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The Last Guardian – Capolavoro incompreso o incompiuto?

the last guardian recensione

Recensione

The Last Guardian è tra noi. Chi mai avrebbe pensato che qualcuno avrebbe veramente potuto pronunciare tale frase? Io personalmente non ci avrei scommesso neanche un centesimo e, in fin dei conti, chi potrebbe darmi torto? Definire lo sviluppo di The Last Guardian “travagliato” sarebbe come fargli un complimento: 10 anni di sviluppo, innumerevoli rinvii e l’inaspettato – si fa per dire – passaggio da PlayStation 3 a PlayStation 4 come punto di riferimento. Senza contare la beffa finale, legata alle migliori prestazioni su PlayStation Pro. Insomma, un po’ come per dire che alla fine una qualche beffa ci doveva comunque essere, quasi come fosse diventata una questione di principio.

Ma tralasciamo quello che è stato e concentriamoci su ciò che The Last Guardian è, cercando di lasciarci alle spalle questo ormai onnipresente alone di misticismo che circonda il prodotto. Un misticismo che in molti casi è sfociato e sta tuttora sfociando in una sorta di inspiegabile – e diciamolo, anche un po’ insopportabile – fanatismo filo-nipponico che sembra aver precluso a più di qualcuno la capacità di osservare il prodotto con la giusta oggettività. Sì, perché The Last Guardian è senz’altro un prodotto unico nel suo genere, ma gli strascichi del suo tortuoso sviluppo sono evidenti e si riflettono in maniera tutt’altro che marginale sull’esperienza di gioco.

Il gameplay

Di base, The Last Guardian è infatti un’avventura caratterizzata da profonde radici platform in cui l’esplorazione e la risoluzione di enigmi ambientali rappresentano il vero fulcro di una progressione dal ritmo lento, compassato e per questo apprezzabile solo da una ristretta cerchia di giocatori. Sì, perché per quanto innegabilmente poetico, affascinante ed evocativo a fronte del suggestivo rapporto tra Trico e il suo piccolo amico umano posto sotto il nostro diretto controllo, The Last Guardian è un gioco in cui la componente ludica che dovrebbe teoricamente essere alla base del concetto stesso di videogioco, rappresenta una parte marginale, quasi superflua del’esperienza a causa di scelte di design davvero inspiegabili e, se posso permettermi, imperdonabili.

I grandi difetti

Tralasciando una telecamera drammaticamente ingestibile, problema che sembra ormai congenito e irrisolvibile per la quasi totalità dell’industria videoludica nipponica e su cui, proprio per questo motivo, non intendo soffermarmi – in fin dei conti ci si può abituare, seppur con tanta fatica – il vero limite di The Last Guardian è il suo gameplay. Un gameplay vecchio, antiquato e ormai ingiustificabile per un prodotto che viene spacciato per un “system seller”, fin troppo simile a quello del celebre Shadow of the Colossus in termini di dinamiche. Insomma, per certi versi sembra quasi che Fumito Ueda e i suoi ragazzi siano inconsapevolmente rimasti intrappolati nel 2005 e che quanto accaduto in oltre un decennio, in termini di evoluzione di dinamiche e meccaniche, non si sia mai verificato.

Che si tratti di presunzione o semplice incapacità di restare al passo con un settore in costante evoluzione non ci è dato saperlo, ma quel che conta è l’esperienza risente parecchio di questo aspetto e che, di riflesso, si rischia addirittura di non apprezzare adeguatamente il vero fiore all’occhio del prodotto: la sua straordinaria atmosfera, sostenuta non solo da una direzione artisica di primissimo piano ma soprattutto da una struttura narrativa così raffinata da risultare a tratti davvero sublime.

I grandi pregi

Nel corso delle diverse ore necessarie per portare a termine l’avventura, ore scandite da un crescendo emozionale dovuto al rafforzarsi del legame tra i due protagonisti e, di riflesso, tra noi e Trico, The Last Guardian regala infatti un’infinità di emozioni differenti che spaziano dalla rabbia alla tristezza, dalla commozione allo sgomento. Il tutto senza mai che nulla risulti banale. E scusate se è poco. Insomma, un gioco poetico, artisticamente eccezionale e pregevolissimo anche in termini di profondità degli enigmi ambientali proposti – alcuni dei quali evidenziano una gestione della fisica davvero notevole – minato tuttavia da una struttura generale e un gameplay che, colpevolmente, a tratti, rischia di mettere tutto questo ben di Dio in secondo piano e, agli occhi di alcuni, addirittura di nasconderlo del tutto.

E queste sono cose su cui un genio, o presunto tale, come Fumito Ueda non dovrebbe lasciar correre ma, al contrario, su cui dovrebbe concentrarsi in maniera particolare proprio per far sì che la sua genialità non rischi di finire in secondo piano, sommersa da inutili ma concrete polemiche su quella che a tutti gli effetti sarebbe potuta essere la sua migliore creazione. E per molti lo sarà ma… non per tutti, e forse è questo il vero “peccato mortale” alla base del prodotto stesso: la sua cronica incapacità di far innamorare chiunque, pur avendone tutto il potenziale.

Nerdando in breve

The Last Guardian è un prodotto ricco di potenziale ma estremamente controverso e non per l’incapacità del pubblico di scorgerne le effettive qualità, quanto piuttosto per la scarsa lungimiranza di un team di sviluppo che ha affrontato con troppa sufficienza alcuni elementi chiave dello sviluppo del prodotto.

Trailer

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