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Luther – Analisi della quinta stagione

Luther

Il ruvido, disperato, ispettore capo John Luther è tornato per la sua quinta volta.
Una stagione dura, difficile da digerire e con una trama che a mio avviso è risultata meno brillante che in passato.
Ma andiamo con ordine.

Creata da Neil Cross per BBC One, Luther segue le vicende dell’ispettore di polizia interpretato dall’eccezionale Idris Elba. Caratterizzato da una fotografia intensa e da una colonna sonora convincente, Luther si distingue per la sua capacità di mostrare un volto di Londra sporco e malato.
Mettendo in scena crimini efferati, senza indugiare sui particolare più raccapriccianti, veniamo proiettati in una dimensione di passione e dolore, di regole e leggi violate in cui la giustizia classica, quella a cui siamo abituati dai crime americani, lascia il posto ad una più grezza e sporca.

Luther è uno con le mani macchiate da azioni che farebbero perdere il senno a chiunque: dilaniato tra senso del dovere e bisogno di ritrovare se stesso, lo vediamo agire con metodi poco ortodossi, mettendo in pericolo tutto e tutti, al fine di raggiungere il proprio scopo.
Ma una delle chiavi di lettura principali della serie è che questo “scopo” non viene mai chiarito o esplicitato. Da un lato c’è il serial killer di turno che Luther riuscirà ad incastrare grazie al suo intuito eccezionale; dall’altra, però, c’è la vita privata. Se quella professionale è chiara, quella intima è un disastro di emozioni contrastanti, di pensieri e azioni senza un apparente filo logico di cui noi siamo spettatori. Spesso senza riuscire a raccapezzarci.

La sua amicizia/passione per l’aberrante Alice Morgan (una splendida Ruth Wilson capace di terrorizzare chiunque con uno sguardo), lo porta a violare più leggi di quante non ne segue. E nessuno sembra riuscire a fermarlo, perché oltre ad essere un ottimo detective, è anche un abile manipolatore, che riesce a piegare tutto e tutti alla sua volontà.

Venendo a questa quinta stagione, troviamo i temi che hanno attraversato tutta la saga: dall’omicida fuori di testa al disastro personale di Luther. Due filoni paralleli che alla fine di questi quattro episodi non lasceranno scampo. Se mai ci sarà una sesta stagione, sarà sicuramente qualcosa di nuovo perché (senza spoilerare) è impossibile che tutto resti come prima.

Le dinamiche ci sono tutte, a non funzionare del tutto però è che si tratta di quattro episodi sullo stesso serial killer (normalmente la cosa si risolve con due) e sulle diatribe con il criminale George Cornelius. Davvero troppo: troppo tirato in lungo e risolto, ahimè, in modo davvero poco convincente. Nemmeno l’iniezione del volto nuovo Wunmi Mosaku (il sergente Catherine Halliday) riesce a spezzare un ritmo fatto di meccanismi ormai visti tante e tante volte.

La mia speranza per il futuro è che ci sia un bel colpo di spugna e si torni alla freschezza delle prime tre stagioni, altrimenti vorrà dire che Luther ha dato tutto che aveva.
Nonostante questa stanchezza nella trama, la quinta stagione resta comunque un ottimo prodotto che spezza i normali canoni e appassiona e coinvolge, lasciando gli spettatori un bel nodo allo stomaco.

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