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Star Trek: Picard – Il Capitano è tornato

Star Trek Picard

Recensione

…anche se ora è un ammiraglio. A riposo.

Va bene, facciamo sul serio: può una vecchia (ottuagenaria) icona della nostra infanzia tornare a vestire panni dismessi da vent’anni ed essere ancora credibile?

Allora mettiamolo subito in chiaro, perché gli hater hanno già iniziato a blaterale idiozie del calibro “è peggio di Discovery” e “hanno finito di rovinare Star Trek” (devono essere gli stessi imbecilli che ancora sbraitano per il Dottore donna), il passato è passato e non ritorna. TNG, la serie principe, è finita molti anni fa, e non tornerà mai più.
Se siete in grado di accettarlo: bene, altrimenti NON guardate Star Trek: Picard (né Discovery). Sono passati davvero molti anni dalla morte di Roddenberry e la società, il mondo, è molto diverso da allora.

Star Trek: Picard è figlio del suo tempo, il nostro tempo. Ed esattamente come negli anni ’60 si viveva di paura, e Star Trek gettò un lampo di speranza nel futuro, la Federazione che scopriamo oggi è una proiezione delle paure dei nostri tempi, del declino della società che stiamo vivendo.
In questo, Star Trek: Picard, non è diverso dai suoi predecessori: legge il mondo e ammonisce, indica la via da prendere (o da evitare).

Ma veniamo a noi.
Pronti e via e parte la lacrimuccia con il Capitano e Data che si sfidano a poker nel bar di prora (di quale nave?). Il fanservice è servito, ma appare evidente che Brent Spiner, più che un mago degli effetti speciali, necessiti di un miracolo per tornare a vestire quei panni. Ma alla fine ci sta, quando qualcosa ha fatto così tanto parte di te, e per così tanto tempo, non puoi esimerti dal metterlo in campo.

Quello che segue è un episodio in cui vengono mostrati del vecchio Picard sia l’attuale condizione di ufficiale in pensione, che i motivi che gli hanno fatto abbandonare la Federazione.
È uno strappo doloroso, per Picard e per noi che guardiamo, ma in quello strappo c’è tutto lo Star Trek di cui siamo innamorati da sempre.
E no, cari hater, non è vero che la Federazione non lo avrebbe mai fatto: abbiamo già assistito in passato a decisioni discutibili (la Pegasus, il trattato coi Cardassiani), così come sono sempre esistiti ufficiali che sono venuti meno ai suoi principi.
Siamo umani, e anche se ci siamo evoluti restiamo imperfetti. È parte della nostra forza.

Patrick Stewart mostra i segni del tempo: nel volto, nel corpo. Ma non nello spirito, basta un attimo per scoprire che sotto quella maschera da vecchia tartaruga pulsa ancora la passione e l’energia del nostro Capitano, poesie ed Earl Grey compresi.

Le basi dell’arco narrativo sono tracciate e sono molto chiare, ora non resta che scoprire che direzione prenderà lo sviluppo: la mia grande paura, al momento, è che sia una serie eccessivamente incentrata sul personaggio (se l’è cercata, voluta, prodotta e in parte scritta…) e che questo possa far perdere lo spirito che accompagna da sempre Star Trek: l’equipaggio con le sue dinamiche e i continui confronti, l’esplorazione dell’ignoto, razze e società aliene…

Ma per ora voglio avere fiducia; io credo nel mio capitano. Il pilota ha messo molta carne al fuoco, e credetemi: ci sarà da divertirsi.

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