Film & Serie TV

L’ossessione del sequel a tutti i costi: come rovinare un buon prodotto

Generalmente non mi considero una persona polemica. O meglio: non amo affatto discutere. Per cui, ogni qual volta mi trovo alle prese con qualcosa che sento non meritare la mia attenzione, semplicemente me ne disinteresso.

Ciononostante, ci sono alcuni aspetti che mi innervosiscono particolarmente e sui quali non posso fare a meno di soffermarmi  e di dire la mia. Uno, per esempio, è l’ossessione – tutta degli ultimi anni – per il sequel a tutti i costi.

Vado a spiegarmi meglio: una tendenza che ho notato svilupparsi negli ultimi anni (e che trovo, nemmeno a dirlo, fastidiosissima) è il brutto vizio di trarre sequel da ogni cosa, purché di successo.
Accade particolarmente sul piccolo schermo, ma anche il cinema non è immune dal fenomeno.

Capisco che sia naturale, nel momento in cui qualcosa che si è proposto al pubblico riesce bene, cedere alla tentazione di continuare a “cavalcare la tigre” e sviluppare ulteriormente il microcosmo che si è creato. Capisco anche le ragioni economiche che portino a decidere di spremere fino all’osso un franchise che ha dimostrato di avere presa sul pubblico. Il problema è che, troppo spesso, a farne le spese è la qualità. E il rischio è di rovinare anche il ricordo del  fortunato capostipite, che ha colpito il pubblico e permesso di dare vita al deleterio loop.

Il piccolo schermo, ultimamente, pullula di storie nate per essere delle miniserie ma che, in seguito al successo riscosso, vengono riadattate per essere sfruttate e stiracchiate per quante più stagioni possibile. Gli esempi che potrei fare sono davvero infiniti. Tralasciando il discorso sulle miniserie che vengono riadattate (e non sempre con esiti felici) in serie antologiche, perché rischierei di scrivere un trattato a riguardo, mi limiterò a due soli esempi che mi hanno davvero infastidita e delusa.

Scream Queens

Quando, sul finire del 2015, Scream Queens è stata trasmessa in Italia, ho gridato al capolavoro.

La serie, ideata da Ryan Murphy, era una perfetta parodia, condita con la giusta dose di acidità, del genere teen horror. Esaltazione della stupidità, ironia tagliente e tanto tanto sangue erano gli ingredienti della formula. E funzionavano davvero bene.

La storia si dipanava nel corso di 13 episodi e la durata era perfetta per concludere tutti gli archi narrativi, senza annoiare né lasciare nulla di inspiegato. Il finale era perfetto e quello che restava, alla fine della visione, era la sensazione di una miniserie piacevole, fresca, originale.

Perché rovinare tutto questo? Non ho una risposta, è quello che mi chiedo dalla visione della seconda stagione. L’ansia da sequel a tutti i costi, in questo caso, ha dato vita ad un prodotto più che mediocre, riproposizione stanca e banale di situazioni, personaggi, battute, plot narrativo.

Un vero spreco, per il quale non so se riuscirò mai a perdonare Ryan Murphy. Per lo meno, non sono stata l’unica a pensarla così: sembra che gli ascolti, bassi in maniera imbarazzante, della seconda stagione abbiano scoraggiato i produttori dall’idea di realizzarne una terza.

Wayward Pines

Sempre alla fine del 2015 arrivò sui teleschermi Wayward Pines, serie oggetto di una azzeccattissima politica pubblicitaria, che l’aveva presentata come la nuova Twin Peaks.

A mettere altra carne al fuoco, la presenza di M. Night Shyamalan in cabina di regia (almeno nel pilot), che molti fan aspettavano al varco dopo gli ultimi flop diretti sul grande schermo.

Wayward Pines non ha convinto tutti, va detto ma, a mio parere, quella che poi è diventata una prima stagione era una serie ben fatta: ritmo, sorprese, citazioni quanto basta e una storia in grado di cambiare bruscamente rotta quando meno te lo aspetti, rivelandosi affatto banale.

Tutto questo, se non consideriamo la terribile seconda stagione.
Potreste obiettare: “La serie è tratta da una trilogia di romanzi, era lecito aspettarsi più di una stagione”. In realtà, però, l’intenzione iniziale era di realizzare una miniserie, attingendo a tutti e tre i libri e realizzandone un libero adattamento.

Poi, però, il successo riscosso ha convinto i produttori a creare un seguito, con le disastrose conseguenze che conosciamo.

E il grande schermo?

Nonostante il fenomeno del sequel a tutti i costi sia più frequente sul piccolo schermo, anche il mondo del cinema, purtroppo, ne è spesso affetto.

Anche qui, gli esempi potrebbero essere milioni ma voglio sceglierne solo uno, sapendo già di generare controversie: La Maledizione della Prima Luna.

Il film del 2003, diretto da Gore Verbinski e ispirato ad un’attrazione di Disneyland, è stato un successo di proporzioni inimmaginabili e, ammettiamolo, era anche un bel film.

Finalmente pirati e cappa e spada erano tornati sul grande schermo e l’avevano fatto in grande stile. Il film divertiva, emozionava, intratteneva. Il suo problema? L’ha fatto troppo bene e ha convinto i produttori a dare vita ad una serie infinita di sequel (siamo a quota 4, per il momento), uno peggiore dell’altro.

So bene che ci sono molti estimatori del secondo e del terzo capitolo, così come sono molti ad aver apprezzato il recente ritorno di Capitan Jack Sparrow e compagnia al cinema ma io non posso fare a meno di valutare tutto ciò che è venuto dopo il primo capitolo come una triste e banale riproposizione delle buone idee del capostipite.

Sulla base di questi pochi esempi, quindi, mi chiedo: abbiamo davvero bisogno di tutti questi seguiti, spesso scadenti? Smetteremo mai di rovinare ottime idee con l’ossessione del sequel a tutti i costi?

 

[amazon_link asins=’B01F5AGAP8,B014JPJBRE,B01E9P2K22,8820058901,B013OTZQKM,B007FG9LIE,B0041KW2O2,B00VCVWMLQ’ template=’ProductCarousel’ store=’nerdandocom-21′ marketplace=’IT’ link_id=’2c116fe8-87da-11e7-93a6-bf1cc28cacd8′]

 

 

Contenuti

To Top