Tutto, prima o poi, giunge a termine. Così è stato anche per un’incredibile era del franchise Doctor Who, un’era chiamata Steven Moffat, lo showrunner che, dopo aver scritto alcuni degli episodi più memorabili di “New Who” (Blink solo per citarne uno), ne prese saldamente il timone nell’ormai lontano 2009.
Amato e odiato allo stesso tempo dai fan, Moffat aveva dichiarato che la decima stagione sarebbe stata la sua ultima e per dare totale carta bianca al suo successore Chris Chibnall (Broadchurch), ci sarebbe stato un pesante colpo di spugna.
Al di là delle numerose polemiche dell’ultimo anno, in cui si è ventilato che il cambio di rotta sia stato chiesto direttamente dalla BBC, preoccupata dal calo di ascolti (e vendite del merchandising), quel che resta è la certezza che l’anno prossimo avremo un nuovo showrunner, probabilmente un nuovo companion e sicuramente un nuovo Dottore.
Termina infatti anche l’era Peter Capaldi, che dopo una prima stagione sottotono (l’ottava), ha saputo dar vita ad un Dottore incredibile: ha fatto crescere il personaggio regalando interpretazioni intense, a tratti travolgenti, aiutato da sceneggiature che gli hanno concesso di esaltare le sue capacità interpretative e da monologhi emotivamente devastanti.
Ovviamente non è stato tutto oro, ci sono stati alti e bassi così come momenti di difficoltà, anche per via del vizio di Moffat di partorire trame a tratti cervellotiche e di difficile decifrazione. Ma per quest’ultima stagione si è voluto davvero dar fondo alla scorta di fuochi d’artificio, mettendo in campo una tale vastità di emozioni che il viaggio lungo le dodici puntate ha davvero qualcosa di catartico: abbiamo fatto un tuffo nel passato del franchise, con citazioni dalla storia del personaggio fin dalla primissima inquadratura del pilota; abbiamo imparato a conoscere e amare una nuova companion che, probabilmente, abbandonerà la serie; abbiamo passato ore a chiederci se davvero si può cambiare, se un personaggio infausto come il Master (nella sua incarnazione Missy) può virare verso una natura più “umana”; ma soprattutto abbiamo capito che il Dottore è stanco: stanco di lottare contro tutto e tutti, stanco di essere solo, stanco di essere causa di sofferenza e dolore in coloro che ha giurato di proteggere, stanco di cambiare volto ancora e ancora, ed ogni volta dover ricominciare da capo.
Ma il cambiamento non solo è parte della vita e della natura, è quello che rende il Doctor Who ciò che è davvero: un show mai uguale a se stesso, in grado di adattarsi al pubblico, modificandosi, giocando coi sentimenti, facendo scommesse e correndo rischi. Se non fosse così, non sarebbe Who.
Addio quindi al Dottore di Capaldi, Twelve; dovremo attendere ancora a lungo, però, per conoscere i dettagli della sua rigenerazione: Moffat ha giocato sporco con noi, facendoci credere che avremmo avuto brutte sorprese anzitempo; sarà invece lo speciale di Natale a mostrarci come il Dottore capirà che non può rinunciare a cambiare: che lui lo voglia o no, il tempo è giunto e a ricordarglielo ci ha pensato il TARDIS che, come al solito, non lo porta dove vuole andare, ma dove deve andare. Il cliffangher finale è di quelli col botto: ormai la voce era trapelata ma si sa che con Moffat nulla è certo finché non si vede (e a volte nemmeno in quel caso). Ecco quindi comparire tra le nebbie dei ghiacci, il Dottore: quello originale.
David Bradley (Harry Potter, Game of Thrones, The Strain) torna a vestire i panni del Primo Dottore. Dopo aver interpretato un intenso ed emozionale William Hartnell ne Un’avventura nello spazio e nel tempo, comparirà nello speciale natalizio proprio come prima incarnazione di Doctor Who, e non in un momento qualsiasi, ma a ridosso degli eventi di The Tenth Planet (quarta stagione di Classic Who), che porteranno proprio alla prima storica rigenerazione (da William Hartnell a Patrick Troughton), e proprio a causa dei Cyberman di Mondas, come per Twelve.
Che sia un caso? No: con Moffat nulla è lasciato al caso.
Cosa resta quindi di questa decima stagione?
Abbiamo avuto qualche episodio sotto tono o non pienamente riuscito; abbiamo dovuto accettare in tempi rapidissimi Bill come companion credibile, e appena accolta doverla lasciar partire; abbiamo dovuto far i conti con alieni vecchi e nuovi; abbiamo ritrovato vecchi nemici (un John Simm capace di indossare i panni del Maestro con una eleganza d’altri tempi) e perso i nuovi (la Missy di Michelle Gomez non verrà dimenticata facilmente). Ma soprattutto abbiamo dovuto prepararci, episodio dopo episodio, all’uscita di scena di quello che comunque sarà ricordato come un grandissimo Dottore della saga. Ed è questa la vera magia di Doctor Who: ognuno di noi ha il suo preferito, ognuno ricorda con emozione un particolare momento, ognuno di noi ama e odia questo o quel companion; ma nonostante tutte queste differenze, ogni whovian alla fine si innamora e soffre terribilmente per la rigenerazione, per quel cambiamento necessario ma al quale non siamo e non saremo mai davvero pronti.
Grazie Peter, grazie Steven: ci mancherete.
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