Come già detto altrove, tre sono i giochi che han reso insano il mio rapporto con l’Amiga: Prince of Persia, Monkey Island e EOTB2. Nel dettaglio: questo più di tutti.
Correva l’anno in cui ero giovane e sbarbato, avevo molti amici e nessuna ragazza e i miei weekend erano tutti uguali, passati davanti all’Amiga, oppure seduto attorno ad un tavolo con altri giocatori miei pari, a creare e inscenare mondi fantastici sulle trame di Dungeons & Dragons.
D&D (e il suo fratello maggiore AD&D) è semplicemente il gioco di ruolo per eccellenza: ambientazione fantasy, di ispirazione Tolkieniana, con un Dungeon Master a raccontare, e tutti gli altri a dar vita ad elfi, nani, cavalieri e chi più ne ha ne metta.
A conti fatti ho giocato, con la media di una volta a settimana, dal 1990 al 2004. Sì, anche da adulto, fidanzato, lavorante e trasferito in un’altra città.
Ovvio pensare che la mia più grande passione, il videogioco, non restasse insensibile ad un business così vasto come quello di D&D; ed infatti…
Dopo l’assoluta rivoluzione di Dungeon Master, risalente al 1987, ecco apparire un’evoluzione perfezionata, chiamata Eye of the Beholder. Non mi dilungo su questo primo capitolo, perché il secondo, di cui mi accingo a parlare, lo surclassa diventando semplicemente la simulazione migliore di AD&D della storia videoludica (…con buona pace dei fautori di Baldur’s Gate e Neverwinter vari).
La rivoluzione di DM consisteva nel creare un gioco di ruolo per computer in tempo reale, non basato su turni. Spostare la visuale dall’alto a quella in prima persona ed eliminare la tastiera e affidare tutto al mouse. Con pochi click si poteva interagire sull’area di gioco raccogliendo oggetti, attaccando i nemici, interagendo con leve e pulsanti, lanciando incantesimi…
Ad accompagnare questa meccanica, le regole della nostra versione di AD&D preferite (la seconda edizione) e l’ambientazione dei Forgotten Realms (dal successo planetario… per intendeci ancora oggi vengono prodotti e venduti materiali nelle ludoteche); il tutto con una trama davvero degna di nota.
Gli avventurieri vengono convocati a Waterdeep, la città degli splendori, da nientemeno che Khelben Arunsun, uno dei maghi più potenti del mondo. Qui scoprono di un potente male che circonda il maniero di Darkmoon e vengono spediti ad indagare.
Da qui in poi, prendiamo in mano il mouse e affrontiamo decine di mostri con il nostro gruppo preferito (personalmente: Paladino, Guerriero, Mago, Chierico); troveremo sul nostro cammino alcuni compagni da assoldare, fino ad un massimo di sei, una gran quantità di enigmi da risolvere (Tomb Raider da qualcuno avrà pur preso…) e un’infinità di mostri da sconfiggere… fino ad incontrare il terribile Dran Draggore (nomen omen… indovinate cos’è in realtà il mostro finale), signore di Darkmoon, molte e molte ore di gioco dopo… Il tutto senza mappa o riferimenti vari, per cui dovevamo affidarci alle riviste specializzate (come The Games Machine o K) o usare i vecchi metodi di carta e matita.
Col passare delle ore e delle partite, poi, inventavamo sempre nuovi modi per aver personaggi più potenti, il cui avanzamento era regolato dall’acquisizione di esperienza (condivisa tra tutti).
Allo scopo di raggiungere il mitico nono livello di incantesimi, in accordo con un amico, iniziammo a giocare dal primo EOTB con un gruppo di soli 4 personaggi, che alla fine esportammo per giocare a EOTB2 e all’orribile seguito EOTB3… tutto pur di poter lanciare incantesimi come “disintegrazione” e la famosa “tempesta di meteore” cosa che, personalmente, sono riuscito a fare quasi alla fine del terzo capitolo (non vi dico la delusione, quando scoprii che era realizzato come una banale sequenza di palle di fuoco).
Eye of the Beholder 2 è un’esperienza videoludica senza la quale i giochi di ruolo attuali non sarebbero gli stessi. È stato creato un nuovo genere (rimasto poi in voga e lungamente imitato fino all’arrivo di Ultima Underworld) e ancora oggi, imbracciando il controller e sperimentato nuovi giochi, mi è capitato di risolvere enigmi con uno strano senso di déjà vu… e, correndo indietro con la memoria, l’ispirazione ai capitoli di Beholder risulta davvero evidente.
Per chi non lo avesse mai provato e volesse sperimentare un’esperienza videoludica retrò, esistono emulatori per Amiga (che aveva una grafica e soprattutto una colonna sonora molto superiore a quelle del PC) e archivi abandoware da saccheggiare. Perché EOTB2 fa parte della storia, e la storia è importante.
…e se qualcuno si stesse chiedendo che diavolo è un beholder… beh: è uno dei mostri più temuti e terribili di D&D… una sfera magica con occhi e bocca in grado di spazzar via da sola anche il party più agguerrito… ed è, nel dettaglio, il mostro finale del primo capitolo.