Film & Serie TV

Adolescenti in eterotopie: raccontare la gioventù a debita distanza

Netflix & teen drama 

Chi frequenta le piattaforme di streaming avrà ben in mente la categoria dei titoli suggeriti perché hai guardato, ossia quell’elenco di film e serie TV che l’algoritmo ci propone perché abbiamo guardato qualcosa che assomiglia, in qualche modo, a quelli consigliati. Un denominatore che accomuna molti di quelli che Netflix propone alla sottoscritta è il fatto che la popolazione protagonista sia in piena fase adolescenziale.

Dopo 13 Reasons Why, Sex Education e le prime stagioni di Riverdale, Fate: The Winx Saga e molti altri cosiddetti teen drama, il colosso americano ha iniziato a suggerirmi altre serie, simili a queste, ma girate e prodotte in Italia.

È il caso di Mare Fuori, Braccialetti Rossi, Un professore o Skam Italia, serie a cui mi sono avvicinata ma che (tranne l’ultima) non mi hanno coinvolta particolarmente. Eppure, mi hanno portata a riflettere su quanto effettivamente tutte queste serie altro non siano che una diversa declinazione dello stesso format: adolescenti in eterotopie.

Eterotopia

Con il termine eterotopia, Michel Foucault indicava quei luoghi-altri, quei posti concretamente esistenti e situati nello spazio, nei quali però sono in vigore delle regole (o vere e proprie leggi) talmente particolari, da rendere quegli ambienti dei topoi diversi da tutti gli altri.

Pensate per esempio ai luoghi di culto: viene considerata una prassi di buona educazione togliere il cappello in alcuni edifici sacri e indossarlo in altri, ma al di fuori di quegli spazi e salvo eccezioni, non vi sono leggi che regolamentino in generale l’utilizzo del cappello.

L’esempio più eclatante di eterotopia è forse il carcere: luogo imputato a limitare il diritto alla libertà, nel quale si è tenuti a rispettare delle regole comportamentali che fuori da quello spazio non necessariamente valgono (pensate per esempio all’uso dello smartphone, che fuori dagli istituti penitenziari, e da pochi altri luoghi, non è vietato).

Mare Fuori; Eterotopia: il carcere.

Le eterotopie delle serie teen: il carcere, l’ospedale

Guardando qualche puntata (o stagione) delle serie citate sopra, mi sono accorta di quanto l’ambientazione rivesta un ruolo centrale ai fini della trama, tanto da risultare, a volte, come un protagonista silente. Non mi riferisco solo al set e alle stanze in cui fisicamente vengono girate le scene, ma al fatto che le limitazioni agli accadimenti dovute al posto in cui è situata la storia, diventano parte integrante del tessuto narrativo.

Pensate a Mare Fuori, serie ambientata in un Istituto Penitenziario Minorile (IPM) all’interno del quale, per ovvie ragioni, vigono delle restrizioni a ciò che si può e non si può fare. L’IPM, però, diventa personaggio vero e proprio in almeno due momenti: il primo, quando i ragazzi lo nominano, presentificandolo all’interno dei loro discorsi; il secondo, ancor più evidente, nelle scene girate tipo flash-back, fuori dall’IPM stesso. Il contrasto fra ciò-che-è e ciò-che-non-è possibile, nel confronto fuori/dentro, rende ancor più cruciale il ruolo del posto in cui si svolge la storia.

Se l’IPM non fosse un’eterotopia abbastanza ristretta, poi, c’è quel posto ancor più estremo in cui sono ambientate certe storie: l’ospedale. In Braccialetti Rossi (ma anche in tanti film quali A un metro da teNoi siamo tutto, per dirne due), la vita di giovani pazienti ci viene raccontata attraverso la cornice degli ambienti asettici, abitati da persone in camice. La clinica è presente in quasi ogni fotogramma, nel quale si alternano sofisticate apparecchiature che aumentano il distacco fra noiloro: noi, che siamo fuori, loro, che sono dentro; loro, che sono giovani, noi, che siamo anche adulti.

Braccialetti Rossi; Eterotopia: l'ospedale

L’eterotopia per eccellenza: la scuola

Similmente accade nelle serie ambientate a scuola, come Un ProfessoreSKAM Italia: l’istituto scolastico appare come la lente attraverso la quale ci è concesso conoscere i personaggi. Nelle dinamiche fra i banchi e in corridoio, nelle effrazioni e nell’essere ligi, si giocano le caratterizzazioni dei personaggi più strutturati. Tuttavia, è solo nelle scene ambientate fuori da scuola che entriamo in contatto con i vissuti, i pensieri e le emozioni preponderanti dei protagonisti: quando cioè muta il dispositivo e può emergere l’essere umano a tutto tondo, che è anche altro oltre al ruolo di studente. Persone che sono tanto altro che semplici frequentatrici di una certa classe. Per la maggior parte della storia, però, conosciamo questi giovani solo nella parte di alunni, come se la complessità che li pervade fosse qualcosa troppo difficile da raccontare in maniera più completa.

Da qui, le mie domande: perché per raccontare l’adolescenza ricorriamo così spesso alle eterotopie? È ovvio che se una persona passa la maggior parte delle sue giornate in un posto (tipo la scuola), per raccontarne la vita, parte della narrazione sarà inevitabilmente situata in quel posto. La mia domanda è più trasversale: saremmo in grado di raccontare l’adolescenza a tutto tondo? È possibile parlare della gioventù di oggi senza rinchiuderla in un luogo altro, con leggi autonome e restrittive? Riusciamo a trasmettere la complessità dell’adolescenza, senza restringere il nostro punto di vista a pochi aspetti soltanto?

Una tendenza spiccatamente italiana?

Se dagli Stati Uniti (ma non solo) il dramma adolescenziale ci viene raccontato in ambienti diversi, quelli in cui i giovani effettivamente passano il loro tempo (non solo la scuola ma anche casa, casa di amici, luoghi naturali, ambienti ricreativi, palestre,…), in Italia mi sembra ci sia una tendenza più spiccata a raccontarli sempre partendo da un ben determinato luogo-altro.

I giovani, questi esseri interessanti e caotici di cui riusciamo a parlare meglio se li lasciamo rinchiusi da qualche parte, e attraverso il filtro che il luogo crea, li raccontiamo. Ne raccontiamo gli intrecci, i gossip, le evoluzioni e le crescite, ma sempre con una certa distanza, come se fossero delle interessanti cavie e noi riuscissimo a capirli (e, quindi, a parlarne) solo attraverso un vetro semiriflettente.

Un Professore; Eterotopia: la scuola.

Il discorso, poi, lo potremmo estendere anche a un gruppo protagonista un po’ più cresciuto (pensate a quante serie ambientate in ospedale, non solo italiane), anche se credo che in questo particolare caso, il distacco sia più dal dolore che dalle relazioni.

È come se potessimo conoscere l’alterità solo mettendoci abbastanza spazio, come se ci servisse essere al sicuro da tutte quelle emozioni che altrimenti minaccerebbero di travolgerci.

È davvero così? Ci serve davvero la proverbiale giusta distanza per raccontare le nuove generazioni? Non siamo forse stati giovani noi per primi? Non sarebbe forse più efficace, allora, avvicinarci all’altro e ricongiungerci all’altro-che-siamo-stati?

Da quando lavoro a scuola fatico a reggere le serie che a scuola ci sono ambientate, pallido simulacro di una realtà ben più complessa e difficile da conoscere, che forse, proprio per questo, siamo portati a semplificare. Forse è solo che la complessità della gioventù ci fa paura, così come la novità che porta, e allora la rinchiudiamo in luoghi altri e la paura non c’è più.

Attendo con ardore un teen drama ambientato sui treni regionali, che come eterotopia calzano a pennello.

Vuoi chiacchierare e giocare con noi? Vuoi dirci cosa ne pensi tu? Vienici a trovare sul nostro Server Discord e sul nostro Gruppo Telegram.

Contenuti

To Top