Recensione
Come vi dicevo in occasione dell’articolo su Prometheus: Fire and Stone, questo Aliens: Fire and Stone di cui vado a parlarvi oggi è la seconda parte di un crossover che coinvolge tutti i franchise fumettistici dell’universo Alien.
Il volume raccoglie la miniserie omonima che uscì negli USA nel 2014, e fa parte del grande rilancio sul mercato italiano dell’universo Alien a fumetti operato dai prodi valorosi della saldaPress, che ci hanno permesso di leggerlo in anticipo rispetto alla data di uscita ufficiale, che è il 12 maggio.
Bando alle ciance, e andiamo a vedere se ci è piaciuto.
Testi
Le vicende narrate nel presente volume sono ambientate 30 anni prima di quelle di Prometheus: Fire and Stone e si svolgono in contemporanea a quelle del film Aliens (ovvero il secondo film, quello del 1987 diretto da James Cameron, quello del “Vengono fuori dalle fottute pareti”).
Come sappiamo, stabilire una colonia su Acheron (LV-426) non è stata la più brillante delle idee ma purtroppo per i poveri coloni Ellen Ripley fu risvegliata dal criosonno troppo tardi e non fu creduta.
L’inizio del volume ci catapulta proprio a qualche giorno prima che i Marine Coloniali arrivassero ad Hadley’s Hope, nel bel mezzo dell’attacco degli xenomorfi che devastò la colonia e lasciò Newt come unica superstite.
Evidentemente però non fu l’unica a sopravvivere, dato che in Aliens: Fire and Stone scopriamo che, grazie alla nave mineraria Onager, alcuni di questi poveracci inconsapevoli riuscirono a fuggire e a rifugiarsi su un’altra luna del pianeta Calapamos, proprio quel LV-223 teatro delle vicende di Prometheus (il film) e Prometheus: Fire and Stone.
Non vi perdete che qui più che mai è importante la cronologia. Considerate che ho cominciato a dare un senso ed un ordine alla cronologia di Alien proprio grazie a questi fumetti, perché sono sciagurato.
Se ben ricordate, la Onager verrà trovata, abbandonata, proprio dalla squadra di Prometheus: Fire and Stone 30 anni dopo, e qui potremo finalmente scoprire ciò che è accaduto ai poveri coloni fuggiti.
Discostandosi dal classico “schema Alien”, i nostri protagonisti/carne da macello (perché in Alien se sei parte del team protagonista è molto probabile che tu possa diventare un delizioso spuntino o un altrettanto delizioso incubatore di creature orrende) sono spinti all’esplorazione del pianeta non da curiosità scientifica o ricavo economico ma da un puro bisogno di sopravvivenza.
Il pianeta in sé non sarebbe così pericoloso se non fosse che per egoismo personale siano i coloni stessi a portarsi i guai da casa. Senza contare che dovrebbe trattarsi di un posto desolato e senza vita quando invece la giungla cresce rigogliosa e gli animali sono belli arzilli. Cosa sarà accaduto?
Mi fermo con gli spoiler diretti, ma vi anticipo che le vicende narrate sono indirizzate lungo due binari principali: da un lato, la lotta alla sopravvivenza dei superstiti e il senso di colpa di aver provocato un disastro, dall’altro una sottotrama molto più misteriosa e ad ampio spettro, che si aggancia al mistero di base del franchise, ovvero quello sulle origini della vita e sugli scopi e la provenienza dei famigerati Ingegneri.
Chris Roberson imposta il ritmo della narrazione in modo molto più sostenuto rispetto a quello del volume precedente, tanto che Aliens: Fire and Stone fila via che è una bellezza, e gli intermezzi sono gestiti molto bene grazie alla parte più “Lostiana” con protagonista l’ingegnere della terraformazione Derreck Russell. Proprio costui sarà il personaggio il cui approfondimento psicologico è decisamente il più interessante del pacchetto, per via del suo cambiamento morale e di vedute in una situazione così drammatica e particolare.
È chiaro che, in modo molto più pronunciato rispetto al volume precedente, sia Aliens: Fire and Stone a scoprire le carte dell’evento Fire and Stone: unire gli universi narrativi in modo coerente, e creare al contempo un forte comparto a fumetti che spinga il franchise a diventare multi-mediale.
Il grande disegno si spiega pian piano davanti ai nostri occhi, e questo secondo volume mi è sinceramente piaciuto più del primo, sia nel ritmo, sia nelle idee che nell’ottica della visione globale e mi ha portato però anche a rivalutare Prometheus: Fire and Stone.
Disegni
Patrick Reynolds ha uno stile perfetto per questo tipo di ambientazione e di tematiche, e lo preferisco a quello sfoggiato da Juan Ferreyra su Prometheus: Fire and Stone.
Più sporco, più cupo, più cattivo: così deve essere la sensazione di essere braccati da esseri spietati su un pianeta alieno ostile.
Terra, sangue, melma nera sconosciuta. Ferite, sudore, saliva acida.
Direi che dal lato grafico non possiamo lamentarci.
Dimenticavo: come inserti redazionali possiamo gustarci come extra una bella galleria di disegni preparatori e bozzetti di Reynolds.
Conclusione
Questo secondo volume dell’evento Fire and Stone è il tassello necessario per comprendere a fondo anche il primo, e per rivalutarlo in un’ottica molto più ampia. Rappresenta inoltre l’anello di congiunzione che mancava per unire in modo molto più saldo le linee narrative di Aliens e Prometheus, in attesa di Alien: Covenant.
Ma a prescindere da questo, se siete appassionati di Alien dovreste considerarne l’acquisto e la lettura perché quello che abbiamo tra le mani è un volume piacevole anche da solo e risponde ad una delle domande non poste nel bellissimo Aliens di James Cameron.
Nerdando in breve
Aliens: Fire and Stone è un volume molto godibile e rappresenta uno degli anelli di congiunzione mancanti tra la saga di Alien e quella di Prometheus.
Contenuti