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The Bridge: quando Newton incontra Escher

Ed è subito arte

Ed è subito arte

Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Escher.
Nessuno? Bene.
Ora la alzi chi non hai mai sognato, perdendosi nella contemplazione del suo stupefacente surrealismo, di poter entrare dentro una di quelle litografie e scoprire cosa si prova a vivere in un mondo in cui le dimensioni fisiche sono quattro.
Ora provate ad immaginare che quel “qualcuno” non siate voi, ma sia Isaac Newton.
Ecco, in parole povere, in cosa consiste lo splendido The Bridge. Un puzzle game in cui le leggi della fisica vengono applicate al mondo di Escher, per un’esperienza a dir poco suggestiva.

Il fatto che sul mio comodino, al posto delle foto delle mie figlie, ci sia la stampa di “Waterfall” acquistata nel museo all’Aia, dovrebbe dirvela lunga su quanto io ami questo incisore olandese. Dopotutto non sono né la prima, né l’ultima delle vittime del suo surrealismo: dalla scala di Penrose in Labyrinth, alla matita di Groening; da Donnie Darko ad Inception, sono molte le arti visive che hanno tratto ispirazione dell’opera di Escher. Ovvio che, prima o poi, anche il mondo videoludico ne venisse travolto.
Ed è stata Sindrome di Stendhal.

The Bridge mi ha folgorato fin dalle prime immagini: il tratto litografico, la cura maniacale dei dettagli, gli infiniti omaggi alle opere di Escher… tutto in questo titolo mi ha fatto innamorare.
La storia è oscura e misteriosa come le regole che governano questo universo in 4D: un uomo (Newton? Lo stesso Escher?) vive all’interno di litografie in cui non è un problema ruotare l’universo, invertire il sopra e il sotto o cadere all’infinito senza mai arrivare da nessuna parte. Qui il protagonista deve trovare la soluzione a diversi enigmi, stanze contorte e ripiegate su sé stesse, alla ricerca della chiave per aprire la porta e scappare, ma solo per trovarsi intrappolato nella stanza successiva.
Prendere padronanza dei meccanismi non mi è stato subito agevole. In un mondo in cui le leggi della fisica si applicano, ma è da considerare reale il nastro di Moebius, occorre uno sforzo astrattivo notevole.
Splendido, poi, il passaggio tra “dentro” e “fuori”: tra “grigio” e “bianco” (come appare in moltissime delle opere), in cui all’enigma viene aggiunta una dimensione ulteriore, per un livello di sfida sempre più alto.
E quanto ogni porta è stata aperta e tutto sembra concluso, ecco che è sufficiente far ruotare il mondo, per cadere nell’altra casa: e come Alice attraverso lo specchio tutto è invertito ed enigmi ancor più complessi rendono questo gioco ancor più godibile, senza allungare noiosamente il brodo.

Alcuni dei principali difetti dei puzzle game, si sa, sono la monotonia e ripetitività. Non solo: dopo diverse ore di gioco capita di cedere alla tentazione di andare a cercare su Youtube la soluzione di un quadro particolarmente astruso, in cui la difficoltà è buttata a casaccio per mancanza di spunti e idee.
Non è questo il caso: in The Brige la curva di sfida è ben calibrata e superare un livello senza aiuti, magari dopo aver investito dieci o più minuti a studiarlo, dà una sensazione di appagamento che raramente ho trovato in altri giochi di questo tipo. Vedere che l’enigma si risolve davanti a noi fa scatenare quell’emozione che la scuola della Gestalt chiama Insight: è la lampadina che si accende, l’Eureka! di Archimede nella vasca da bagno; ed è la cosa più bella di questo gioco.
Usare le guide online sarebbe un modo di buttarlo via, ed un’opera così merita invece di essere vissuta, esplorata e superata con la propria intelligenza.

E ora scusatemi, ma adesso devo correre a mettere a testa in giù una casa…

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