Sono appena uscito dall’anteprima di questo nuovo, controverso reboot di Ghostbusters, dopo una maratona, nei giorni scorsi, delle prime due pellicole di culto.
Mi avvio verso la stazione della metro mentre canticchio tra me e me il celebre motivetto di Ray Parker Jr. e penso che questo qui sarà un articolo molto, molto difficile da scrivere.
Difficile perché, sin dalla prima immagine, questo reboot mi era parsa una mossa azzardata. Quando poi è uscito il primo trailer, peggio che andar di notte. A parte l’assurda campagna di odio (ammantata di sessismo e razzismo, diciamolo) che portò quel trailer ad avere un record assoluto di voti negativi su Youtube, la sensazione che mi lasciò fu davvero amara, della serie: non abbiamo proprio più idee, ma i reboot sono quasi sempre un successo sicuro. Però stavolta vogliamo cavalcare l’ondata dilagante di tostissime protagoniste femminili e ci mettiamo pure tanta, tanta CGI.
Quindi, aspettativa sotto i piedi. Per farmi del male, come dicevo prima, mi sono anche riguardato i due mitici film degli anni ’80, ridendo più dell’ultima volta che li vidi. Ci sono pellicole che non muoiono davvero mai e per noi nati in quegli anni rappresentano una sorta di bagaglio culturale pop mitico ed intoccabile che ci identifica come “quella” generazione. Ecco, volevo proprio evitare di parlare dei film di Reitman, ma non ci se la fa a non citarli. Non riesco ad evitarlo io, ma neanche questo reboot. Ora però ci arriviamo, con calma.
Date queste premesse, è ovvio che girare un film del genere è pericolosissimo e, pensavo, anche abbastanza senza senso, perché vai a stravolgere una “cosmologia” ben radicata da ormai trent’anni. Se ci unisci anche una campagna pubblicitaria un po’ sbagliata, il pericolo della “shit-storm” dei sapienti del web te la sei praticamente chiamata.
Come da tradizione, questo articolo è essenzialmente spoiler-free e se qualcosa mi scappa è perché alla fin fine è ininfluente o solo accennata. Andate avanti tranquilli.
Il film comincia con una sequenza molto classica e io che ero già con il mio dito indice puntato contro chiunque abbia voluto questo reboot mi sono rilassato, ho accettato l’accenno di richiamo al primo film e mi sono detto ” vabbè, vediamo come va”.
Motivetto dei Ghostbusters.
New York Public Library. Campus Universitario.
Ehi reboot, che fai, ammicchi? Calma un po’ con quell’occhiolino, l’ho capito che vuoi catturare subito l’attenzione dei fan storici, ma calmo un po’. Per esempio, presentaci queste nuove protagoniste, dai.
So che siete tutti curiosi di sapere come siano questi nuovi personaggi: innanzitutto abbiamo una situazione analoga al vecchio gruppo, con tre scienziate e una no, che però a differenza di Winston paleserà una profondissima conoscenza della città, fungendo quasi da “guida” in talune occasioni. Le quattro protagoniste sono tutte delle attrici comiche, e questo si riflette sul fatto che il gruppo sia pensato per far ridere, anche più di quanto non fosse per i vecchi acchiappafantasmi.
Questa cosa funziona? Per me sì e no. Sì, perché il team mi è sembrato ben amalgamato, no per quanto riguarda molte battute un po’ troppo forzate. La comicità ci sta bene, ma a volte mi è sembrato si stesse esagerando, e tutto sembra più innaturale. Poi c’è una questione mia personale: non ho sopportato molto il personaggio di Abby (Melissa McCarthy), che ho trovato troppo macchiettistico e quasi antipatico, mentre ho trovato riuscito quello di Holtz, l’ingegnere interpretato da Kate McKinnon. Anche lei esagerata e sopra le righe ma in modo folle e molto piacevole. Sorpresa delle sorprese, ma anche no, i sessi si ribaltano anche per quanto riguarda il segretario: al posto della svogliata Janine avremo il mononeuronale ma molto muscoloso Kevin interpretato da Chris “Thor” Hemsworth. Anche questo cambio per me è approvato perché la stupidità del personaggio regala effettivamente momenti comici niente male.
Sto parlando insistentemente di comicità, come mai? Beh, non è di certo un aspetto che mancava nei vecchi film, ma qui l’intenzione mi sembra fosse quella di spingere molto di più l’acceleratore sul far ridere con una valanga di battutine e situazioni comiche, come si usa ultimamente: in effetti si ride, ma purtroppo non sempre; a mio avviso, come dicevo prima, si è esagerato troppo declassando alcuni momenti del film a commedia ingenua e stupidotta. Altri momenti invece, fanno ridere per bene e tanto.
Peccato perché il ritmo non manca di certo, la storia scorre via molto bene ed effettivamente, mentre passano i minuti, un sospiro di sollievo viene spontaneo: dopo tutto, forse, non è così fallimentare questa operazione di reboot. Tanti richiami alle pellicole passate, senza dubbio, all’inizio pensavo pure troppe: il film fa sicuramente i conti con quella eredità ingombrante, ma per fortuna ci si accorge che queste citazioni ben si amalgamano nel tutto, pur essendo spudorato fan service. La trama è buona e purtroppo, questo devo accennarvelo, fa tabula rasa dei vecchi accadimenti. I vecchi acchiappafantasmi non sono mai esistiti. Sigh. Reboot d’altronde significa questo.
Un aspetto del quale temevo non si sarebbe tenuto conto è quello della “newyorkesità“. Ghostbusters è un film nel quale la città di New York gioca un ruolo fondamentale, perché sembra proprio che è in quel posto che tali assurde vicende si possano svolgere: ricordate, vero, Ghostbusters II? Invece anche qui il legame con la città è rispettato in pieno e il primo accenno lo vediamo in una breve ma bella sequenza della Ecto-1 per le strade della città. Ecco, forse è lì che ho cominciato ad apprezzare il film.
Ad effetti speciali come siamo messi? Bisogna chiaramente considerare l’incredibile salto tecnologico degli ultimi trent’anni, dai pupazzi sovrapposti alla pellicola al poter immaginare e rappresentare praticamente tutto. Ebbene, gli effetti speciali sono tanti ma non sono di quella plasticosità invadente alla quale ultimamente siamo tristemente usi. Questo film è tanto colorato e mi fa piacere: tra l’arancio dei flussi protonici, il blu intenso dei fantasmi e il verde di Slimer (ops, spoiler) non si può certo dire che si tratti di una pellicola triste.
Le ragazze sono acchiappafantasmi dei nostri giorni e oltre agli zaini protonici, hanno a disposizione un armamentario che, come sempre, strizza l’occhio al passato, ma guarda al futuro. Mi è piaciuto tanto anche per questo fatto l’introduzione dell’inventrice folle che fa da contraltare alla pacatezza del buon Egon Spengler. Qui ci sono più robe che esplodono perché il 2016 lo richiede.
Insomma, un nuovo team per una nuova generazione, con i grandi “vecchi” come traghettatori che appaiono sparsi quando meno ve lo aspettate. Tutto legittimo, tutto bello, si batte tanto sulla nostalgia che non fa mai male (vi consiglio, a tal proposito, di rimanere anche dopo i titoli di coda, altra sorpresa degna di nota). Manca forse l’epicità delle vecchie battute, alcune così memorabili che dopo trent’anni trovi ancora chi le sa a memoria, ma onestamente non che mi aspettassi qualcosa di diverso. Peccato.
Scorrono i titoli di coda. Una scritta “Per Harold Remis“. Lacrima obbligatoria. Egon, ci manchi.
E nulla, ero partito da casa che già sapevo di volerlo stroncare. Torno a casa sorridendo.
Attenzione: non sto dicendo che sia un capolavoro, proprio no. Una commedia divertente, parecchio ammiccante nei confronti di un grande passato, a tratti un po’ ingenua ma che nel complesso evita di gran lunga e con classe il naufragio annunciato dalle malignità ingiuste subite ancor prima dell’uscita. E non voglio parlare delle polemiche sul sessismo e sul razzismo che ne sono venute fuori perché altrimenti, proprio in chiusura, vi faccio passar la voglia.
Nerdando in breve
Non un capolavoro, ma una commedia divertente e molto meglio di quel disastro che tutti si aspettavano. Dategli una chance e fatevi due risate!
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