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Valiant Hearts – Come d’autunno sugli alberi…


Mi sono approcciato a questo gioco con un po’ di diffidenza, lo ammetto. Da una parte, c’erano buoni presupposti, vuoi perché il tema della Grande Guerra è poco sfruttato (troppo succosa, evidentemente la WWII con o senza Nazi-Zombie), vuoi perché è una pagina storica ricca di spunti terribili e affascinanti: la guerra di trincea, il barone rosso, i regni ottocenteschi…
Dall’altra parte, era facile cadere nel cliché dello shooter, oppure nella favoletta per bambini.

Avvio il gioco ed immediatamente vengo avvolto da una musica che lascia presagire grandi cose: dolce e romantica con un filo di nostalgia nei suoi passaggi più intensi. Anche la grafica mi lascia subito incantato: sapevo che il motore fosse il medesimo di Child of Light, altro titolo Ubisoft che ho amato, e tuttavia qui i designer si sono davvero superati, confezionando una grafic novel dalle tinte accese e dal tratto deciso.

Mi tuffo nel gioco, ed è un’immersione che mi lascia senza fiato per una lunghissima sessione di quasi sei ore, durante la quale vengo letteralmente travolto da emozioni e sentimenti che difficilmente un gioco riesce ad evocare.
L’orrore della guerra è reso in tutto il suo drammatico splendore, in un crescendo di sofferenza e disperazione che porta, negli ultimi capitoli, quasi ad assuefarsi al mare di cadaveri sanguinanti e smembrati che popolano ovunque lo schermo.
La storia, poi, è qualcosa di eccezionale nella sua semplicità: niente eroi, nienti ufficiali, niente battaglie epiche. È la semplice narrazione di come una guerra enorme e incomprensibile abbia spazzato via la tranquilla routine di una famiglia di contadini francesi, quando il vecchio padre, Emile, viene spedito al fronte a combattere contro il proprio genero, un ragazzo tedesco che aveva trovato serenità e amore nelle campagne francesi.
È una storia senza vincitori né vinti. Ad ogni successo in battaglia, segue la perdita di un amico o dei compagni che, di trincea in trincea, vengono falciati dalle bombe nemiche.

Il gameplay è molto semplice, e trovo sia una scelta azzeccatissima: un rompicapo bidimensionale a scorrimento orizzontale e verticale, con enigmi poco impegnativi che non distraggono dalla trama e mettono quella giusta dose di difficoltà capace di regalare momenti di soddisfazione quando si scopre la soluzione dell’enigma. Bella anche l’idea degli sporadici minigiochi, utili a spezzare leggermente la tensione e tirare il fiato.
I collezionabili, altro grande cruccio per un completista come me, qui sono molto più che parte della storia: sono LA Storia. Esplorando i vari livelli, si trovano reperti lasciati indietro da soldati caduti al fronte: lettere (vere!) di persone mai più tornate a casa, piastrine, oggettistica che i militari potevano portar con sé, e tante tante curiosità autentiche che vale la pena cercare e studiare con attenzione: non per sbloccare qualche trofeo o achievement, ma per scoprire cosa è successo un secolo fa, nella nostra Europa.

Una storia dall’amaro in bocca, quindi, che mi ha offerto però la possibilità di ricordare. Ricordare che certe cose, che ora sembrano lontane ed improbabili, sono accadute davvero: come il fatto che la Grande Guerra sia stato il primo conflitto a colpire duramente i civili; ricordare i ragazzi del ’99 e la disfatta di Caporetto; ricordare (nel modo più crudele possibile) l’oscena pratica dei generali di ordinare la fucilazione dei disertori, di soldati che, stufi di essere mandati per anni al macello, sceglievano l’automutilazione, la fuga, la ribellione ad ordini insensati (come i nostri soldati, che Cadorna fece falciare dai Carabinieri)…

Valiant Hearts è un gioco per non dimenticare i diciassette (17) milioni di uomini, donne e bambini di tutte le nazionaltà morti tra il 1915 e il 1918, perché dimenticare sarebbe peggio che ucciderli una seconda volta, vorrebbe dire sprecare l’immensa eredità umana che ci hanno lasciato.

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