1996.
Un mio cugino di Milano (esistente, non di certo un mio cuGGino) mi parlò degli Elio E Le Storie Tese, facendomi ascoltare Cara ti amo e fu – cacofonico a dirsi – amore a primo ascolto; la mia esistenza fu sconvolta dalle varie esibizioni del gruppo demenziale sul palco di Sanremo.
Durante il caldo settembre di quello stesso anno, poco prima dell’inizio della scuola, entrai in uno dei negozi di elettronica che erano presenti nella mia città: c’era una Playstation senza joypad attaccata, tramite la presa SCART, ad una TV a tubo catodico; sullo schermo andavano a ripetizione delle strane immagini: degli agenti correvano a rotta di collo, di notte, inseguiti da dei cani e cercavano riparo in una villa. Una villa infestata da zombie. Un titolo, scritto in rosso e letto da una voce profonda, spezza la scena: “Resident Evil“.
Un altro shock.
Che adolescenza difficile!
A questo punto, prendo fiato e mi ritaglio lo spazio per un piccolo aneddoto time: sono appassionato di non-morti da bambino, a causa della visione di La notte dei morti viventi di Romero che mi catturò grazie alla tetra atmosfera e alle decisioni, sempre sbagliate, del protagonista.
Escludendo un Sega Master System, da ragazzino ho sempre giocato su PC, snobbando le console, ma, dopo aver visto quel capolavoro, pensando alla possibilità di poter giocare ad un videogame CON GLI ZOMBIE, mi fissai un solo obiettivo: Playstation e Resident Evil dovevano entrare nella mia cameretta.
A Natale, con i regali dei miei e dei parenti (la centomila, per citare sempre gli EELST), misi da parte il gruzzoletto per acquistare la console ma, purtroppo, era finita dappertutto e riuscii a mettere le mani sugli oggetti dei miei desideri solo a febbraio, dopo aver letto tutte le recensioni possibili sulle riviste dell’epoca. Avevo in casa il primo survival horror, come venne definito da Capcom (anche se Edward Carnby di Alone in The Dark potrebbe trovarsi in disaccordo), e l’emozione era alle stelle!
Guardai la copertina del gioco, a lungo, per assaporare il momento. L’uomo che, spaventato, imbracciava il fucile, mi ricordò vagamente Ash Williams, protagonista della trilogia The Evil Dead (qui conosciuta tristemente con il nome di La casa, La casa 2 e L’armata delle tenebre). Misi il cd nella console, rivedendo per l’ennesima volta la scena iniziale, per poi piombare all’interno della villa nei panni di Chris Redfield, scartando, a piè pari, la possibilità di interpretare Jill Valentine in quanto donna e quindi più debole (almeno nella mia mente di ragazzino). Peccato che la ragazza, sebbene meno forte fisicamente, avesse parecchi benefit dal punto di vista della destrezza e della scaltrezza.
Evitando accuratamente spoiler sulla trama, di cui non parlerò volontariamente, Resident Evil si gioca provando un senso di costante pericolo, non solo per via delle atmosfere e del sonoro, ma soprattutto per la scarsezza di munizioni e di armi: occorre scegliere con accuratezza quando respingere gli avversari a suon di proiettili e quando scappare. La longevità del titolo è garantita dalla possibilità, una volta finito, di ripartire con il secondo personaggio non scelto all’inizio dell’avventura.
Tra i momenti indimenticabili, che tuttora mi fanno venire ancora la pelle d’oca, annovero il primo incontro/scontro con uno zombie e, soprattutto, l’apparizione dei cerberus (che sono semplicemente dei dobermann non-morti).
Ormai il mercato è saturo di giochi appartenenti a questo filone e anche se, purtroppo, non potrete rivivere appieno le sensazioni che provai due decadi fa, io butterei un’occhiata alla versione HD di Resident Evil: è uscita proprio oggi per PC e buona parte delle console attualmente in circolazione; l’idea di avere l’occasione per (ri)giocare il capostipite dei survival horror in alta risoluzione mi solletica parecchio!