Questo è il secondo di una coppia di articoli scritti per sfruttare celebrare l’uscita dell’atteso Dune di Denis Villeneuve il 16 settembre. Nello specifico, questo è per coloro che non hanno ancora letto il libro, l’altro per coloro che l’hanno fatto e coloro che non temono spoiler.
Dopo aver fatto salti mortali per parlare di Dune senza essenzialmente dire niente riguardante la trama nell’altro articolo, è ora un piacere e un sollievo potermi esprimere liberamente qui, davanti a voi popolo eletto di Coloro-Che-Hanno-Già-Letto.
Voi che mettete il pepe ovunque per vivere trecento anni e piegare lo spazio.
Voi che camminate sulla sabbia di metà luglio non con la paura di ustionarvi, ma con quella di richiamare Shai-Hulud.
Voi che guarderete il film di Villeneuve con lo sguardo sornione, anticipando le parole della Litania contro la Paura sfastidiando chiunque vi sieda vicino.
Paragoni
Sto scrivendo quest’articolo due giorni dopo aver finito Chapter House Dune, al termine di un periodo di un anno e pochi mesi in cui sono passato dal non sapere praticamente nulla all’aver letto i sei libri scritti da Herbert padre.
La lettura mi ha portato a fare una quantità infinita di riflessioni e paragoni, come immagino sia avvenuto a tutti e come suppongo sia normale data la mole di contenuti e la profondità degli stessi.
Tuttavia, ce n’era uno dal quale non riuscivo a scostarmi, ovvero quello con Il Signore degli Anelli.
Si tratta di un paragone immediato: da un lato abbiamo l’immensa epica che ha dato vita al fantasy moderno, dall’altro il romanzo psichedelico che ha aperto una nuova era per la fantascienza, quantomeno dal punto di vista commerciale.
Da questo punto di vista, le somiglianze erano abbastanza insindacabili. Eppure c’era qualcosa di più, un legame che non riuscivo a individuare ma che sentivo esistesse.
Per trovarlo, ho dovuto prima realizzare che ciò che sentivo non era con Il Signore degli Anelli, che alla fin fine ha poco a che fare con Dune dal punto di vista del romanzo in sé e per sé.
Piuttosto, questa connessione andava cercata in un’altra delle opere di Tolkien, quella che mi ha segnato letteralmente il corpo, I Figli di Húrin.
Paul, Túrin e i Vermi
Il primo, ovvio rimando e che mi ha aperto questa visione è stato quello del Grande Verme, Glaurung, nemesi di Turin attraverso il libro.
Tuttavia nome a parte, le somiglianze tra Glaurung e Shai-Hulud erano ben poche. O quantomeno, così pensavo fino a quando non ho letto God-Emperor.
Ciò che questa idea iniziale comportava era che mi ha portato a pensare ai due protagonisti di Dune e della Narn i Chin Húrin e a come le loro vicende si rispecchiassero e parlassero del più affascinante dei temi della Storia, quello delle profezie.
Le somiglianze tra Paul e Túrin sono varie. Entrambi sono eredi di una casata che sta perdendo tutto ciò che possiede, figli di un padre condannato già dalle prime pagine dei rispettivi libri.
Tanto Muad’Dib quanto Turambar adottano svariati nomi e identità differenti, rispecchiando non solo la propria evoluzione, ma anche le relazioni che intraprendono e il rapporto con il proprio destino.
Destino Inesorabile
Com’è ovvio, uno dei temi principali di Dune è quello della prescienza e, com’è trattato soprattutto in Messiah, Children e God-Emperor, di come conoscere il futuro, il sogno dell’umanità dai tempi dei sacrifici agli dei all’era della statistica, possa rappresentare un’eterna sciagura, confinando l’uomo in un mondo in cui ogni decisione porterà all’ineluttabile conclusione.
Paul in Dune sogna terrorizzato la Jihad e più sviluppa i propri poteri, più si rende conto che, qualunque cosa faccia, la grande guerra santa non potrà essere evitata. In Messiah, la storia si ripete, con la caduta della luna blu.
È anche implicato che Paul avesse visto il futuro lontano millenni che avrebbe portato l’umanità all’estinzione e che poteva essere evitato solo dal sacrificio ultimo di diventare il Tiranno che salvava la specie portandola sul Sentiero Dorato. Un sacrificio che Paul si sarebbe rifiutato di compiere, lasciando così l’onere al figlio Leto II.
Questi si renderà conto di come l’unica speranza è quella di distruggere la corda della prescienza un filo alla volta, facendo tutto il contrario di ciò che la visione iniziale gli indicava.
Questo processo si conclude metaforicamente e praticamente con la nascita di Siona, la persona invisibile all’occhio della prescienza, e alla morte del Tiranno.
Túrin dal canto suo non ha il potere di prevedere il futuro, ma, nonostante ciò, è incastrato in una sorte inevitabile tanto quanto Paul in Dune. Nel suo caso, la sorgente di tale trappola della prescienza è la Maledizione che Morgoth scaglia su Húrin e tutta la sua discendenza.
Per tutta la propria vita Túrin fa ciò che può per scappare dal proprio destino, fallendo ogni singola volta e portando distruzione e morte su chiunque abbia a cuore e ovunque si rechi.
Le sue vicende sono la migliore rappresentazione che io conosca della questione della causalità: è la maledizione che cambia il destino di Túrin a suo sfavore o è Túrin stesso che conoscendo la propria maledizione e provando a scapparne la rende reale?
Se Paul non avesse visto la Jihad avvenire nelle proprie visioni, questa sarebbe avvenuta lo stesso? E se non avesse visto la luna blu cadere, Chani sarebbe morta lo stesso, sola a Sietch Tabr?
Il Grande Verme
Ne I Figli di Húrin, Glaurung è la manifestazione della Maledizione di Morgoth che imperterrita distrugge, anche nella propria morte, i discendenti del più grande dei combattenti degli Uomini.
Alla sua nascita Leto II era una sorpresa che il padre non aveva previsto, una via d’uscita per Paul, che aveva rifiutato il Sentiero Dorato. In God-Emperor of Dune, il verme Leto II è egli stesso la manifestazione del sacrificio necessario per rompere la maledizione della prescienza dal quale il padre, Muad’Dib, non era saputo uscire fino alla sua nascita.
Quando decide di smettere di essere Verme per tornare Uomo, non può fare altro che accettare il proprio destino, che lo vedrà morire e sognare in eterno nei vermi di Dune.
Leto II ha vinto la lotta con la sorte fino a quando non ha deciso di perderla. Paul invece, come Túrin, non riesce a fermare la Jihad né a salvare Chani. Divenuto cieco può solo cercare di distruggere ciò che aveva creato, un relitto che soccombe al proprio fato. L’epitaffio della tomba di Túrin non sfigurerebbe su quella dell’Imperatore dell’Universo Conosciuto: conquistatore del destino, dal destino conquistato.
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