Che i nerd fossero diventati di moda e che fossero un argomento “televisivo” lo aveva già dimostrato “The Big Bang Theory” e i produttori hollywoodiani, dopo il successo della fortunata serie targata Warner Bros., non hanno tardato ad accorgersene. Probabilmente da questa premessa è nata “Silicon Valley”, serie HBO ambientata nella famosa valle delle idee e nel mondo dell’informatica.
Mi sono avvicinata titubante a questo prodotto, perché temevo non fosse nelle mie corde e risultasse eccessivamente tecnico e serioso oppure troppo demenziale. Personalmente, per esempio, avevo apprezzato molto la prima stagione di “The Big Bang Theory”, avevo trovato molto originale e fresca l’idea di base ma, dopo qualche stagione, ho iniziato a considerarlo ripetitivo e stanco. Tuttavia, “Silicon Valley” ha dissipato già dal primo episodio tutti i miei timori e ha saputo conquistarmi, grazie alle sue situazioni quasi surreali ed alle sue battute leggere ma originali.
La serie, ideata da Mike Judge, John Altschuler e Dave Krinsky, è iniziata negli Stati Uniti lo scorso 6 aprile ed è stata rinnovata per una seconda stagione già il 21 dello stesso mese, dimostrando così come gran parte del pubblico abbia apprezzato la serie almeno quanto me. Ma di cosa parla, nel concreto, “Silicon Valley”? Protagonisti sono Richard, giovane programmatore di una grossa azienda del settore informatico, e l’applicazione da lui stesso sviluppata, Pied Piper, ideata per permettere ai musicisti di controllare se le loro creazioni siano o meno dei plagi involontari. L’applicazione in sé non è nulla di speciale ed i colleghi di Richard non perdono occasione per deriderlo ma, a sorpresa, l’algoritmo inventato per farla funzionare si rivela rivoluzionario per quanto riguarda la compressione di file. A questo punto, il ragazzo si ritrova al centro dell’attenzione e messo davanti al bivio della vita: accettare un’offerta pazzesca per vendere l’idea o scegliere un finanziamento per costituire la propria società?
L’idea alla base di “Silicon Valley” è semplice e quanto mai attuale: in un momento in cui l’informatica acquista sempre più importanza, è interessante scoprire i meccanismi di questo mondo frenetico e particolare, di cui tutti abbiamo un immaginario ben preciso. La serie riesce bene a rappresentare in chiave ironica il panorama delle grandi aziende informatiche ed i personaggi che le popolano. Certo, i protagonisti sono molto stereotipati (Richard ed il suo team di lavoro rappresentano in pieno i luoghi comuni legati ai nerd) ma i clichè che ricoprono sono sempre ben rappresentati e mai eccessivi, e qui sta la forza della serie. Naturalmente, “Silicon Valley” strizza molto l’occhio alle reali personalità del settore ed i riferimenti a Google, Steve Jobs e compagnia bella non si contano, risultando particolarmente gustosi per lo spettatore, soprattutto se appassionato all’ambiente. Non aspettatevi, però, un doppione di “The Big Bang Theory” perché l’approccio, qui, è completamente diverso. Niente gag continue e risate di sottofondo, in “Silicon Valley” c’è una storia che si sviluppa per tutta la durata delle 8 puntate che costituiscono la prima stagione ed i momenti comici scaturiscono direttamente da lì, in base alle situazione in cui, di volta in volta, sono coinvolti i protagonisti.
Oltre a basarsi su una storia orignale e su un andamento scanzonato e divertente, “Silicon Valley” si affida anche a solide interpretazioni per conquistare il pubblico. In particolare, ho adorato la performance di Christopher Evan Welch nel ruolo dello stralunato e geniale miliardario Peter Gregory. L’attore, già malato, è purtroppo venuto a mancare dopo aver completato pochissime scene (alla sua memoria è dedicata tutta la prima stagione di “Silicon Valley”). La produzione, pur ancora in tempo per scritturare un nuovo attore o per sopprimere il personaggio, tuttavia, è rimasta talmente colpita dall’interpretazione di Welch da decidere di mantenere il ruolo di primo piano del suo personaggio e di non affidare la parte a nessun altro. Il suo Peter Gregory, sicuramente, era uno dei personaggi più riusciti dello show e la sua assenza nella seconda stagione ci lascia con più di un rimpianto.
Altra freccia all’arco della serie è la sigla: breve ed incisiva, come ogni buona sigla dovrebbe essere. I più attenti tra gli spettatori potranno riconoscere molti loghi di aziende informatiche famose di oggi e di ieri che si inseguono durante la breve intro, che ricorda anche le loro sorti nel corso del tempo. Concludendo: sono stata conquistata dalla freschezza e dalla simpatia di “Silicon Valley” e sono in fervida attesa della nuova stagione. La consiglio caldamente a tutti ma in particolare ai nerd convinti: ritroverete situazioni e divertenti problematiche che vi risulteranno sicuramente famigliari!