I miei ricordi
Non so voi, ma io Bongo e i tre avventurieri non solo non lo ricordo, ma non mi pare proprio di averlo mai sentito nominare, prima di decidere a tavolino chi si sarebbe occupato di raccontarlo. Sono quindi passata da Disney+ e ho provveduto a colmare la lacuna, scoprendo, tanto per cominciare, che all’apparenza la storia sembra uno spin off di Pinocchio (ma non temete, stavolta il burattino non c’entra).
Di grilli parlanti e orsacchiotti circensi
Bongo e i tre avventurieri si apre con il Grillo Parlante, la coscienza di Pinocchio, che trascorre un po’ di tempo in compagnia di Figaro e Cleo (il micio e il pesciolino del burattino diventato bimbo vero). Nel suo girovagare, il Grillo incontra una bambola e un orsacchiotto e decide di rallegrarli mettendo un po’ di musica. Da notare che la pellicola è del 1947: il mettere la musica consiste nel far rotolare un vinile sul giradischi. Con il vetusto strumento, il Grillo riproduce A Musical Story song by Dinah Shore, ossia, la storia musicale di Bongo.
Nella versione originale, la narrazione viene cantata da Dinah Shore, ma per amore di quello che avrei fatto da bambina ho scelto di guardare il cartone in italiano, in cui Shore canta solo le canzoni, venendo sostituita nel racconto da Gemma Griarotti. In uno stile davvero molto simile a quello di Fantasia, ci viene proposta la storia di un orsacchiotto giocoliere che pedalando sul suo monociclo si ritrova in un bosco (molto simile a quello di Bambi). Lì incontra molti altri orsi e un’orsacchiotta, di cui si innamora e per la cui zampa si batte. Pochissime parole, tanta musica: un classico tradizionalissimo che probabilmente potrebbe essere apprezzato anche da chi mastica poco l’italiano. A sorpresa e completamente fuori contesto, fanno cameo Cip e Ciop.
E d’improvviso, Topolino, Paperino, Pippo e Stanlio e Ollio
Il disco di Dinah Shore finisce, la bambola e l’orsacchiotto di peluche hanno fatto amicizia e il Grillo toglie il disturbo, incappando nell’invito per una festa. Si dirige alla casa in cui si sarebbe svolta, ma arrivato sul posto si ferma in giardino, osservandone lo svolgimento dalla finestra. Una bimba vestita di rosa (Luana Pattern, che interpreta sé stessa) sta ascoltando un ventriloquo (Edgar Bergen, anche lui nei suoi stessi panni) coinvolto nel proprio spettacolo. A farle compagnia, due pupazzi da ventriloquo: Charlie McCarthy e Mortimer Snerd. Dopo una breve cornice di contorno, Bergen inizia a raccontare al trio la storia di Jack e il fagiolo magico, che Luana provvede a immaginare facendo interpretare i ruoli principali a Topolino e i suoi amici.
Dopo una grave siccità, Valle Felice è a secco e i contadini che la abitano stanno patendo la fame. Mentre uno di loro (Paperino) decide di uccidere l’unica mucca per mangiarla, un altro membro del trio (Topolino) la scambia per tre fagioli magici. Il resto della storia è un grande classico, prevede un gigante, un’arpa d’oro, una pianta di fagioli e un po’ d’astuzia per uscire vivi dall’impaccio.
E cosa c’entrano Stanlio e Ollio? Ollio, in realtà, nulla; Stanlio invece condivide il doppiatore italiano con il pupazzo Charlie McCarthy. Guardando Bongo e i tre avventurieri in italiano, infatti, riconoscerete il caratteristico “stupìdo” con cui Fiorenzo Fiorentini, artista poliedrico italiano, ha caratterizzato l’iconico Stan Laurel.
Un solo film, tanti stili d’animazione
Come vi dicevo, nella prima parte di Bongo e i tre avventurieri vediamo un lungometraggio animato prevalentemente musicale, il cui stile grafico ricorda molti cartoni animati dell’epoca. In particolare, alcuni personaggi ne richiamano altri di pellicole ben più note di questa, fra cui gli orsi, che per molti tratti e movenze ricordano Baloo (quello del Libro della Giungla, film che però sarebbe uscito solo vent’anni dopo).
La seconda parte invece mischia sequenze live-action all’animazione tradizionale, in quanto sia Luana, sia Edgar, sia i due pupazzi, vengono mostrati in carne e ossa (o legname e stoffa, dipende se considerate gli attori o i fantocci da ventriloquo). Anche in questa seconda parte sono presenti canzoni e personaggi che troveremo in produzioni future (il gigante sono sicura di averlo già visto ma non riesco a mettere a fuoco dove), ma in modo molto meno ingombrante e fastidioso che nella prima parte.
La peculiarità che estrania, a oggi, è però nelle voci di Topolino, Pippo e Paperino: benché l’iconico urlo del cane sia rimasto pressoché invariato, il timbro vocale di tutti i personaggi al momento del dialogo è completamente diverso da quello cui siamo abituati oggi.
Com’è invecchiato?
Bongo e i tre avventurieri, secondo me, è invecchiato meglio di altri film diventati anche più famosi. La sua sventura maggiore è l’anno d’uscita: la Seconda Guerra Mondiale ne ha impedito una distribuzione puntuale, obbligandolo a uscire (in Italia) solo dopo Pinocchio a Alice nel Paese delle Meraviglie. Probabilmente l’essere l’unione di due diversi cartoni animati, l’ha reso meno memorabile dei due lungometraggi usciti poco prima (anche perché per quanto apprezzabili le due brevi storie non reggono il paragone con quella di Collodi o Carroll).
C’è poi una parte nella storia di Bongo in cui ci viene raccontato che “quando gli orsi sono innamorati, se lo dicono a suon di schiaffoni”. Vediamo infatti l’orsacchiotta mollare due ceffoni al nostro protagonista, per poi mancare la mira con il terzo, innescando un malinteso. Bongo dovrà quindi renderle pan per focaccia, per dimostrarle interesse. Non so come verrebbe percepita oggi una scena del genere, ma va detto che oggi, probabilmente, una scena del genere non verrebbe nemmeno pensata, evitando il problema alla radice.
Comunque è carino: decisamente non il mio genere ma non mi sento di bocciarlo in toto, diciamo che ha un suo perché. Se vi piacciono i film musicali, ve lo consiglio, ma vi suggerisco di guardarlo anche se siete amanti di Tom e Jerry: lo stile d’animazione è praticamente quello.
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