Non è un gioco per vecchi

Non è un gioco per vecchi #2 – Icewind Dale

Icewind Dale!

Icewind Dale!

Negli ultimi mesi, gli amanti dei videogiochi di ruolo non se la passano troppo male: parecchi titoli interessanti sono finalmente usciti, e, all’orizzonte, si affacciano i due grossi calibri della stagione gdristica, che promettono di rapire per ore ed ore gli aspiranti esploratori di terre lontane. Infatti, oltre ai già disponibili Wasteland 2 e Divinity: Original Sin, il 20 novembre si potrà tornare sul mondo di Thedas dei veterani della Bioware con Dragon Age: Inquisition (ma noi di Nerdando ce lo stiamo già spolpando in anteprima grazie all’EA Access e al possente Tencar) e il 15 febbraio tornerà a deliziarci invece mastro Geralt di Rivia con il terzo capitolo della saga di The Witcher, Wild Hunt, che promette di settare nuovi standard a tutto tondo per le esperienze di nuove vite elettroniche.

Tutto questo preambolo per parlarvi…di un gioco di 14 anni fa. E che c’entra, direte voi? Ve lo spiego subito.

L’altro giorno, sulla schermata principale dello store di Steam, è (ri)comparso un logo che immediatamente mi ha riportato con la mente all’autunno del 2000, precisamente all’interno dell’unico Mediaworld che all’epoca si trovava a Pescara. Il me sedicenne, in novello periodo di fissa per Dungeons & Dragons e per i gdr cartacei in generale, scorge negli allora meravigliosi e rigogliosi scaffali dedicati ai videogiochi per PC, una scatolozza di cartone anticata a mo’ di libro, con un logo raffigurante un albero spoglio e ricurvo per il vento.

Il titolo in questione era “Icewind Dale” e mi evoca ricordi fantastici.

Il retro della scatola prometteva incredibili avventure nella Valle del Vento Gelido, alla ricerca di un antico male che minacciava il mondo. Semplice ma efficace. L’ambientazione nordica e gelida, le regole di D&D come base, schermate disegnate a mano e la possibilità di creare e comandare un party di avventurieri in una lunga campagna bastarono per convincermi a farlo mio.

E fu l’inizio del mio amore sconfinato per la prima generazione di giochi di ruolo sviluppati dalla Bioware, contraddistinti dall’utilizzare il famoso e mai troppo celebrato Infinity Engine, che permise alla compagnia di Ray Muzyka e Greg Zeshuck, coadiuvati da quei fenomeni della compianta Black Isle Studios (i papà di Fallout) di creare dei veri e propri capolavori come Planescape: Torment e la saga di Baldur’s Gate. Che sono un po’ i nonni degli odierni Dragon Age e Mass Effect.

In confronto a questi colossi, Icewind Dale viene ricordato, a mio avviso ingiustamente, sempre come il fratellino sfigato e meno profondo, in virtù del maggiore accento sui combattimenti rispetto all’intreccio meno complesso della trama, pur piacevole nella sua classicità. A parte il fattore affettivo, che me lo fa ricordare come una grandiosa esperienza, effettivamente, ancor oggi ritengo Icewind Dale un vero gioiellino, pur paragonato ai suoi illustri fratelli.

Ambientazioni come Kuldahar, una città ricavata da un enorme tronco di un albero, e unica oasi di calore del nord, gli Abissi di Dorn, con i giganti di ferro e la lava che scorre a fiumi, la montagna a forma di testa di drago, la fortezza della Mano Mozzata, ma anche la classicissima locanda di inizio avventura, non si dimenticano facilmente per il loro impatto visivo e per la loro estrema pericolosità ed il piacere di esplorarle.

E i combattimenti, parte fondamentale e preponderante dell’esperienza? Profondissimi e concitati, tatticissimi e molto difficili come pochi se ne vedono anche oggi, con in più la pensata geniale della pausa tattica, che permetteva di impartire ordini in tutta calma, senza rendere il tutto un sistema a turni. E no, se pensate che ciò semplifichi i combattimenti, vi sbagliate assolutamente: piuttosto è l’unico espediente per tentare di sopravvivere. Il mago da sconfiggere nel quinto capitolo lo reputo ancora una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato nella mia carriera videoludica. E ho giocato anche a Dark Souls, eh.

Completano il tutto la possibilità di creare sei personaggi da zero e personalizzarseli come ci pare, magari traendo ispirazione dalle nostre vecchie campagne di D&D, una colonna sonora meravigliosa di Jeremy Soule e tanta tanta purissima avventura.

Dicevamo che Icewind Dale è ricomparso su Steam: si tratta della versione denominata “Enhanced Edition”, terzo trattamento di ringiovanimento riservato ai vecchi titoli sviluppati con l’Infinity e consta di tutti gli ammennicoli irrinunciabili per il videogiocatore moderno tra cui le migliorie tecniche, le quest tagliate, oggetti nuovi a pioggia e tante classi in più per i nostri pippottini. Ovviamente nel pacchetto sono comprese anche l’espansione Heart of Winter, dura come una lastra di granito sui denti, e la miniespansione di quest’ultima, Trials of the Luremaster. Non incluso è ovviamente il seguito, il gigantesco Icewind Dale II, che però ignoro se sarà anch’esso sottoposto al lifting di Beamdog, pur basandosi sulla versione più avanzata e definitiva dell’Infinity.

Che dire, se volete dare uno sguardo di persona ad una delle prime opere di quei fantastici bardi moderni della Bioware, questo titolone, come antipasto in attesa dei due pesi massimi di quest’anno, mi sembra ottimo, sia che preferiate questa nuova versione, sia che preferiate godervelo “come gli antichi” (e in tal caso lo trovate su GOG.com, insieme alla Enhanced). Ah, una chance dategliela anche se siete giocatori di vecchia data e lo snobbaste per dedicarvi al meraviglioso Baldur’s Gate. La Valle del Vento Gelido vi attende…

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