Recensione
Esistono giochi, nella storia dell’universo videoludico, che hanno lasciato un solco, un segno profondo nell’immaginario collettivo, che hanno talmente permeato i bordi della dimensione gioco da superarne i confini. E non parlo semplicemente di crossmedialità, con titoli che sono diventati gioco da tavolo, film, fumetti o serie TV (a volte più cose insieme), ma che sono arrivati anche a chi non ne ha conoscenza diretta, anche ai non gamer, anche a chi non ne ha mai goduto a fondo.
Tra questi posso citare sicuramente la saga di Resident Evil, di Call of Duty, e, naturalmente, quella di Silent Hill. E, pur essendo un gamer di vecchissima data, così come non avevo mai approcciato i RE prima delle loro remaster, non ho nemmeno mai giocato a nessun titolo Silent Hill. Eppure anche io sono a conoscenza di elementi iconici come Piramid Head (una sua versione femminile l’ho anche incontrata in fiera, una volta), la nebbia impermeabile, le infermiere demoniache.
Bene, eccoci giunti al punto. Se volete un paragone su quanto fatto in passato e quanto migrato al presente, la Rete è piena di ottimi articoli di gamer che hanno amato la sega vent’anni e fa e sono pronti a raccontarvi quanto questo remake onori l’originale senza snaturarlo ma modernizzandolo e migrandolo al nuovo secolo, per venire incontro al gusto moderno.
Io, invece, sto per offrirvi il punto di vista di un vecchio neofita: un gamer che ha quasi dovuto raggiungere il mezzo secolo per confrontarsi in prima persona con l’orrore di Silent Hill 2, per scoprire cosa si prova sulla pelle ad affrontare gli orrori che si celano in quella maledetta nebbia.
Ringrazio Konami per la copia.
Trama
Sono passati tre anni dalla morte dell’amata Mary quando, sorprendentemente, James Sunderland riceve una lettera dalla defunta moglie che lo invita a raggiungerla nel loro “posto speciale”, quella Silent Hill che si dimostrerà essere davvero molto diversa da come la ricordava.
La città è avvolta in una nebbia che non lascia campo a speculazioni: qualcosa di orribile è accaduto ma non sappiamo e non vediamo di cosa si tratti. Nel nostro percorso, nella città ormai morta, creature non umane affollano ogni anfratto, rendendoci l’incedere quanto mai pericoloso ad ogni passo.
Esplorando i meandri della città, James cercherà di fare luce sul mistero della moglie e della città, ricomponendo un delicato puzzle andato in mille pezzi, recuperando flebili indizi che, passo dopo passo, ci aiuteranno a comprendere quanto profonda sia la tana del bianconiglio.
E di come, dopotutto, non sia affatto bianco.
Gameplay
Silent Hill 2 presenta un approccio che è diventato un must per i giochi di questo genere, con visione in terza persona sopra la spalla del protagonista, meno immersivo di una visione prima persona, naturalmente, ma decisamente più pratico per l’esplorazione di ambienti 3D ricchi di pertugi, anfratti, corridoi e stanze da esplorare. Lo abbiamo già visto nei remake dei Resident Evil: funziona e sacrifica un pelo di sospensione dell’incredulità in favore di una maggiore giocabilità.
Venendo al dettaglio: il nostro protagonista si muove incerto in un ambiente misterioso, in cui ogni passo mosso, ogni angolo svoltato, potrebbe essere l’ultimo, perché ci getta tra le braccia di qualcosa di letale perennemente in agguato.
Ho affrontato la prima run a difficoltà normale, cercando di esplorare quanto più possibile ogni angolo, ogni misterioso recesso della mappa. Il primo impatto è stato abbastanza negativo: decine e decine di ostacoli ambientali messi lì, come si faceva negli anni ’90, per far capire al giocatore cosa è possibile o non possibile esplorare. Con il gusto moderno diventa abbastanza fastidioso vedere case con vetrate sfondabili in cui però non possiamo entrare.
Procedendo (di poco) nell’esplorazione, risulta invece chiaro che la prima impressione è stata fuorviante: certo non siamo ai livelli di esplorazione maniacale di The Last of Us 2, che a volte risultava quasi eccessiva, ma sicuramente si aprono nuove possibilità che inizialmente sembravano recluse.
Venendo agli enigmi: questi sono calibrati, e calibrabili, dalle impostazioni di gioco. Nella versione “normale” li ho trovati piuttosto lineari e abbordabili. Per fare un esempio, il primo, l’enigma del juke box, l’ho trovato abbastanza telefonato: anche senza spoilerare troppo, risulta chiarissimo che occorre sbloccare il meccanismo e come, e una volta trovato un LP rotto, vien da sé quale sia il prossimo passo.
Intendiamoci: non l’ho trovata una cattiva idea. Lo scopo del gioco non è metterci davanti ad un puzzle game, ma offrire uno spunto all’esplorazione e al confronto con un mondo di gioco molto pericoloso e punitivo, se si procede a casaccio e senza il dovuto criterio. Alternativamente anche gli scontri si fanno sufficientemente abbordabili e non eccessivamente punitivi, una volta imparata ad usare a dovere la schivata e a risparmiare risorse. Risorse di cui, oltretutto, non risulta particolarmente avaro.
Il punto, qui, è dare vita ad un’esperienza da horror psicologico, dove il mantra meno è meglio risulta quanto mai appropriato.
Comparto tecnico
Ho già avuto in passato modo di apprezzare il lavoro di Bloober Team, sia grazie al celebre Layers of Fear (meno il secondo) che grazie a Medium, che ho particolarmente apprezzato. Tuttavia si tratta di un piccolo studio e non fatico a capire come i fan di lunga data della serie abbiano espresso più di qualche timore sulla scelta di Konami.
Occorre dire, invece, che il lavoro svolto risulta incredibilmente ispirato, vuoi per l’esperienza maturata vuoi per il grande amore mai celato da parte del team per l’opera originale di Konami. Il compito era arduo ed è quello che abbiamo discusso in tutti gli altri casi analoghi: rispettare la tradizione, traghettare nel presente. Abbiamo visto che in Residen Evil 2 fu fatto un capolavoro totale, diventando una pietra di paragone per questo tipo di operazione.
Qui non siamo a quel livello, mi dicono, ma ci avviciniamo molto.
Personalmente, non potendo fare un confronto, mi limito a definire un piccola serie di difetti e i molti pregi dell’opera.
Partendo dai difetti, ho notato un po’ di legnosità nei comandi, soprattutto nelle azioni di combattimento. Non sempre la schivata ha reagito come atteso, così come l’attacco in corpo a corpo mi ha dato più filo da torcere di quanto atteso.
Le espressioni facciali del protagonista, poi, mi sono sembrate talvolta un po’ grezze, come se fosse mancato un po’ di labor limae. Niente di eccessivo, naturalmente, e nell’economia complessiva si perdona senza grossi problemi.
Ho invece apprezzato la resa grafica: l’ambiente soprannaturale di Silent Hill è reso con dolorosa efficacia. Il punto di forza, però, il vero capolavoro di questa produzione, è il sound design: ogni passo è una sofferenza infinita, declama un’angosciante discesa verso un abisso di follia in cui non riusciamo a compiere nemmeno il più piccolo movimento senza temere di essere aggrediti. Tanto la musica, perfetta, quanto i suoni ambientali (e guai a voi se lo giocate senza cuffie 3D) sono stati disegnati con perizia per tenere costantemente i nostri nervi a fior di pelle.
Non nascondo che ho vissuto ogni singolo minuto della mia esperienza a cavallo tra la voglia di mollare tutto e il bisogno disperato e inconscio di scrutare oltre il velo.
Insomma: il sound design di Silent Hill 2 andrebbe studiato anche alle scuole di cinema.
@nerdandocom Silent HIll 2 è uno di quei giochi per cui acquistai PlayStation 2. Lo sto giocando con parecchio gusto e il buon @zeno2kappa ha scritto la recensione che potete leggere sul nostro sito. Le atmosfere di questo nuovo titolo sono fedelissime all’originale e già fin delle prime ore si respira del sano horror. Lo avete provato? Lo giocherete? -Tencar-@Tencar #konami #silenthill #silenthill2 #horror #videogames #nerdando ♬ suono originale – Nerdando
Conclusioni
Silent Hill 2 è stata un’esperienza difficile da descrivere a parole (nonostante la prolissità di questo articolo) che molto si discosta da Resident Evil 2, ma che occorre citare per un paragone completo. Se RE2 è un survival horror, in cui litigare con ogni singola pallottola o erba curativa, in SI2 siamo invece costantemente in balia di una psiche compromessa. Negli horror psicologici il non detto e non mostrato ha maggior forza, maggior capacità evocativa. Grazie ad un sound design sontuoso, siamo davanti alla summa delle nostre paure più profonde. Anche i bambini sanno che una cosa solo sospettata, attesa, in agguato, ma NON mostrata, ha una forza travolgente che nessun mostro ben illuminato potrà mai avere.
Se dovessi stilare una classifica dei miei horror preferiti, scegliendone uno per categoria, non posso che ammettere che i remake la fanno da padrona.
Il già più volte citato Resident Evil 2 è il capolavoro survival horror. Dead Space è l’orrore fantascientifico per eccellenza. Silent Hill 2 è l’horror psicologico da manuale.
(Se invece volete una vita di mezzo, vi suggerisco i pregevoli, anche se non perfetti, The Evil Within di Bethesda).
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Nerdando in breve
Silent Hill 2: un remake (quasi) perfetto per un horror psicologico da manuale.
Trailer
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