Bene, il titolo può sembrare un po’ ambizioso e pomposo… ma è esattamente quello che penso di questo gioco di comitato.
Iniziamo con una precisazione: per gioco di comitato si intende un boardgame in cui le interazioni tra i giocatori vanno ben oltre al:
“Mi vendi Viale dei Giardini?”
“No, tua madre falla battere altrove.”
Nei giochi di comitato la contrattazione, il commento, l’intervento a voce alta dei giocatori è parte integrante del gioco stesso. Una parte importante, se non fondamentale.
Veniamo ora a Puerto Rico. Perché a mio avviso è il più bello del mondo? Perché in ogni altro gioco c’è un’enorme componente strettamente legata alla fortuna: e ve lo dice uno che è riuscito a perdere un’armata di 45 carri armati contro 8, a Risiko!. In Monopoli, ad esempio, c’è la strategia… ma se passate la vostra partita in prigione, potete anche essere dei piccoli Berlusconi, ma finirete come dei miseri Ricucci. Stesso dicasi del sopracitato Risiko!. Se i dadi non vi sorridono, non c’è Napoleone che tenga.
In Puerto Rico, invece, la fortuna non esiste: non ci sono dadi da tirare o casualità da attendere, tutto è deciso dai giocatori turno per turno, in un delicato equilibro strategico che lascia il dubbio della vittoria fino agli ultimi istanti di gioco.
Ma veniamo ora allo svolgimento.
Puerto Rico è un gioco complesso, con molte regole e molte informazioni da considerare tutte contemporaneamente, mentre si costruisce la propria strategia. Strategia che spesso deve essere modificata in corsa, in base alle scelte fatte dai giocatori prima (e dopo) di noi.
L’ambientazione, come dice il nome stesso, è Porto Rico, isola caraibica ad ovest della Repubblica Dominicana, nei tempi d’oro del commercio seicentesco. I giocatori prendono possesso dell’isola, su mandato di sua Maestà il re di Spagna ed iniziano a sfruttarne le ricchezze: miniere, piantagioni, fabbriche, esplorazioni, commercio marittimo. Lo scopo del gioco è completare la propria porzione di isola, costruendo tutti i lotti, e arricchendosi sempre di più commerciando con la Spagna.
All’inizio del proprio turno uno dei giocatori viene insignito del titolo di Governatore, ed inizia le danze. Per prima cosa si sceglie un ruolo (Capitano, Esploratore, Costruttore, ecc.) e grazie al ruolo scelto può svolgere diversi compiti: guadagnare soldi, raccogliere piantagioni, prelevare i lavoratori e collocarli nelle fabbriche, inviare i convogli via nave, ecc. Ceduta la mano è il giocatore successivo a fare la propria scelta, e così via fino alla fine del turno.
Naturalmente ogni azione ha conseguenze su tutti gli altri giocatori: se raccolgo le coltivazioni, lo faranno anche tutti gli altri. Il giocatore dopo di me invierà in Spagna le navi, o andrà sul mercato per guadagnare soldi? Oppure: mi conviene costruire una fabbrica o attendere e fare cassa? Se il giocatore prima di me sceglie di coltivare, a me conviene spedire le navi o piuttosto interagire col marcato e bloccare il commercio degli altri giocatori?
E così via.
Non solo: ma le piantagioni scelte (mais, caffè, zucchero…) daranno origine a diverse risorse, e le fabbriche costruite modificheranno pesantemente gli equilibri del gioco (perché aspettare di avere una nave libera, quando puoi averne una tutta tua?), e questo comporterà ulteriori rielaborazioni in corsa delle strategie.
Come si può facilmente immaginare, ad ogni turno tutte le “carte” vengono rimesse in gioco e, de facto, non esistono due partite identiche. Potete giocare dieci partite con gli stessi giocatori, e adottare la stessa strategia ogni volta. Eppure scoprireste che il delicato equilibrio del gioco renderebbe la vostra scelta vincente o perdente di volta in volta. Non è un gioco da praticare ad occhi chiusi, si può e si deve parlare coi compagni, magari stabilendo alleanze sottobanco, oppure unendosi tutti insieme per contrastare un avversario particolarmente forte, facendo attenzione a doppiogiochisti e franchi tiratori…
Come detto, le regole sono molte e le partite sono lunghe: tra preparazione e ripasso delle stesse per tutti i presenti, un’unica partita può tranquillamente portar via quattro o cinque ore di gioco. Ma il tempo scorre veloce e non si ha mai la sensazione di non saper cosa fare, di aver tempi morti, o di attendere troppo a lungo con le mani in mano. Anche lontano dal proprio turno, le scelte degli altri giocatori ci faranno fare qualcosa (in genere compiere scelte per arginare i danni architettati dagli avversari più smaliziati), e il livello di attenzione resta altissimo: con Puerto Rico è impossibile annoiarsi.
Ecco perché, a mio modesto parere, è il gioco da tavolo più bello del mondo.
E ora perdonatemi: ho una nave in partenza per San Juan…