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Le ragazze nello studio di Munari – Il fumetto tattile

Recensione

Le ragazze nello studio di Munari uscì nel 2011 per Black Velvet facendosi notare per l’esperienza multisensoriale (dopo qualche parola in più). Dopo il fallimento di questa, per anni è stato un fumetto introvabile. Bao Publishing l’ha dunque ripubblicato, in un’edizione riveduta e corretta dallo stesso autore Alessandro Baronciani.

Prima di leggere il fumetto non sapevo chi fosse Bruno Munari, ma tramite l’opera e internet ho avuto modo di conoscere uno dei più famosi designer e artisti italiani del Novecento.

Il fumetto non è una biografia dell’artista, ma parla di Fabio, libraio appassionato da Munari e dalla donne. Fabio vive a Milano nel retro del suo negozio di libri antichi e in un flusso di coscienza (qualcosa la so pure io, tiè) con ampie divagazioni ci racconta il suo rapporto con le donne e il suo fallimento nel creare rapporti stabili.

Le ragazze

Insomma, se siete di quelli che vogliono solo esplosioni, pigiamoni e botte dai vostri fumetti, tenetevi alla larga. Qui non troverete niente di tutto ciò, ma ragionamenti sull’amore, le ossessioni e la crescita. E tanti, tanti primi piani di ragazze.

Il nostro Fabio infatti, è costantemente alla ricerca della prossima conquista amorosa. Il suo rapporto con le donne è il fulcro della storia, di come Fabio non riesca a sviluppare relazioni serie e adulte, ma solo storie senza futuro. Forse perché incapace di crescere emotivamente e continua a comportarsi da adolescente, come gli rinfaccia una delle tre ragazze che frequenta nel corso dell’opera. E non è un caso che le ragazze con cui Fabio intreccia relazioni siano più giovani di lui.

Sappiamo perché lo fa, come lo fa e cosa lo attrae, dato che il fumetto è tutto in prima persona, dandoci il suo punto di vista e basta. Sicuramente erudito e un po’ hipster (il fumetto è pieno di citazioni narrative e cinematografiche, visto anche il lavoro del protagonista), Fabio è un personaggio difficile da amare, eppure è molto più umano di quanto ci piaccia pensare.

Però, allo stesso tempo, è un personaggio vuoto, che a me non ha detto molto. Ha un lavoro che avrei voluto fare anche io, ma finisce lì. Non so, è una mia sensazione, ma sostanzialmente Fabio corrisponde ad un preciso identikit, ormai archetipico. Va agli aperitivi, alle feste a Ravenna, frequenta un certo tipo di persone, cita roba impegnata. Ora, non c’è niente di male in questo, ma io non vivo a Milano e questi personaggi non mi dicono niente.

Tocca qui

Le ragazze dello studio di Munari è l’inizio di un percorso in cui Baronciani ha provato ad allargare le maglie classiche del fumetto, proseguito con Come Svanire Completamente. Quell’opera consiste in una scatola, con collage, foto e altri oggetti. In Le ragazze dello studio di Munari, ogni pagina è buona per provare ad amalgamare una tecnica diversa, una carta diversa, un colore diverso, quasi come in un libro-gioco, ma per adulti.

Le tavole sono sempre semplici, quasi senza vignette, con un disegno a pagina intera, ma ogni pagina può essere in carta lucida come in cartoncino, con un buco che combacia con la pagina successiva. Insomma, ogni pagina offre sensazioni, non solo visive, ma tattili. Baronciani dunque si rifà a Munari, il grafico e il designer, per realizzare una storia che necessita di essere presa in mano per essere compresa e apprezzata. Senza dubbio un esperimento da lodare, nell’epoca del digitale sfrenato.

Nerdando in breve

Non un esperimento fine a se stesso, Le ragazze nello studio di Munari è un tentativo di rendere più tridimensionale una storia scontata, ma reale, senza una vera fine perché come si può trovare una fine al quotidiano?

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