Miniature fantasy, gioco di ruolo, taverna. Il tutto confezionato da una piccola Indie britannica (composta da due sole persone) con tante idee e molta voglia di affacciarsi sul mercato videoludico.
Ce n’è abbastanza, per un vecchio giocatore di HeroQuest (e di AD&D) che ama cedere alla nostalgia, per volersi buttare in questo amarcord di action figures pronte a suonarsele di santa ragione esplorando un dungeon.
Il gioco mette subito le cose ben in chiaro: qui si muore. Si muore spesso.
Se un avversario ti attacca, muori. Se l’Ombra ti colpisce, anche accidentalmente, muori. Se il dungeon viene ribaltato, precipiti nel vuoto e muori. Se una sentinella ti vede, muori.
Bene, ho reso l’idea… sto per morire: ma come faccio a vincere?
The Living Dungeon consente una buona dose di personalizzazioni: il gioco si svolge a squadre, ma siamo noi a decidere quante squadre e di quante unità composte. Seguendo il consiglio degli sviluppatori, mi cimento con la combinazione da loro considerata la migliore e più divertente: tre squadre da due personaggi. A quel punto non mi resta che lanciare i dati e far entrare le action figures sul boardgame.
In effetti, sembra proprio di sedersi al tavolo di una taverna medievale. La grafica di contorno è buona ma le animazioni mi fanno da subito storcere un po’ il naso. D’accordo: sono action figures, però ho visto più dinamismo in Battle Chess per Amiga nel 1988. Anche i modelli 3D, che dovrebbero ricordare in effetti le miniature, sono un po’ troppo plasticosi e privi del minimo sindacale di dettagli.
Veniamo invece al gameplay che, in effetti, qualcosa di originale ha da offrire: si tratta del classico gioco di dadi, ma contrariamente al solito, le facce del dado non presentano numeri ma azioni. Le opzioni possibili sono “attacco”, che ovviamente consente di colpire gli avversari; “movimento”, per spostarsi sul piano di gioco; e infine “meccanismi” che danno quel tocco di novità a cui accennavo. Con questa opzione attiva, infatti, si possono modificare porzioni del dungeon, facendo ribaltare i pavimenti e precipitare gli avversari, chiudendo passaggi e aprendone altri che prima non esistevano, creando ponti e così via: un buon modo per usare la strategia e le trappole del dungeon stesso contro le squadre avversarie.
Naturalmente, come in tutti i giochi di dadi, la componente di strategia deve necessariamente soccombere a quella della fortuna. Non è raro, infatti, trovarsi senza dadi d’attacco di fronte a due/tre nemici e l’unico destino possibile è quello di una repentina e ineluttabile morte.
A conti fatti, The Living Dungeon ha qualcosa da offrire se si gioca in multiplayer, con amici umani con cui scambiare due chiacchiere, insulti e sfottò. Il sospetto è che in single player, nonostante la modalità campagna, venga a noia in tempi piuttosto rapidi.
Personalmente ho iniziato a sbadigliare dopo cinque minuti.