Come ogni anno, approfitto dell’estate per recuperare prodotti televisivi che, durante l’inverno, non ho avuto il tempo di guardare. Spesso mi trovo di fronte a film e serie poco interessanti, perfetti per fare da “tappabuchi” ma, altre volte, scopro autentiche perle che meritano di essere riscoperte: è questo il caso di Manhunt: Unabomber.
Recensione
Per chi come me è cresciuto negli anni Novanta, il nome “Unabomber” non è certo nuovo: tra il 1994 e il 2006, infatti, in Veneto è stato attivo un criminale conosciuto con questo nome, che piazzava ordigni esplosivi negli oggetti più impensabili, agendo secondo una logica apparentemente casuale e, proprio per questo, seminando il panico nella popolazione. L’Unabomber italiano, ormai inattivo dal 2006, è rimasto ignoto e così anche le sue motivazioni non sono mai state scoperte.
L’appellativo usato per identificare questo criminale non è però un’invenzione italiana, ma è stato scelto per le similitudini del modus operandi del terrorista con un altro caso precedente, verificatosi negli Stati Uniti tra il 1978 e il 1995; in quell’occasione, però, il bombarolo è stato identificato ed arrestato: Theodore Kaczynski, genio matematico ed ex docente universitario, sta scontando l’ergastolo dopo essere stato scoperto e fermato grazie ad un innovativo metodo investigativo. Manhunt: Unabomber ci racconta proprio la storia di questa indagine.
La miniserie originale Netflix, lunga 8 episodi di circa 42 minuti ciascuno, è creata da Andrew Sodroski, Jim Clemente e Tony Gittelson e vanta un cast di primo piano ed un’accurata messa in scena.
Le puntate oscillano tra due piani temporali: il 1995, anno in cui il profiler dell’FBI Jim Fitzgerald viene coinvolto nella task force incaricata di scoprire chi sia l’imprendibile Unabomber, che agisce indisturbato dal 1978, e il 1997, quando Jim e il criminale da lui catturato si confrontano in vista del processo.
La serie scorre senza momenti morti, con un ritmo riflessivo che si concentra sull’approfondimento dei due antagonisti, opposti e allo stesso tempo in grado di comprendersi. C’è una logica dietro le azioni di Kaczynski, che lui ha ben chiara e che a noi viene mostrata nella sua interezza. Allo stesso tempo, Fitzgerald riesce pian piano ad entrare nella mente del criminale, a comprenderlo e conoscerlo: d’altra parte per prendere un terrorista così abile, è necessario riuscire a pensare come lui. La caccia all’uomo si trasforma, così, in un duetto di intelletti, che si scontrano e si incontrano.
La figura di Theodore Kaczynski e la caccia all’uomo, comunque, non sono l’unico punto focale della serie: il caso Unabomber è stato risolto grazie ad una nuova disciplina, la linguistica forense e, nel corso degli episodi, assistiamo alla nascita di questa branca dell’investigazione, tra i sorrisi dei detective vecchio stampo e i dubbi sulla sua reale efficacia.
Trama
Nel 1995 il neo profiler dell’FBI Jim Fitzgerald viene coinvolto nella task force che sta cercando il pericoloso criminale Unabomber. Gli agenti lavorano ininterrottamente dal 1978, anno in cui è avvenuto il primo attentato, ma senza successo: Unabomber sembra sempre essere un passo avanti a loro.
Fitz ha idee innovative e si rende conto che il profilo su cui si erano basate le indagini era sempre stato sbagliato: il loro criminale è estremamente intelligente ed istruito e non agisce assolutamente a caso, ma intende trasmettere un messaggio ben preciso.
Mentre Unabomber prosegue con i suoi attentati, Fitz deve scontrarsi con lo scetticismo dei suoi superiori e cercare di comprendere l’assassino che sta cercando: l’indagine lo assorbirà completamente e prendere il criminale costerà un prezzo molto alto.
Cast
Se ritmo, narrazione e fotografia sono stati tra gli elementi che ho maggiormente apprezzato durante la visione di Manhunt: Unabomber, gran parte della qualità della serie TV è dovuta al cast, in particolare nella recitazione di Paul Bettany.
L’attore inglese, che nel corso della sua carriera ci ha già abituati a interpretazioni di altissimo livello, in questa occasione giganteggia, oscurando tutti gli altri personaggi. Il suo Ted è un personaggio a tutto tondo, determinato e tenero allo stesso tempo nonostante sia un terrorista in grado di uccidere lucidamente le sue vittime; è un uomo solo, privo di relazioni e incredibilmente sofferente, convinto di portare avanti una battaglia per salvare l’umanità. Tutto questo, Bettany è in grado di mostrarlo anche solo con uno sguardo e rappresenta la punta di diamante della serie.
Nei panni del detective che lo insegue c’è Sam Worthingon, conosciuto principalmente per essere stato il protagonista di Avatar, che dà vita ad un personaggio solido e squadrato, ossessionato dalla sua missione. I due attori funzionano benissimo insieme e la sfida a distanza tra i due avvince per tutta la durata della serie.
In conclusione
Investigazione e thriller mescolati a riflessione e filosofia alla True Detective, anche se qui il pedale di quest’ultima è spinto meno a fondo.
Manhunt: Unabomber prende spunto da una storia vera e il realismo è sempre presente, insieme a una sfida a distanza emozionante tra due personaggi estremamente diversi ma che riescono a comprendersi.
Nel panorama degli originali Netflix, sicuramente uno dei prodotti più riusciti, che merita senz’altro una visione, in particolare se siete appassionati di polizieschi e casi di cronaca reali.
Nerdando in breve
Manhunt: Unabomber mette in scena un duello di cervelli tra un criminale estremamente intelligente e il detective che lo insegue. Se amate filosofia e investigazione, è consigliatissima.
Nerdandometro: [usr 4.0]
Trailer
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