Recensione
In quinta elementare feci il grande passo: passai dai Topolino e Piccoli Brividi ai thriller/gialli e i romanzi di Stephen King. Un sottogenere di thriller che ho sempre apprezzato è quello legale o giudiziario, in cui l’azione si svolge per la maggior parte in un’aula di tribunale. Di tutto ciò mi è sempre piaciuto il fatto che piano piano, progredendo nella storia, si scavasse nella vita delle persone, si comprendessero le loro personalità e le motivazioni che le hanno portate a compiere determinate azioni.
Sono dell’idea che il livello di coinvolgimento di un libro sia maggiore di quello che possa offrire un film, ma per nessun motivo mi sottrarrei alla visione di uno di questi. Difatti quando vedo un trailer che mostra la trattazione di un processo in un tribunale condita con personaggi che nascondono le bugie più inconfessabili difficilmente me lo faccio scappare, quindi sono andata a vedere “Una doppia verità” al cinema senza pensarci due volte.
Se anche voi avete intenzione di fare come me vi do un consiglio spassionato: non guardate il trailer! È uno di quei casi in cui mostra davvero più del dovuto, in particolare una scena che per ovvi motivi non citerò ma che porta a farsi un’idea del finale.
Trama
Il film gira intorno al processo contro un ragazzo adolescente accusato di parricidio. Tutte le prove sono contro di lui, lui stesso ammette la propria colpa. Un po’ troppo semplice però, non credete?
L’avvocato difensore del ragazzo è un amico di famiglia ed è quindi molto legato sentimentalmente alla causa e non accetterà facilmente quella che si prospetta essere un’amara e inevitabile sconfitta.
Questo è uno di quei film in cui sai che ci sarà il colpo di scena perché le alternative evidenti sono troppo scontate, quindi passi il tempo a cercare di indovinare chi potrebbe essere il colpevole e ammetto che nemmeno io ci avevo azzeccato, ed è meglio così. Apprezzo sempre quando il finale di un film riesce a sorprendermi.
Quello che non mi è piaciuto tantissimo di questo film è che non siano state approfondite le dinamiche familiari abbastanza da chiarirmi tutti i dubbi e tutti i comportamenti tenuti dai personaggi, ma essendo proprio questa la mia parte preferita di questo genere mi rendo conto che molto probabilmente altre persone con gusti diversi dai miei non abbiano sentito la mancanza di questo fattore. Del resto le cose da mostrare sono tante e il tempo è limitato.
Infine mi è risultato davvero difficile provare empatia per il giovane indiziato, inizialmente nemmeno lui sembra provarne per se stesso, non so se fosse una cosa voluta o una carenza delle capacità recitative dell’attore ma la sua gamma di espressioni era molto limitata e molte di queste rasentavano l’apatia.
Cast
Il cast presenta nomi di tutto rispetto: l’avvocato difensore è interpretato da Keanu Reeves, che più o meno tutti conoscono per il suo ruolo da protagonista in “Matrix”. La madre del ragazzo sotto accusa è Renèe Zellweger, l’impacciata Bridget di “Bridget Jones”. Infine vorrei far presenti anche i nomi Gugu Mbatha-Raw, che trovo di una bellezza infinitamente delicata ed esotica, e Jim Belushi: dopo averlo visto infinite volte in “La vita secondo Jim” fa una strana impressione trovarlo in un ruolo così negativo.
In conclusione
Di certo “Una doppia verità” non è un film che brilla per l’originalità; il caso di omicidio disputato in tribunale è un classico, ma se fatto bene io lo apprezzo sempre, e penso che la maggior parte degli amanti del genere farebbe lo stesso. Detto questo, fateci un pensierino!
Nerdando in breve
“Una doppia verità” è un Legal-Movie che tratta di un classico caso di parricidio la cui soluzione sembra anche troppo ovvia. Qualcuno mente. Chi?
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