fu sorpresa dal fatto che un bambino di due anni riuscisse a stare calmo e sereno a guardare per intero il film. Tra l’altro mi ci riportò un’altra volta e, da lì, nacque anche una sorta di mio desiderio di scoprire com’è che nascevano i cartoni animati, una volta che avevo ben appreso che non si trattava di attori in carne ed ossa.
Mia madre mi volle spiegare come funzionava la tecnica che si fa disegnando fotogramma per fotogramma. E quella cosa mi è rimasta così impressa che forse ho voluto, onorando mia madre, risvegliare un po’ la mia infanzia, probabilmente quello che io associo a dei bellissimi ricordi.

Chris Darril

Una pagina dell’artbook in cui è possibile vedere il processo fatto per realizzare Lana, la protagonista di Bye Sweet Carole

K: Trovo che sia una cosa meravigliosa quella che hai fatto e quindi mi viene da dire che con questo videogioco, oltre a omaggiare i grandi registi dell’animazione del passato, hai fatto anche un grosso omaggio a tua mamma. Da questo aspetto bellissimo capisco anche una cosa che volevo chiederti. Ovvero come hai fatto a non cadere nel rischio del plagio. Perché per quanto lo stile ricordi molto Disney e alcuni cartoni di Don Bluth, giocandolo ti rendi conto che Bye Sweet Carole ha un’anima tutta sua.

C: Non saprei dirti. È vero che a me ogni lavoro che dirigo piace riempirlo di citazioni. Io adoro l’omaggio. Anche perché non c’è un solo artista o un solo artigiano che non si rifaccia ai grandi del passato. Come ti dicevo poc’anzi, io penso di essermi trascinato dietro questo desiderio di fare qualcosa associato all’animazione tradizionale quando da bambino mia madre mi regalò una risma di carta, quella per la stampante, e sapendo che appunto i film di animazione venivano disegnati fotogramma per fotogramma, la mia intenzione fu subito quella di disegnare, scarabocchiare foglio per foglio e infilarlo nel videoregistratore, convinto che il film avrebbe preso vita nella TV a tubo catodico invece… distrusse il videoregistratore.

Mia madre l’ha preso come una cosa ammirevole, dopo il primo cazziatone, l’ha presa come una cosa che denotava probabilmente una mia predisposizione per questo settore affascinantissimo; nel produrre qualcosa come è stato fatto in passato, e quindi chiaramente omaggiando registi come Gary Trousdale e Kirk Wise, i registi de La Bella e la Bestia, ma anche Glen Keane e sicuramente Don Bluth. Ovunque c’è qualche richiamo a qualche scena da qualche cult, anche d’annata, come Cenerentola nel caso della trasformazione di Lana. Non solo ispirazione da Don Bluth, ma, volendo, anche da L’Incantesimo del Lago, che non è conosciutissimo, però, sicuramente alla fine degli anni ’90 è stato uno dei capisaldi, per così dire, dell’animazione che cercava di primeggiare con altre major…

Quindi sì, per me è stato una sorta di bisogno di risvegliare il fanciullo che c’era in me, quasi con una morale pascoliana, se vogliamo. Perché ogni tanto si cresce in fretta ed è giusto che sia così. Purtroppo, nella vita accadono cose che sicuramente possono essere spiacevoli e ci cambiano. Anziché guardare subito avanti e mirare a reagire come un adulto dovrebbe fare, ho preferito guardare al passato e rivivere in qualche modo quella spensieratezza, sempre con quelli che sono un po’ i miei marchi di fabbrica: l’avventura un po’ piu creepy, una storia un po’ più articolata che poi si sbroglia alla fine come una matassa, con colpi di scena.

Chissà, magari gli anni cambieranno la mia poetica. Per il momento, è stato molto terapeutico lavorare a Bye Sweet Carole. Consiglierei a tutte le persone che stanno vivendo un periodo grigio della propria vita, chi per un lutto, chi perché decide di abbandonare un’altra realtà, ma anche chi ha una relazione che finisce, di dedicarsi tantissimo all’arte, di fare arte, di provare a scrivere, o a disegnare, di mettersi in gioco. Credo che non ci sia veramente terapia superiore a questa.

K:Mi trovi perfettamente d’accordo, un ottimo consiglio.

C: Lo sai qual è la reazione tipica? Lasciarsi prendere dallo sconforto e deprimersi. È brutto da dire, perché ovviamente la morte di mia madre è stata l’evento più traumatico di tutta la mia vita, non lo potrei paragonare a nient’altro, ma in quello stesso periodo io decisi di prendere la mia vita letteralmente in pugno e dissi: Io non me la sento di continuare così.

Io volevo già lasciare il progetto Remothered a gennaio 2020, e poi alla fine ho lasciato il gioco a ottobre 2020, quindi già mesi prima rispetto dell’effettivo lancio. Non mi sentivo minimamente ispirato, ero game director, ma solo di facciata, perché a tutti gli effetti non avevo nessuna responsabilità creativa. Quello che vedevo in gioco era tutta un’altra cosa rispetto a quelle che erano le mie specifiche.
Lì, definitivamente, ho detto: Io non voglio continuare con qualcosa che non mi rende felice. Oggi ci siamo, purtroppo domani potremmo non esserci più. Quindi a un certo punto lo potevo fare e ho deciso di tagliare corto e voltare completamente pagina.

C’è stato un periodo in cui non volevo più fare niente e non fare videogiochi per un po’. Poi invece, fortunatamente, ho detto no, proprio questo è un periodo in cui devo, secondo me, sublimare i miei stati d’animo e creare qualcosa che potrebbe far sentire meglio una persona. Per me riuscirci è già un successo.

Chris Darril

Pagina dell’artbook dedicata al buffo Mr. Baesie, fedele suddito di Corolla pronto ad aiutare Lana nella sua terrificante avventura.

Bye Sweet Carole nasce come reazione a quello che mi stava succedendo. Ci voleva questo progetto che nasce proprio in quel periodo un po’ buio, ed è andato avanti senza subire variazioni sino al lancio.
C’era qualche dubbio sul nome. Inizialmente avevo pensato a Hide Sweet Carole, ovvero Nasconditi, Dolce Carole, ma aveva più un’impronta sulla questione del bullismo. Poi ho detto a un certo punto: Perché non un arrivederci? Perché non un addio? Perché associamo tutti l’addio a una cosa tragica, tristissima, ma l’addio alle volte può essere utile per andare avanti. Un po’ come si direbbe nella poetica siciliana, la questione della “teoria della cozza”: si rimane attaccati allo scoglio a tal punto che poi si rimane lì. Ogni tanto bisogna dire addio alle cose affinché queste possano andare meglio, ma non solo per noi, spesso anche per gli altri.
Stessa cosa quando purtroppo c’è un lutto (la tematica principale del gioco è anche l’accettazione del lutto), lo si fa anche per il bene delle persone che non ci sono più, che fino a quel momento sicuramente ci hanno dato tanto e per loro in primis bisogna reagire e andare avanti, fare cose belle nel loro nome, volendo.

K: Non posso che concordare e il gioco rende bene questo concetto del dire addio al passato o comunque alle persone care per poi poter andare avanti, verso il proprio futuro come fa Lana, la protagonista.
Abbiamo parlato di traumi e del ritornare all’infanzia, di risvegliare il bambino interiore. Recensendo Bye Sweet Carole l’ho definito un horror che risveglia un po’ quei traumi dell’infanzia, quelle paure che magari ci hanno trasmesso certi cartoni animati degli anni ‘80-’90. Da dove nasce questo desiderio di risvegliare certe paure?

C: La paura è il sentimento della formazione. Cosa attiva l’ansia da prestazione è il fatto di doversi concentrare e impegnare più del dovuto pur di raggiungere un obiettivo. La paura è un’emozione accessoria, in ogni singolo aspetto. Ho paura prima di un esame oppure mi piace quella ragazza, vado a lottare per quella ragazza, ci provo, mi lancio nonostante la paura di fallire, ma si può anche fallire. Quella paura, comunque, ha permesso di conoscerti meglio, di sapere come approcciarti magari la prossima volta.
Secondo me il genere horror, diciamo quello canonico, è quello che veramente nei videogiochi ha permesso anche l’evoluzione del settore. A partire da com’è cambiato il game design, com’è cambiata la caratterizzazione dei personaggi, anche la crossmedialità col cinema.

Se io penso ogni volta a produzioni, quelle un po’ più blasonate, quelle un po’ più importanti, quelle che poi hanno fatto la differenza, prevalentemente sono giochi horror. Basti pensare che ormai tutti i giochi action con una visuale in seconda persona sono di moda, non c’è più un gioco action con una visione in seconda persona, quello nasce da Resident Evil 4. O la questione della psicologia, in un horror come Silent Hill e Silent Hill 2, o la struttura della trama come elemento cardine ma anche elemento portante di un’opera, basti pensare a Rule of Rose, ma tanti altri titoli, lo stesso Silent Hill 2, dove la narrazione è veramente il fulcro di un’opera videoludica.

Chris Darril

Pagina dell’artbook dedicata all’inquietante Mr. Kyn, fonte di incubi e distruzione.

K: Io lo ammetto, non sono una grande amante dei giochi horror o dei film horror, quindi per me è stata una bella sfida iniziare a giocare Bye Sweet Carole e affrontare la paura, un’ansietta che pian piano inizi ad apprezzare e diventa compagna di viaggio.

C: L’hanno chiamato più un “cutie horror”, nel senso che sì, hai momenti in cui fa un po’ paura, fa sobbalzare, mette un po’ d’ansia, però poi fortunatamente l’aspetto grafico più gradevole, ti dice “vai tranquillo, non avere paura”.
Ti dico che ci sono stati anche scontri, non negativi ma comunque scontri, durante il brainstorming, anche col publisher. Si discuteva sul rendere un po’ più esplicita la componente grottesca del gioco, ma anche la gore. Io mi sono sempre opposto: per carità loro hanno capito benissimo, hanno creduto veramente in me e nel progetto sin dal principio.
Io non volevo uscire fuori dai binari. Secondo me l’eleganza dell’animazione tradizionale andava rispettata anche nella sua natura. L’horror era già preesistente secondo me nei film d’animazione, che a loro volta hanno dovuto fare un procedimento artistico e creativo nel portare sul grande schermo delle favole che comunque erano veramente crude, veramente toste.
Sequenza un po’ più creepy, come Malefica che spunta nel caminetto per incantare Aurora ne La Bella Addormentata o la regina Grimilde che prende la pozione e minaccia di uccidere Biancaneve, oppure L’ala Ovest ne La Bella e la Bestia, che ritengo il miglior film di animazione mai creato, e quindi diciamo che io ho voluto adottare la stessa filosofia.

Idem per la questione della violenza, è come se avessi voluto creare una storia che poteva essere presa come una favola a sé perché, se togliamo tutta la questione delle suffragette, dell’emancipazione femminile, il giallo da risolvere e qualche elemento creepy, in realtà, a tutti gli effetti potrebbe passare per una favola.
Con l’elemento portante della favola ho voluto trattare tematiche attuali. A partire dal fiocco per i capelli di Lana. Questo non è stato molto afferrato come concetto, ma il fiocco che lega i capelli di Lana e viene tolto dalla protagonista durante la trasformazione è un riferimento alla forma di ribellione delle donne iraniane che lasciano i capelli sciolti per protestare contro il regime che impone loro il velo e altre forme di oppressione. Ho messo il fiocco in parallelo come simbolo.

O la questione stessa dei conigli, i conigli non sono solo simbolo della codardia, della paura di ribellarsi o della preda. I conigli rappresentano il modo in cui le donne venivano viste e tutt’ora vengono percepite: fattrici destinate solo a fare figli, figli e figli. Ed è brutto da dire, ma purtroppo fa parte della nostra storia, che lo si voglia o meno, abbiamo fatto schifo tutti, tutti indistintamente. E il coniglio a tutti gli effetti è quella rappresentazione del figliare costantemente.

Con la presenza dell’automa, che è fuori contesto e fuori epoca, ho voluto rendere un parallelismo di come la società andasse di fretta e furia con ottenimenti di un certo livello da un punto di vista industriale e tecnologico, ma ancora arrancasse per i diritti umani. E questo è tuttora così, perché tutti hanno l’iPhone, però poi molti non hanno neanche una professione stabile, le coppie dello stesso sesso vengono additate e insultate, oppure le donne che tuttora subiscono cat calling.
Ma parlare ancora nel 2025 di diritti delle donne, dei diritti delle minoranze è ridicolo. Bisognerebbe dare diritti a essere umani in quanto esseri umani, quindi col diritto che deve essere innato a prescindere.

Da questo momento in poi io e Chris abbiamo iniziato un lungo discorso su diritti e femminismo, soffermandoci anche sul rischio di essere accusati di aver realizzato un gioco woke.[N.d.A.]

C: Qualcuno mi ha criticato dicendo: “Perché un uomo grande e grosso dovrebbe fare una storia sull’emancipazione femminile dove il cast è prevalentemente di donne?”  Non ha senso come critica, nel senso che, per carità, sicuramente non avrò gli stessi strumenti per riuscire a immedesimarmi in un personaggio che chiaramente non sono io, per date caratteristiche. Però credo che sia giusto dare l’assoluto supporto anche se non si fa parte direttamente di certe comunità o minoranze e dare almeno la possibilità di un maggiore spazio e di rappresentazione al genere femminile e altre categorie che subiscono più discriminazioni.

K: Guarda, mi trovi assolutamente d’accordo. Di solito c’è questa tendenza a pensare in negativo i personaggi femminili scritti da uomini anche perché spesso lo fanno attraverso stereotipi e per questo ricevono critiche. Io personalmente, prima di recensire un gioco, preferisco non avere troppe informazioni, quindi non sapevo nulla di te e su chi avesse realizzato Bye Sweet Carole, quindi l’ho giocato senza sapere che l’avesse scritto un uomo. E in tutta onestà non ho percepito la componente delle sufragette e dell’emancipazione femminile come una forma di femminismo performativo per cercare di passare per attenti al problema e fare bella figura. L’ho percepito più come un elemento in linea con il periodo storico che fa da cornice e motiva maggiormente le azioni di Lana e Carole.

C: Sono consapevole del fatto che, se non avessimo trattato la questione dell’emancipazione, la storia poteva andare serena comunque. Nel senso che poi a tutti gli effetti era la storia di questa ragazzina che viveva per la seconda volta la situazione dell’abbandono e questa volta ancora più risonante perché aveva una responsabilità diretta nella sparizione della sua amica.
La storia poteva andare comunque. Io ho preteso di inserire questo argomento non solo per quanto ho detto prima, ma perché mia madre teneva molto all’argomento delle suffragette. Ricordo quando mi raccontò da bambino la questione delle suffragette, quando vidi Mary Poppins e non capivo la madre dei due bambini che cosa facesse con quel nastro che pensavo fosse una cosa di Miss Italia. Lei aveva la capacità di spiegare con parole adeguate a un bambino. È una tematica che mi è rimasta molto impressa e, anche riguardando Mary Poppins, l’ho visto totalmente da tutt’altra prospettiva, sapendo cosa la madre rappresentava.

C’è molto di Mary Poppins, se vogliamo, anche in Bye Sweet Carole, ma ripeto, io ho voluto fare un omaggio in generale a quello che per me sono stati gli anni ’80 e gli anni ’90. C’è tanto di Labyrinth, La Storia Infinita e, anche se visto da grandicello, ovviamente anche il Labirinto del Fauno.

Ho detto: voglio fare questa storia, sono consapevole che se tratterò questa tematica ci additeranno come woke. Sì, sono sicuro che le recensioni verranno seccate almeno di un 20-30%, e così è stato, ma non me ne frega niente.
Io penso che se non abbiamo noi la libertà come indipendenti di scrivere e di raccontare la storia come vogliamo, chi lo deve fare più?
Io non ho mai voluto dirigere un videogioco per attirare pubblico. È triste da dire, ma la formula per il gioco che spacchi c’è, si sa. Basta mettere orde di zombie, i fucili, personaggi come Duke Nukem.
Fondamentalmente, il gioco che ha la formula perfetta per la killer application o il best selling game ce l’abbiamo, ma non mi interessa. Io ho sempre preferito puntare a una nicchia di pubblico che poi può essere rimasta contenta o delusa.

Volendo, il gioco è molto polarizzante anche per sua natura, perché è un gioco che è anche difficile da schematizzare; anche col publisher ho avuto difficoltà nel decidere quale genere di riferimento per recensirlo, se dirlo come un adventure game, un punta e clicca, o solo horror, anche là abbiamo avuto delle difficoltà.
A me piace fare in questo modo. Non è detto che incontri i gusti di tutti, ma ripeto, credo che almeno la libertà autoriale debba essere rispettata.
Fortunatamente dal lato prettamente imprenditoriale è andato molto meglio delle aspettative e delle previsioni del publisher.
Quindi vuol dire che abbiamo incontrato anche un pubblico più vasto. Ma, soprattutto, la cosa che non mi aspettavo è che il gioco diventasse addirittura trend su X e siamo più che felici di aver fatto quello che abbiamo fatto e di essere rimasti fino alla fine integri e fedeli a noi stessi e all’idea del progetto che volevamo lanciare dal principio. Poteva venire meglio, certo, ma poteva anche uscire peggio.

Chris Darril

Parlando di Cancel Culture, Chris mi ha rivelato che in origine aveva pensato al personaggio di una cameriera nera, Erietta, per aiutare Lana e le altre ragazze.

K: Ok. Allora adesso ti volevo chiedere qualcosa riguardo alla tua carriera, perché comunque magari tra i nostri lettori c’è chi sta ancora decidendo che studi intraprendere o comunque magari è appassionato di videogiochi e vorrebbe intraprendere questa carriera. Qualche consiglio e puoi dirci anche come è stato il tuo percorso per arrivare a realizzare prima Remothered e poi Bye Sweet Carole?

C: Allora, partendo dal consiglio, sicuramente è quello di restare sempre fedeli a se stessi, sempre e comunque. Se io credo di avere a cuore una storia, una tematica, un soggetto, devo portarlo avanti: è lì che probabilmente eccellerò maggiormente rispetto a fare qualcosa che attira il pubblico perché gli piace. Secondo me quest’ultimo è il metodo più errato, perché credo che gli autori più grandi dei videogiochi hanno fatto la storia rimanendo fedeli alle loro idee pur ispirandosi alle cose che amano. Per esempio Kojima: il fatto che non puoi paragonarlo a nessun altro è perché ha deciso di fare qualcosa che all’epoca andava fuori dagli schemi, pur omaggiando sci-fi e action degli anni ‘80 come Commando e 1997: Fuga da New York, da cui ha preso il personaggio di Jena (Kurt Russell) per ispirarsi nel creare Solid Snake. Che cosa vuol dire questo? Rendi tuo ciò che ti piace, fai parlare la tua ispirazione piuttosto che il guadagno facile, poiché il pubblico apprezza davvero un gioco quando ci vede il cuore dietro. Quindi questo è il consiglio che do: restare assolutamente fedeli a se stessi, giocare sempre d’intelligenza e integrità, e fare le cose come piace farle. È normale all’inizio, ai primi tempi, accettare di lavorare per altri progetti perché non si può partire in quinta e pensare già di dirigere una produzione hollywoodiana.

Per quanto riguarda invece il mio percorso, è un po’ particolare, nel senso che io potevo fare tutt’altro. Il mio sogno quando stavo alle superiori era quello di fare il chirurgo plastico, quindi tutt’altro ambiente. Mi piaceva l’idea di specializzarmi nella ricostruzione del volto per pazienti che avessero malformazioni congenite, tipo il labbro leporino. Poi il destino ha voluto che finisse una relazione con una ragazza che si è poi iscritta a Medicina e quindi ho cambiato strada. Non so esattamente come ho iniziato… mi piaceva già molto disegnare, quindi ho iniziato a illustrare per qualche piccola realtà come il supermercato sotto casa volantini e manifesti. In parallelo iniziava il prototipo di Remothered, quindi la mia prima idea di gioco realizzato e diretto da me, come sviluppatore da casa.
Inizio a far parlare di me e mi contattano due aziende in parallelo. La prima era la canadese Psychose Interactive e la seconda era la Nude Maker, per il progetto di NightCry. Nel giro di due mesi vengo promosso dall’azienda canadese come direttore artistico, quindi lì ho visto letteralmente la differenza, non perché ho sbloccato un guadagno maggiore, ma perché ho appreso che veramente c’è una forma di meritocrazia. Io ho fatto un passo avanti perché avevo dimostrato che al di là delle mie capacità nel disegno per fare concept art avevo un’ambizione, avevo altre capacità che potevano essere impiegate in altro, come in questo caso la direzione artistica di Forgotten Memories e in parallelo come head maker mi hanno affiancato a Masahiro Ito e Kiyoshi Shirai (Kiyoshi Shirai e un illustratore di diversi Final Fantasy e Masahiro Ito e l’art director di Silent Hill 2 e Silent Hill 3). Potermi permettere di dire che a ventiquattro anni ero un direttore artistico assieme a due pilastri del genere è stata una cosa che sicuramente mi ha permesso la svolta.

K: Ti sei sentito finalmente davvero valorizzato. Passiamo alla domanda successiva. Bye Sweet Carole è per me la dimostrazione che in Italia è possibile realizzare giochi di qualità. Mi piacerebbe sapere la tua opinione riguardo alla situazione attuale del settore videoludico in Italia, pensi si possa fare qualcosa per valorizzarlo di più?

C: Purtroppo il problema dell’Italia è anche quello. Per farti capire: è uscito Bye Sweet Carole, non abbiamo scoperto l’acqua calda, ne siamo consapevoli e nessuna rivista generalista ne ha parlato. Ma è una produzione che comunque si distingue in Italia e direi anche in diversi Paesi per diverse motivazioni, non solo la questione dell’animazione tradizionale ma anche il fatto che si tratta di una produzione italiana con un budget veramente striminzito, dove oltretutto il team è formato per oltre il 70% da donne. La cosa comica è che però siamo finiti sul New York Times o su Forbes. Cioè, in Italia si è ignorato il discorso che ci possa essere una produzione videoludica di questo tipo, mentre sono subito pronti a fare servizi in cui si dice che i videogiochi sono diseducativi, fanno male ai bambini ecc.

Poi, ti dico, ci sono realtà che fortunatamente stanno un po’ ammortizzando la situazione in Italia. Mi viene da pensare a IIDEA, che comunque sta facendo tanto e fa quello che può. A noi ha permesso, anche insieme al MIC, il Ministero della Cultura, di avere l’attivazione del 25% sul tax credit. Siamo stati riconosciuti da loro come opera di interesse artistico e culturale. Quindi qualcuno, purtroppo anche se nell’ombra, si muove. Ma rimane nell’ombra perché viene messo nell’ombra…

Al tempo stesso, tante persone mi hanno scritto disgustate dall’assenza totale di Bye Sweet Carole alle nomination all’evento dei The Game Awards, che almeno meritava, secondo molti, la nomination come miglior direzione artistica. Ma anche solo per il lavoro che è stato fatto. Tutti pensano a Cuphead, ma il lavoro che abbiamo fatto noi, con tutto il rispetto per Cuphead, risulta tipo tre volte tanto.

Per cui ho pubblicato quel post riguardo ai TGA perché per la decima edizione consecutiva dei The Game Awards ancora una volta non c’è un solo titolo italiano. Molti dicono che c’è stato Mario + Rabbids, lo sappiamo, ma sappiamo anche che è una produzione francese che si è avvalsa dell’outsourcing di Ubisoft Milano, basato su un IP giapponese per metà francese, perché sono appunto Super Mario e Rayman.
Quindi chiaramente è opinabile come l’unico titolo italiano che sia mai finito in una delle cinquine dei The Games Awards. Chiaramente sono deluso che in un anno come questo, in cui sono uscite produzioni del calibro di The Lonesome Guild o Simon the Sorcerer Origins, neanche uno, anche noi nel nostro piccolo, sia riuscito a entrare in una delle cinquine, sebbene abbiamo veramente dimostrato che in Italia non per forza si deve fare produzioni che fanno il verso a oltreoceano.
E purtroppo, ancora una volta, a determinare la situazione dei videogiochi in Italia, in primis è il pubblico della stampa stessa. Molti della stampa italiana fanno parte della giuria dei Game Awards, loro stessi fanno il cosiddetto ballot, in cui inseriscono i titoli candidabili per categorie X piuttosto che Y.

Chris Darril

K: Tra pochissimo ti lascio andare, ti chiedo giusto un’ultima domanda. Con Bye Sweet Carole mi hai fatto ritornare indietro nel tempo e hai risvegliato la paura che provavo da bambina guardando Biancaneve perduta nel bosco o Brisby e il segreto di NIHM. Qual è il cartone della tua infanzia che ti ha terrorizzato così tanto da in qualche modo condizionarti anche nella realizzazione del gioco?

C: Ti dirò, mmm, forse già quando guardavo allora i film d’animazione avevo quell’accezione dell’ansia e della paura come qualcosa di affrontato, vivendola con quell’inquietudine impastata alla curiosità, quindi non ricordo di aver avuto particolare paura per qualche scena in particolare di Biancaneve o di altri vecchi classici. Forse quella che mi ha inquietato di più è stata Lady Tramaine, quando chiude in camera Cenerentola e le si evidenziano gli occhi carichi di odio. Mi ha veramente inquietato in quanto era una persona normale, una figura che doveva essere materna anche per la protagonista che si rivela spietata per il bene delle sue figlie; tra i vari cattivi Disney e l’unica che, volendo, ha una motivazione comprensibile, in quanto quasi tutti i genitori darebbero un braccio per garantire la felicità ai propri figli.

Con Chris abbiamo poi continuato la chiacchierata parlando di altri traumi infantili provenienti da altri cartoni come Gli Animali di Bosco Piccolo e di come oggi i cartoni affrontino meno certe tematiche più crude e violente, chiedendoci se effettivamente sia un bene cancellare il brutto e il male del mondo, o addirittura gli eventi storici considerati scomodi. [N.d.A.]

Lascio la riflessione a te, caro lettore (se vuoi anche la parola sui social o sul nostro Discord) e ti ringrazio per aver letto sino alla fine. Ringrazio ancora Chris Darril per la sua disponibilità e la bella chiacchierata.

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