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Homefront: The Revolution – Guerriglia urbana a Philadelphia


Nei mille panorami futuristici distopici e fantapolitici che da sempre affollano il mosaico videoludico, appare un nuovo tassello da lungo atteso, Homefront: The Revolution che porta la guerra direttamente sul suolo americano; una guerra d’invasione condotta, guarda caso, dallo spauracchio americano più attuale: la Corea del Nord. In questo futuro alternativo le innovazioni tecnologiche coreane hanno surclassato quelle di tutti gli altri paesi, e gli Stati Uniti, come tutti, hanno iniziato ad importare da lì tutte le tecnologie del quotidiano, armi comprese. Ma quando l’equilibrio sullo scacchiere internazionale si compromette a causa del debito contratto, ecco che i cattivoni nordcoreani invadono l’America, forti del fatto di aver inserito un dispositivo segreto in tutti gli armamenti bellici venduti che ha consentito la loro disattivazione immediata.

Siamo quindi su territorio occupato e, come da tradizione, emergono cellule di resistenza armata, in genere con attrezzature di fortuna, che tentano di ribaltare le sorti dell’invasione in una lotta di quartiere impari, moderni Davide contro Golia. Nulla di particolarmente originale, quindi, se non forse per il pregresso che fa da sfondo alla storia. Girare per l’open world di Homefront mi ha riportato alla mente un titolo eccelso da cui sembra aver preso più di qualche spunto: Metro 2033 (e seguito). Non tanto per l’open world, che in Metro mancava, ma per l’ambientazione sociale. Anche qui, infatti, girovaghiamo in un contesto fatto di disperazione e povertà totale, dove i volti delle persone sono intrise della (non)speranza di sopravvivere un giorno di più. Homefront manca però dello spessore trovato nelle metropolitane moscovite e, oggettivamente, i già segnalati problemi tecnici si fanno sentire eccome, nonostante la patch rilasciata al day one: cali di framerate (a cui i ragazzi di Dambuster Studios stanno ponendo rimedio in questi giorni), legnosità delle animazioni, povertà di alcune texture. Insomma: Homefront ha avuto una gestazione travagliata, passando di mano in mano e di studio in studio, e si vede, si vede tutto. Nonostante l’encomiabile lavoro di Deep Silver per portare sulle nostre console un’opera tanto attesa, oggettivamente sembra di avere a che fare con un prodotto old-gen, con modelli plasticosi, carenze di lip sync, caricamenti lunghissimi e comandi non sempre precisi come ci si aspetterebbe (mi son trovato a litigare con i cassetti di un mobile per riuscire ad aprirli tutti).

Passando alle cose positive, invece, ho apprezzato moltissimo la divisione della mappa in aree di pericolosità: dal rosso al giallo; i colori mi danno indicazioni sul tipo di resistenza che dovrò affrontare in quella particolare zona e quindi ho modo di modificare il mio approccio alla missione. Missioni che, oltretutto, ricordano da vicino dinamiche di guerriglia urbana del tipo “colpisci e scappa” davvero esaltanti: la soddisfazione provata nel pianificare un attacco, colpire di sorpresa e dileguasi nell’ombra è davvero appagante. La storia purtroppo non ha il mordente che avrei voluto e i personaggi sono davvero un po’ troppo insipidi e non definiti come abbiamo visto in altri titoli (come il già citato Metro 2033. Ricordate gli spartani?); tuttavia Homefront ha molto da dire: superato il primo capitolo, si perde la linearità delle missioni e si entra in un interessante open world ove è possibile svolgere missioni disparate e nell’ordine desiderato, mischiando dinamiche di gameplay viste in franchise come Far Cry e Assassin’s Creed. La mappa non è molto vasta, e le missioni spesso suonano come ripetitive, tuttavia ho trovato questi mix davvero gustoso, capace di divertire e farmi chiudere un occhio sui difetti del titolo. Insomma: il colpo di spugna rispetto al passato c’è stato, ma c’è ancora molto lavoro da fare per dare il giusto lustro a questo filone narrativo.


Nerdando in breve

Homefront: The Revolution non convince al 100% per problemi tecnici e mordente della trama, ma è comunque un titolo divertente.

 

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